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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 10/21/23 in tutte le aree
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Buongiorno, segnalo la pubblicazione della mia monografia dal titolo "Le monete milanesi di Carlo V". L'Opera tratta ed illustra tutte le emissioni caroline coniate dalla zecca di Milano, fornendo inoltre tutti gli approfondimenti necessari per avere una visione multidisciplinare della materia. Trovano uno spazio dedicato anche le figure dei Maestri incisori, le suggestive medaglie monetiformi, un'enigmatica tessera e quelle emissioni oggi non reperite o rifuse ancor prima di entrare in circolazione. Non potevano certo mancare un repertorio delle principali vendite pubbliche aventi significativi nuclei della monetazione trattata, l'illustrazione delle affascinanti falsificazioni d'epoca e qualche piccola "rivoluzione" (con solide basi documentarie!) come quella riguardante la catalogazione dello scudo "dei Giganti". I materiali monetari sono ordinati secondo un'inedita impostazione cronologica, creando così una vera e propria narrazione di queste prestigiose emissioni tanto apprezzate sia dai numismatici sia dagli storici dell'arte. L'acquisto dell'Opera è possibile unicamente presso le principali librerie online, Amazon ed ovviamente il sito dell'Editore. Prezzo di copertina: 49,90 € ISBN 9791221498295 141 pagine Immagini a colori Copertina rigida Pagine in carta patinata da 130g/m2 Formato 17x24 cm Buona lettura Antonio Rimoldi5 punti
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I problemi di reazione con la plastica, per dare un'idea, sorgono dopo circa un anno. Sì, le capsule sono tondelli trasparenti a forma di moneta in plastica rigida. È un metodo sicuramente più costoso rispetto agli oblò e ancora di più rispetto ai normali fogli con bustine. Come quasi tutto, più si spende più si ha. I metodi di conservazione che occupano meno spazio sono i peggiori. I migliori sono quelli che occupano più spazio. Sta a te trovare il giusto compromesso tra spazio, tempo, costo. Per quanto riguarda il rischio di cadute ovviamente c'è: basta non farle cadere 😅. Se si è accorti, le si maneggia adeguatamente e magari sopra la scrivania con sotto un apposito vassoio non rigido, il rischio di danni è minimo.2 punti
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Finalmente il lavoro è pronto, leggendo l'indice sarà sicuramente interessante per tutti i cultori di Carlo V e della monetazione del ducato di Milano.2 punti
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E perchè? Non c'è niente di male a dare visibilità a un articolo interessante scritto da un utente, anzi... va nel senso della mission del Forum quello di condividere conoscenza. Illyricum2 punti
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Tesori etruschi della Toscana | Il Cinerario Paolozzi https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/tesori-etruschi-della-toscana-il-cinerario-paolozzi/143648.html Alla scoperta del capolavoro nascosto nel Museo Archeologico Nazionale di Chiusi in compagnia dell’etruscologo Giuseppe M. Della Fina La facciata del Museo Archeologico Nazionale di Chiusi. Foto: Roberto Lazzaroni | CC BY SA 3.0. Foto tratta da Wikipedia Il Cinerario Paolozzi è il «capolavoro nascosto» conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Chiusi. Si tratta del vaso funerario in terracotta che il collezionista e scavatore Giovanni Paolozzi rinvenne nel 1873 all’interno di una tomba a ziro nella necropoli di Dolciano. Lo conservò presso di sé sino al 1907 quando passò per legato testamentario al museo della sua città natale, di cui aveva contribuito a portare alla luce il passato etrusco. Fu uno scavatore fortunato, come ricorda un suo cugino, il conte Mauro Faina, che, a sua volta, aveva iniziato a collezionare antichità nel 1864. In alcuni appunti che intitolò Memorie, ove si è scavato, rammenta con ironia: «scavi felicemente cominciati da Paolozzi ed infelicemente proseguiti dallo scrivente». La passione per il collezionismo archeologico era stata trasmessa a lui dagli antenati: già alla fine del Seicento, a Chiusi, i Paolozzi avevano iniziato a raccogliere antichità: alcune urne cinerarie con iscrizioni, che menzionavano la famiglia etrusca dei marcni, sono ricordate presso di loro. Nel 1733 la raccolta ampliata notevolmente venne visitata da Anton Francesco Gori, uno dei protagonisti della stagione settecentesca di studi definita Etruscheria, durante la quale ogni primato era attribuito agli Etruschi. Anton Francesco Gori ricorda Ristoro Paolozzi come l’unico personaggio che dimostrava interesse per la conservazione in loco dei reperti che ritornavano alla luce a Chiusi. La raccolta andò arricchendosi ulteriormente nei decenni successivi e nel 1819 venne visitata dal granduca Ferdinando III e dall’arciduca d’Ungheria. Alcuni anni dopo ebbe modo di osservarla e descriverla Wilhelm Dorow che era contemporaneamente un diplomatico al servizio di Federico Guglielmo III di Prussia, un archeologo e un collezionista di antichità. La definì: «véritable trésor national pour sa patrie». Il Cinerario Paolozzi. Foto: Fabrizio Garrisi. Wikimedia Commons La collezione venne ceduta da Giovanni Paolozzi al Comune di Chiusi nel settembre del 1873 per la cifra di 7.400 lire dopo un teso dibattito all’interno del Consiglio comunale anche in considerazione del ruolo di sindaco che svolgeva lo stesso Paolozzi. Il quale accettò di abbassare la valutazione iniziale di un perito che l’aveva valutata 8.795 lire e accettare un pagamento in dodici rate annuali. Non si voleva far perdere un’altra importante collezione alla città, dato che pochi anni prima, nel 1865, quella Casuccini era stata acquistata per il Museo di Palermo dove si trova tuttora. Paolozzi trattenne, comunque, presso di sé alcune antichità, alle quali era particolarmente legato, compreso il Cinerario che oggi porta il suo nome e la cui proprietà è divenuta pubblica nel 1907, come si è ricordato. È interessante segnalare che Luigi Adriano Milani, direttore del Museo Archeologico di Firenze, provò ad acquistarlo, insieme ad altri reperti dello stesso corredo funerario restati nella disponibilità del collezionista, come attesta una lettera, inviata il primo febbraio 1899 a un ormai quasi settantenne Giovanni Paolozzi, era nato infatti nel 1831: «questo museo potrebbe pagare per esse la somma complessiva di Lire 1000». La risposta fu negativa: il Cinerario non doveva lasciare Chiusi. Il vaso funerario è stato oggetto di un profondo intervento di restauro nel 2000 diretto da Mario Iozzo ed eseguito da Giuseppe Venturini. Esso ha consentito di recuperarne l’aspetto originale eliminando le integrazioni e le incomprensioni degli interventi precedenti, di conoscere l’apparato ornamentale che lo caratterizzava: una decorazione floreale dipinta in nero sul corpo del vaso e oggi appena visibile, decorazioni impresse nella quadrettatura della veste della figura principale e la presenza di laminette scintillanti all’interno dei becchi spalancati dei grifoni. Il Cinerario è composto da un vaso, destinato a contenere le ceneri della defunta, sensibilmente rastremato verso il basso e caratterizzato da una spalla larga e carenata. Proprio sulla spalla e sul collo sono applicate quattro singolari protomi di grifone. Alle protomi si alternano quattro figure femminili piangenti di piccole dimensioni, che sono riproposte sul coperchio. Quest’ultimo accoglie una figura femminile a dimensione maggiore, con una raffinata veste quadrettata e che porta la mano sinistra al seno, mentre la destra, lacunosa, era protesa in avanti. La statuetta raffigura simbolicamente la defunta. Il Cinerario ha un’altezza complessiva di 89 cm ed è stato lavorato al tornio e levigato, mentre gli elementi plastici sono stati eseguiti a mano libera, con ritocchi a stecca e presentano fori sfiatatoi per ridurre i possibili inconvenienti nella cottura. Resta da dire che il vaso nel suo insieme accenna a scene del rituale funerario etrusco ed è databile negli anni 630-600 a.C.2 punti
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Ciao, da quando si può vedere dalle foto e dai dati ponderali (forse il diametro non è stato misurato bene, sembra un po scarso 🙂) secondo me si tratta di un dupondio dell'imperatore Vespasiano con la personificazione sul rovescio della dea della pace. Mi sembra che sulla testa dell'imperatore siano visibili alcuni raggi della corona radiata, mentre sul rovescio l'altare che anche tu hai evidenziato e che si vede chiaramente e la scritta AUG tronca (non sembrano esserci più lettere dopo la G) fanno propendere per la tipologia che ti posto per paragone. ANTONIO2 punti
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Per ottenere un elettrotipo si deve creare uno stampo in cera (o altro materiale modellabile) del dritto e uno stampo analogo del rovescio della moneta da riprodurre. Ogni stampo, ricoperto da un conduttore di elettricità come la grafite, viene impiegato da catodo (polo negativo) di una cella elettrolitica dove l’anodo (polo positivo) è costituito dal metallo che si vuol depositare sullo stampo e la soluzione elettrolitica è formata da un sale del metallo stesso. Al passaggio di corrente elettrica, all’anodo di rame si formano ioni rameici che, attraverso la soluzione di solfato rameico, vengono trasferiti al catodo dove vengono ridotti a rame metallico; questo si deposita sullo stampo che viene ad assumere in positivo le immagini e le scritte che recava impresse in negativo. Quando lo strato di metallo ha raggiunto uno spessore adeguato, si interrompe la corrente e si rimuove la cera dallo stampo che così raffigura una faccia e parte del contorno della moneta di partenza. Dopo lo stesso procedimento sull’altro stampo, si hanno a disposizione due “gusci” ciascuno dei quali rappresenta una faccia e parte del contorno della moneta di partenza. I gusci si possono tenere separati e in tal caso danno l’opportunità di osservare contemporaneamente le due facce della moneta, come nel caso degli elettrotipi esposti nelle teche di vari musei. Oppure i due gusci si uniscono fra loro, lavorando il contorno di ciascuno di essi in modo da ridurlo a metà dello spessore della moneta originale e poi unendo le due metà, oppure lasciando inalterato il contorno di una metà e inserendovi l’altra metà. Prima dell’assemblaggio finale e della saldatura permanente, l’elettrotipo deve raggiungere esattamente il peso della moneta autentica riempiendo l’intercapedine tra i due gusci con un metallo base o una lega. Una bella sfida per l’electrotyper. apollonia2 punti
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Ho raddrizzato la foto. non riesco a leggere tutto: leggo PROVINCIE (...) ESE. (...) TRA / (?)E ORDINIS SCTI BENEDICTI Quindi dovrebbe essere un sigillo benedettino2 punti
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Esatto. Hai centrato il punto. E non è facile neanche per le piccole editrici generaliste. Al di là della rivista, spero comunque che non vadano persi né posti di lavoro né l'esperienza di questa impresa editoriale.2 punti
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Sembra che il suo magazine sia dedicato principalmente alle ricette di cucina. Certo, se le sue competenze culinarie sono le stesse che in numismatica, ci vuole coraggio a provarne una petronius2 punti
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Sono lire molto rare perchè circolavano solo a Taranto e il suo territorio. Arka Diligite iustitiam2 punti
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C'è un percorso numismatico? O la commissione è composta solo da grafici pubblicitari?1 punto
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Assi imitativi barbarici (?) di Agrippa sui quali compare la contromarca TIAV , interpretata come contromarca del periodo di Tiberio , Claudio o Tito . Un' interessante articolo apparso su Academia,edu che spiega l' origine e l' interpretazione di TIAV . Asse_Agrippa_imitativo_con_contromarca_T.pdf https://www.academia.edu/keypass/TlhqMUdsOGNKM3hVbDArdzJpcXVnQkpqd1Bucy80TGg1ZzBDZEVSWDFCVT0tLWFJQnFSOVJIMHdjcjlBTjdtTUIvNHc9PQ==--778da31c81c906eef21bb13eb479c6d9c64df099/t/xqxFq-Rp0HknF-jSaDR/resource/work/38265215/Asse_Agrippa_imitativo_con_contromarca_TIAV?email_work_card=title1 punto
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La ringrazio per la sua risposta,mi ha aiutato tantissimo.grazie e buona serata. Grazie mille.1 punto
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Dovrebbe trattarsi di una moneta romana repubblicana, https://felsinea.bidinside.com/it/lot/5221/porcia-m-porcius-cato-89-ac-/1 punto
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Ottimo! Complimenti. Ve ne fossero di queste iniziative…. Lungimiranti !1 punto
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Hai pienamente ragione sul diametro... Ho letto male, era scritto 27 - 28 mm Penso che la moneta sia proprio quella, dal poco che si vede corrisponde tutto! Giro le informazioni e ringrazio per l'identificazione!1 punto
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Si, come darti torto... ma cosa c'entra con la numismatica?1 punto
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Ma la crema di cioccolato è comunque troppo buona!!! 😋1 punto
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Questo sigillo a forma di mandorla è del XIV secolo e viene da Padova1 punto
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Ciao , se puo' essere utile alla tua ricerca storica sulla moneta postata ti allego la pagina della Gens Tullia tratta dall' opera numismatica del Babelon .1 punto
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Tanto per sorridere un po': Io dopo tre anni senza aver mai preso il COVID...🤫😅1 punto
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Grazie a tutti, spero che troverete la lettura interessante! Nonostante la dominazione asburgica-spagnola a Milano sia stata oggetto di numerosi studi recenti o recentissimi (MIR di Alessandro Toffanin, articoli vari su riviste sia divulgative che scientifiche, la recente monografia dell'amico Tiziano @Parpajola) mancava ancora un aggiornamento organico dedicato alla monetazione di Carlo V. Lo stato della materia specifica era praticamente fermo al 1990, anno della pubblicazione dell'ottima e FONDAMENTALE Opera di Carlo Crippa.1 punto
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Pio II (1458-1464) - Zecca del Ducato di Spoleto - Picciolo - Muntoni 44, MIR381 https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=4038&lot=9001 punto
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@Horasdoceo è originale come questa 😆 La presi in "zecca" a Praga, un negozietto che produceva tutta la serie, insieme a molte altre riproduzioni. Il sito ancora esiste ma non hanno più nulla in vendita antiquanova.com1 punto
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È giusto pensare prima a se stessi e ai prorpi cari o al prorpio lavoro... e come hai detto tu appunto... si fa tutto gratuitamente senza alcun compenso economico Buona giornata... Ronak1 punto
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Attenzione che sono contagiose! finirai anche tu a collezionare bottoni antichi con anelli colorati magici1 punto
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Complimenti, un testo sulle monete dell'imperatore di mezza europa è sicuramente un'ottima notizia. Sarà bello poter leggere questo prezioso studio.1 punto
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Lo stile particolare di questo crocifisso mi fa pensare che sia di area austro germanica, è una coniazione a stampo credo su lamina di rame/ottone di foggia artigianale, la Madonna non credo che rappresenti la Vergine lauretana, direi somigliante più alle Madonne dell'area sopra citata, il periodo possibile probabilmente è del XIX sec. ( prima metà?), il mio è un parere personale mi farà piacere sentire anche qualche altra opinione! Ciao Borgho1 punto
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Attenzione. Sulla vendita dell'oro usato non si pagano tasse. Perché sono già state pagate all'acquisto. E credo che in questo caso ricadiamo qui, perché l'oggetto in questione non è una moneta e credo non ricada nell'oro da investimento (ricade semmai nelle truffe, ma questo è un altro discorso). Per le monete ed i lingotti il discorso cambia. Poiché sono entrambi esenti da IVA. In caso di vendita, si paga il 26% della plusvalenza (plusvalenza = prezzo di vendita meno prezzo di acquisto). Se non si può dimostrare il prezzo di acquisto, si paga il 26% sul 25% del prezzo di vendita. Tale rendita va dichiarata in fase di compilazione della dichiarazione dei redditi. C'è una sezione apposita per tali rendite1 punto
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Questi sono gli abstracts delle relazioni: https://www.academia.edu/40454899/MONETE_FRAZIONATE_Quadri_regionali_questioni_cronologiche_aspetti_economici gli atti risultano ancora "in fase di stampa" stando ai curricula dei relatori1 punto
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Ciao! Avete detto tutto! Bravi. Complimenti a tutti ed in particolare a @Ulpianensis che si è studiato quanto possibile su questa moneta che, come giustamente già scritto, ha una iconografia insolita per le monete veneziane; c'è una prospettiva e la figura del Cristo che non è, come di solito, ieratico nell'atto di benedire, ma dinamica ... esce dal suo sepolcro scavalcandolo. saluti luciano1 punto
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Ci può stare la V capovolta, ne convengo ed è normale. Ma le legende, specie quella del D/ sono tipiche o di Urbino o delle zecche limitrofe tipo Casteldurante o Fossombrone. Pertanto, o si tratta di un inedito assoluto, mai visto (almeno per me), o di una riproduzione. Nessuna pubblicazione, a mia conoscenza (inesperto in materia), mi fa riferimento a tale esemplare. Si trattasse di un "inedito", vivissimi complimenti!!!!1 punto
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Ciao, mancano peso e diametro delle monete che aiuterebbero molto🙂. La prima, da quel poco che si riesce ad intravedere sia dal ritratto che dalla figura sul rovescio e dalle poche lettere visibili delle legende , dovrebbe trattarsi di un asse dell'imperatore romano Commodo con la raffigurazione della dea della guerra Minerva sul rovescio. Posto foto di moneta della stessa tipologia per confronto. Sulle altre due non posso esserti di aiuto . ANTONIO1 punto
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La discussione alla quale mi aggancio ha costituito l’occasione per scrivere questo lungo, lunghissimo, post che da tempo avevo in mente e che, per questioni di tempo, non ero riuscito prima d'oggi a mettere giù. Il richiamo dell’art. 64 del Codice dei Beni Culturali non è mai ridondante e tantomeno scontato, come giustamente osserva @Oppiano . La tutela del collezionista di monete antiche trova il suo primo baluardo nella competenza, nella correttezza e nella preparazione del commerciante, requisiti tutti sussumibili nel concetto di professionalità. Il secondo baluardo è nel livello di studio e approfondimento che chi si approccia a collezionare monete antiche deve necessariamente prestare anche alla normativa nel cui ambito dovrà muoversi. E’ un dato di fatto oggettivo. Ed è un fatto altrettanto oggettivo, con il quale ciclicamente mi scontro, che alcuni (pochi per fortuna) commercianti professionisti che vendono anche monete antiche, ancora oggi non abbiano ben chiara l’essenza dell’attestazione di autenticità e provenienza di cui all’art. 64 del Codice dei Beni Culturali. Probabilmente perché il commercio di antiche non rappresenta, per loro, il core business. Capita, quindi, che taluni ritengano di assolvere all’obbligo posto dall’art. 64 del Codice dei Beni Culturali mediante la consegna all’acquirente di “un mero pezzo di carta” (o di un file, nei casi più evoluti) impropriamente denominato “certificato” di autenticità e “lecita” provenienza (come se un bene oggetto di compravendita, qualunque esso sia, possa essere di provenienza illecita!). L’attestato di cui all’art. 64 non si risolve in una foto della moneta antica (per restare nell’ambito degli oggetti di nostro interesse) corredata di una descrizione (auspicabilmente non sommaria e imprecisa) conclusa dalla pomposa dicitura: “certifico che la suddetta moneta è autentica e di lecita provenienza”, a volte pure priva di timbro e sottoscrizione del commerciante (come pure – vi garantisco – mi è capitato in un emblematico caso isolato che ha fortemente ispirato questo post). Tantomeno l’obbligo può ritenersi assolto dal rinvio alla fattura di acquisto e alle condizioni generali di vendita (che, nella stragrande maggioranza dei casi, già contengono la garanzia che il materiale proposto in vendita sia genuino e autentico). Naturalmente il mio discorso è circoscritto agli operatori commerciali italiani, gli unici ad essere tenuti al rilascio dell’attestazione in commento. E’ sconfortante verificare ancora oggi, dopo fiumi di discussioni, di problemi giudiziari e di polemiche, quanto sia complicato per qualcuno comprendere l’importanza che l’attestazione prevista dal Codice dei Beni Culturali riveste anche nella formazione del pedigree che ogni moneta antica dovrebbe recare con sé. Pedigree della cui importanza pure tanto si discute. Ovviamente lo sconforto è tutto personale. L’art. 64, che su questo forum sarà stato citato una infinità di volte, è chiaro nel delineare il contenuto dell’attestazione. La norma recita testualmente che: “Chiunque esercita l'attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d' antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente la documentazione che ne attesti l'autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime; ovvero, in mancanza, di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull'autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell'opera o dell'oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi”. Ho voluto sottolineare ed enfatizzare con l’uso del grassetto le espressioni lessicali che, a mio avviso, costituiscono l’essenza della disposizione. Ribadisco che qui farò riferimento solo alle monete antiche. Il commerciante italiano ha l’obbligo (non la facoltà) di garantire all’acquirente che la moneta venduta sia autentica e di documentarne o di attestarne la provenienza (la norma non dice “lecita” perché si sarebbe trattato di una ovvietà). Tale obbligo, quindi, può essere assolto per due vie, tra esse non alternative ma in posizione di subordine l’una rispetto all’altra: a) consegnando all’acquirente la documentazione che attesti l’autenticità della moneta (una eventuale perizia, ad esempio, ove esistente) e la sua provenienza (mi viene da pensare alla documentazione giustificativa dell’acquisizione della moneta che il venditore, a sua volta, ne ha fatto da un terzo: in questo caso si potrebbero porre problemi legati alla privacy del terzo cedente che, tuttavia, ritengo possano agevolmente superarsi laddove il commerciante, al momento dell’acquisizione, abbia l’accortezza di richiedere e ottenere dal proprio dante causa una autorizzazione al trattamento e alla diffusione di quei dati sensibili); b) in mancanza (della documentazione di cui sopra), dichiarando egli stesso (il venditore, intendo) l’autenticità e la provenienza della moneta, offrendo all’acquirente tutte le informazioni a tal fine necessarie: è quest’ultimo l’attestato propriamente inteso. Ovviamente, poiché detta dichiarazione integra gli estremi di una assunzione di responsabilità a tutti gli effetti di legge nei confronti dell’acquirente, è scontato rilevare che il commerciante (che non voglia incappare in problemi) dovrà a sua volta avere accertato preliminarmente l’autenticità e la provenienza della moneta che pone in vendita (e, quanto alla provenienza, sconsiglierei a qualsiasi commerciante di farlo accontentandosi di una autodichiarazione da parte di colui dal quale intende acquisire la moneta). Per l’assolvimento dell’obbligo posto dall’art. 64 il commerciante (italiano) non può chiedere all’acquirente un solo centesimo, neppure camuffando la pretesa (postuma) sotto il velo del rimborso spese per “stampa fotografica di alta qualità” (come pure un “buontempone” si è preso la briga di rispondermi per giustificare una richiesta di pagamento di un attestato che in prima battuta non mi era stato spedito unitamente alla moneta antica acquistata). Il commerciante dovrà tenere conto di questo costo nel momento in cui andrà a determinare il prezzo della moneta offerta in vendita (o l’entità delle commissioni applicate, in caso di intermediazione), così di fatto recuperandolo comunque, sia pure indirettamente (ma in maniera sicuramente più elegante), dal cliente finale. A mio avviso, un attestato di autenticità e provenienza degno del disposto normativo dovrebbe comporsi da: (i) riproduzione fotografica della moneta, sicuramente sempre producibile nel caso dei nostri amati tondelli (si rammenti che l’art. 64 specifica che “Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell'opera o dell'oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi”); (ii) una accurata descrizione della moneta, comprensiva di dati ponderali (fedeli), stato di conservazione (per quanto opinabile) e riferimenti bibliografici, che si concluda con una attestazione di autenticità della stessa (autenticità che, come detto, dovrebbe essere stata accertata dallo stesso commerciante prima di immettere la moneta sul mercato; in ogni caso, generalmente il materiale messo in vendita viene garantito autentico già nelle condizioni generali di vendita… ma i rinvii non mi piacciono); (iii) le informazioni sulla provenienza, quali ad esempio: collezione privata italiana, europea o extracomunitaria (senza la necessità di menzionare l’identità del precedente proprietario); il numero di annotazione, in entrata e in uscita della moneta, attribuito nel registro del commerciante prescritto dalla normativa in materia di pubblica sicurezza (si veda l’art. 63 del Codice dei Beni Culturali e l’art. 128 del TULPS), informazione che tutelerà la privacy del soggetto dal quale il commerciante ha acquisito la moneta ma che consentirà, al contempo, in caso di dispute giudiziarie, di risalire agevolmente ai vari passaggi di mano della stessa; ove disponibili, eventuali precedenti passaggi d’asta noti (ad esempio, ex Casa d’Aste S.p.A. vendita n. …. del ….); (iv) timbro e firma del commerciante. E attenzione a non confondere e a non sovrapporre l’importanza dell’attestato con quella della fattura: la seconda non sopperisce e non esclude il primo. La fattura è il titolo che giustificherà e proverà la provenienza della moneta per chi l’ha acquistata, cioè per il suo nuovo proprietario. L’attestato è il documento con cui il commerciante professionale (colui che vende) ha l’obbligo di dichiarare a chi compra la precedente provenienza della moneta, legittimando in tal modo il potere che egli ha di cederla attraverso l’immissione sul mercato. Ritengo che una delle funzioni che il legislatore abbia voluto attribuire all’attestazione di autenticità e provenienza sia quella di consentire (quantomeno sul suolo dello Stato) una sorta di tracciamento dei “passaggi di mano” delle “opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d'antichità o di interesse storico od archeologico” (e con i tempi che corrono non può che essere un bene sia per il collezionista che per il commerciante) così da arginare il proliferare dei ricettatori, oltre che dei falsari. Nella prospettiva del legislatore, l’attestato in parola era (ed è) finalizzato a caricare di responsabilità i soggetti coinvolti nella compravendita professionale di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico facendo assurgere i commercianti al ruolo (determinate) di “filtro”, essendo essi indubbiamente gravati dall’onere (non codificato ma non privo di conseguenze ove non assolto) di accertare l’autenticità e la provenienza di ciò che pongono in vendita (non mi stancherò mai di ripeterlo: colui che commercia in questo particolare tipo di beni non può pensare di superare il problema della provenienza mediante la semplice acquisizione, dal conferente, di una autodichiarazione sulla liceità della provenienza e del possesso). Infatti, poiché essi sono obbligati ad attestare all’acquirente l’autenticità e la provenienza del materiale venduto, non potranno che – in primis, a propria tutela – pretendere dal soggetto dal quale si sono a loro volta “approvvigionati” quelle medesime garanzie che essi saranno tenuti a dare all’acquirente. I commercianti, dunque, sono l’anello centrale della catena di responsabilità insite nei trasferimenti della moneta nel tempo. Un ruolo decisivo e pregno di responsabilità che, come ogni professione che si rispetti, deve essere svolto con la massima diligenza e che deve portare il collezionista a prediligere sempre l’acquisto da commerciante professionista. Un ruolo che tanti svolgono in maniera ineccepibile ma che pochi, purtroppo, fingono di ignorare con grave nocumento per l’intero settore. Saluti.1 punto
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Il riferimento allo Stahl immagino si riferisca al A prosopography of medieval Venetian mint officials che non ho. Tuttavia nel La Zecca di Venezia nell'età medioevale a pag. 647 c'è una tabella riguardante i Massari all'argento. Per quanto riguarda Angelo de Priuli l'ultimo incarico risale al 18 febbraio 1344, tuttavia è ignota la fine dell'incarico. Quindi tutto è possibile. Almeno fino al ritrovamento di altri documenti. Arka Diligite iustitiam1 punto
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Il cero è uno delle sette insegne dogali Per ringraziarlo della sua assistenza nelle trattative per l’atto di pace con il Barbarossa, Papa Alessandro III concesse al Dose Sebastiano Ziani il privilegio di farsi precedere nelle cerimonie pubbliche da un cero bianco, quale segno visibile di onore e dell’amore del Papa. Il cero, portato dal cappellano del Dose, originariamente era simbolo di penitenza, ma venne presto trasformato in insegna d’onore, di privilegio e fedeltà. In seguito divenne un accessorio inseparabile dal Dose stesso, tanto che se per qualche motivo la suprema carica non vi partecipava, anche il cero era escluso dalla processione.1 punto
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La datazione al 1346 è data dalla riforma monetaria resasi necessaria per contrastare i numerosi falsi dei soldini che circolavano. Il nuovo mezzanino avrebbe dovuto sostituire il soldino, la cui coniazione venne sospesa, e il grosso. Il tentativo fallì e nel 1353 iniziò ad essere coniato il nuovo soldino, che ebbe migliore fortuna. Per quanto riguarda l'iconografia, concordo che è particolarmente affascinante e artisticamente un capolavoro. Infatti viene usata la prospettiva decenni prima della sua codifica. E anche il cero al posto del vessillo è un elemento particolare. Se non collegata temporalmente alla peste è sicuramente un'iconografia premonitrice... Arka Diligite iustitiam1 punto
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Probabilmente la spiegazione di un’iconografia così particolare resta quella riportata nell’articolo apparso si Cronaca Numismatica nel 2019 https://www.cronacanumismatica.com/quello-scambio-di-cortesie-tra-doge-e-papa/?fbclid=IwAR2Ck0B2YdCOlh1g99fa06V2NrqLc-GKcnFXMk1hcYBzSLGmDDj_kYX7goU già citato in una precedente discussione su questo mezzanino “Ragion di stato” e riferimenti a passate glorie, insomma, come si addiceva ad un erudito storico quale fu Andrea Dandolo stesso, autore di una importante opera storica che sarebbe stata la principale fonte per la storia della Serenissima fino all’Ottocento, la Chronica per extensum descripta...1 punto
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Come avrete notato questa rivista è giunta al n. 398. Ebbene, mi giunge notizia che il n. 400 (dicembre) sarà un numero speciale per celebrare l'avvenimento. Non ci resta che aspettare.1 punto
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Foto che non permette visualizzazione graffietti o di capire se sia stata lucidata. Se non fosse per il colpetto ad ore 11 potrebbe essere SPL, vista così.1 punto
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Nella medaglisica di papa Paolo V prevalgono ormai le medaglie coniate. Le medaglie fuse, tipicamente rinascimentali, sono limitate ai grandi moduli (diametro superiore a mm. 50). Cito tra le medaglie fuse la Basilica Paolina, la facciata di San Pietro, la fortezza di Ferrara, il porto di Fano, l'ampliamento del Quirinale, la ricostruzione della Porta Vaticana. L'incisore specializzato per le medaglie fuse è Paolo Sanquirico: Giacomo Antonio Mori produce alcune medagflie fuse accanto a quelle coniate. Il metallo largamente prevalente (direi totalitario o quasi per le medaglie fuse) è il bronzo. Tutte le medaglie originali del pontificato di Paolo V sono molto rare o estremamente rare. Ricordo che esistono per alcune medaglie riconi degli Hamerni e del Mazio e copie posteriori fuse (queste ultime si riconoscono soprattutto per il diametro ridotto). Complessivamente si trattta di una medaglistica di eccellente livello artistico.1 punto
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Un poco di curiosità nei "nostri" giovani numismatici c'è ... e questo è esattamente lo scopo che mi prefiggo nel mostrare queste monete, magari con due righe di "pseudo storia" solo per aggiungere quel minimo di contesto indispensabile per comprendere meglio le ragioni di uno stile o di una coniazione. Che siano questi gli argenti da mettere in collezione al posto di farneticanti coniazioni che nasco e muoio incapsualte, imbustate, invetrate, intoccate, illibate. Non sono fondo a specchio, hanno un'anima, una storia, un commercio, un acquisto ... che diamine sono vive, con i loro difetti, la loro usura, le piccole pecce di conio, tutte uguali ma tutte diverse ... ma che le dico a fare queste cose, e per chi ? Per Lei che già le sa e per me che non le dimentico e forse, forse per Niko e Forza_Italia curiosi di monete, e chissà se avranno voglia di classificare .... Mio papà la sera mi metteva delle fotocopie di monete sul tavolo, da classificare, senza ordine preciso, avevo fortuna di poter attingere alla biblioteca di casa, la cosa non mi dispensava da cantonate paurose ... questi "ragazzi" mi da l'idea siano ben più preparati di me alla loro età ... e così facendo li si tiene lontano dai pericoli della vita (gli euro incapsulati :) ).1 punto
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