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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 09/23/22 in tutte le aree

  1. Buongiorno un paio di carlini giusto per gradire
    3 punti
  2. Al momento no. il 28 ci saranno alcune conferenze. Non riesco ad aprire una discussione e per ora le aggiungo qui :
    1 punto
  3. Regno di Napoli - Filippo II (1554-1598) - Tornese 1586 - Magliocca 136 - 8,09 g - Cu - RARISSIMO (RRR) Regno di Napoli - Filippo II (1554-1598) - Tornese 1590 - Magliocca 141 - 5,26 g - Cu - RARISSIMO (RRR ) Regno di Napoli - Filippo IV (1621-1665) - Grano 1636 - cifre capovolte - sigle O/C - Magliocca 60 - 9,97 g - Cu - POCHI ESEMPLARI CONOSCIUTI (RRRRR) Regno di Napoli - Filippo IV (1621-1665) - Grano 1638 - Magliocca 71 - Cu - RARISSIMO (RRR)
    1 punto
  4. DE GREGE EPICURI @ARES IIIMai vista una moneta del genere; comunque, anch'io propendo per un falso moderno.
    1 punto
  5. Riprendiamo, se si vuole ancora parlare del prezzo della benzina, dall'ultimo post del CdC. Se invece si vuole continuare a contestare gli interventi dello stesso, allora non resta che chiudere.
    1 punto
  6. complimenti, bella moneta. Sono contento che sia rimasta qui' in Italia
    1 punto
  7. Ancora una nuova arrivata .....
    1 punto
  8. Falso d'epoca ottenuto per fusione di una Piastra del 1799 di Ferdinando IV.
    1 punto
  9. Inoltre un'altro particolare da non sottovalutare e "la mano è scettro di giustizia" che si presentano in modo diverso,aperta nell'esemplare autentico,con medio, anulare e mignolo raccolti nel tuo falso...
    1 punto
  10. Mettendo a confronto il tuo esemplare con un'altro sicuramente autentico puoi tu stesso verificarne le differenze,oltre alle fattezze e al peso non conformi,puoi verificare il motto impresso sul taglio che deve recitare:★ DIO PROTEGGE IL REGNO... è probabile che nel tuo esemplare il taglio si presenti liscio o con il motto:FERT ,che è tipico degli scudi del regno d'Italia e non del regno delle due Sicilie... ...
    1 punto
  11. Scusate ma credevo fossero due differenti... È ovviamente un fuso di fantasia che unisce un rovescio di un follis bizantino a un dritto ispirato da oggetti differenti dalle monete.
    1 punto
  12. Se mastichi l’inglese ti consiglio vivamente il buon vecchio Kraay, Archaic and classical greek coins, London 1976 che offre una buona panoramica delle monetazioni di Egina, Corinto e Atene, che ovviamente andrebbe poi aggiornata con studi più recenti ma specifici per le singole zecche.
    1 punto
  13. A mio avviso , @Il Sabaudo , quello di Sear ( vol. 1 Europe - 1978 ) è un vecchio manuale con molte discrete fotografie e molte notizie, però sintetiche, sulla vasta gamma della monetazione greca dall' Iberia a Creta . Direi ancora utile per identificazioni di base, non per approfondimenti, che per altro non credo fossero negli scopi dell' opera .
    1 punto
  14. Riprendo questa discussione per segnalare un ulteriore inedito di Metaponto, a breve in asta, che si ricollega tipologicamente con il R/ della moneta di cui sopra: https://www.sixbid.com/en/naville-numismatics-ltd/9981/greek/8586360/lucania-metapontum-bronze-circa-300-250 Lot 27. Lucania, Metapontum Bronze circa 300-250, Æ 12.00 mm., 2.00 g. Head of Satyr r. Rev. Barley grain. Johnston, Bronze –. Historia Numorum Italy –. Apparently unpublished and Very fine. Benché la testa di Sileno figuri nel repertorio tipologico del bronzo metapontino, l'abbinamento con il chicco e la legenda ME viene ritenuto apparentemente inedito. In realtà un esemplare con t. di Sileno/chicco, seppur da coni diversi, era apparso sul mercato antiquario lo scorso anno e un altro è al British Museum: BFA 105, 2021, 550 Southern Lucania, Metapontion, c. 350-275 BC. Æ (14mm, 2.52g, 6h). Head of Silenos r. R/ Barley-grain. Johnston, Bronze 35; HNItaly 1670. Very Rare, near VF BMC 176 Si tratta di un'emissione articolata in più serie unificate dal tipo del R/: BM 1920-0725.17 BFA 105, 2021, 546 Southern Lucania, Metapontion, c. 425-350 BC. Æ (12mm, 2.19g, 9h). Tripod. R/ Barley-grain. Johnston Bronze 2; HNItaly 1638. Rare, Good Fine
    1 punto
  15. Piú che altro non vorrei che piú tardi si aprissero 1200 discussioni uguali con 16530 foto quasi uguali😅 Sto temendo un pò😅
    1 punto
  16. Un curioso esemplare di statere incuso tardo ( 8,10 g - ? mm ), di Caulonia . Sarà il 1 Ottobre in vendita Myntauktioner i Swerige 41 al n. 452 .
    1 punto
  17. Esemplare appartenente all'ultima fase della monetazione incusa cauloniate (Noe, gruppo D, n. 60). Un esemplare tratto dagli stessi conii è stato venduto dalla CNG e correttamente datato al 475-70, ossia immediatamente prima del passaggio alla coniazione a doppio rilievo. https://www.acsearch.info/search.html?id=34507 Come spesso accade bisognerebbe prestare maggiore attenzione alla cronologia dei pezzi. La datazione proposta da Myntauktioner pone un termine iniziale eccessivamente alto (550), considerato che la zecca di Caulonia comincia ad emetter moneta non prima del 530/20 a.C. e che l'esemplare è tra gli ultimi coniati ad incuso.
    1 punto
  18. I testoni di sede vacante 1559 sono stati battuti utilizzando al R/ i coni di Paolo IV senza data. E' quindi possibile che per errore o per necessità, senza dover predisporre un nuovo conio, sia stato utilizzato quello con data 1558. Non mi stupirei se un domani potesse venir fuori una moneta con il conio del 1557. D'altra parte questa anomalia non è unica. Porto ad esempio un testone di Gregorio XIII per Ancona in cui troviamo al D/ la data 1582 ed al R/ 1584. Anche in questo caso, per errore o per mera necessità è stato utilizzato un conio al momento disponibile. Gli esemplari conosciuti sono pochissimi.
    1 punto
  19. Si emessa in Svizzera a Coira
    1 punto
  20. Un esemplare di didrammo ( 510-495 a.C. / 8,78 g ) della prima monetazione arcaica di Agrigento, classificato in Jenkins Group Ia . Sarà il 10 Ottobre in vendita Gorny&Mosch 289 al n. 62 . Unisco dalla rete, di pari tipologia, il didrammo ( 8,69 g ) passato a suo tempo in CNG Triton I n. 188 .
    1 punto
  21. Grazie @VALTERI per i sempre stimolanti spunti. Westermark 16 (O9-R9) Periodo I gruppo I ,secondo la catalogazione del corpus su Akragas. La professoressa Westermark descriveva e considerava tra i “meglio riusciti” (very fine and impressive) alcuni dei conii del dritto della prima fase del gruppo I, aggiungendo che raramente la resa dell’aquila raffigurata su di essi fu sorpassata nei gruppi successivi. Il dritto O9 era tra questi. Ancora “ruvidamente” arcaica in effetti, l’incisione di questo specifico conio del dritto restituisce una potenza espressiva che non ritornerà sovente nei decenni successivi. Passato questa primavera in asta Künker 365/5034 l'esemplare Westermark 16.2, 8,75 grammi, ex Rauch 74/61 del 2004, ex Peus 299/68 del 1980 e 282/35 del 1973, nonché proveniente da listino Höfer 9/133 degli anni ‘80: Dal British Museum invece l’esemplare Westermark 16.4, 8,61 grammi, che nel campo del rovescio, a destra, presenta un curioso graffito che il catalogo del corpus legge “AΘANAIA”:
    1 punto
  22. Comprendo ed in parte condivido @numa numa. Una emissione che pur non presentando qualità estetiche eccelse, comunque ha un suo posto di rilievo, mi sento di dire, nello sviluppo delle raffigurazioni della testa di Aretusa. Nella serie XIII del Boehringer essa presentava tratti ancora arcaicizzanti dopotutto, nella XIV aveva compiutamente valicato (forse ancora con stile non maturo) quel confine temporale ed artistico che coincideva con gli anni della caduta della tirannide Dinomenide a Siracusa e quelli immediatamente successivi. Ed alla serie XIVb appartiene il tetradrammo di apertura.
    1 punto
  23. Ecco la coppia.... ex Dorotheum 1948. d
    1 punto
  24. Fatto. La moneta sarà tolta dalla vendita.
    1 punto
  25. Ringrazio di cuore Rapax per le parole di stima. In effetti ho una discreta conoscenza dell’argomento grazie a svariati anni si studio sui numerosi lavori e interventi che si sono susseguiti dopo il grande lavoro del Crawford e avevo preso anche alcuni appunti. Ovviamente, anche alla luce di successivi studi e ripostigli, la classificazione del Crawford necessita di alcune rettifiche e integrazioni, che comunque non dovrebbero determinare una profonda revisione con importanti spostamenti cronologici, come ad esempio la datazione di inizio del denario dal 211 al 269 (quindi tornando alla tradizionale “datazione alta” senza considerare la nuova più recente teoria di Fusi Rossetti che vuole il denario nato nel 235 a.C. dopo la pace con Cartagine). Anche questa mia “puntata” vuole prendere le mosse dai dati emersi dai noti scavi di Morgantina, che temo non siano sufficientemente apprezzati o compresi in fondo da quelli che preferiscono una datazione più alta. Morgantina era una antica città sicula e greca, nei pressi dell’attuale Adone (Enna) e sorgeva su un allungato pianoro (attuale località Serra Orlando), che si eleva a sbarramento della vale del Simeto, sopra ampie vallate attraversate dai fiumi Eryces o Albos (attuale Gornalunga) e Chrysas (attuale Dittaino), frequentato fin dal XVIII secolo a.C. Si trattava di un passaggio obbligato delle vie di comunicazione tra la costa orientale e l'interno della Sicilia. A causa della sua importante posizione geografica, controllando una vasta area delimitata dalle Madonie e dall’Etna a nord, dal mar Ionio a est, dai monti Erei meridionali a sud e a ovest divenne appunto un importante centro siculo. Gli scavi archeologici ivi condotti, a partire dal 1955, con grande scrupolo dalla Missione Archeologica dell’Università del Princeton permisero, già un anno dopo l’inizio delle prospezioni, di identificare il sito con Morgantina, nota da varie fonti (Diodoro Siculo, Tucidide e Tito Livio). Le scarne informazioni letterarie, unite ai dati emersi dagli scavi, permisero di ricostruire con sufficiente approssimazione la storia di questa città. Intorno al 560 a.C. vi giunsero coloni greci di origine calcidese, forse provenienti da Katane. Questi coloni greci apparentemente convissero pacificamente con gli indigeni siculi. Nel 459 a.C. la città fu presa e distrutta da Ducezio (Diodoro XI, 78) e gli scavi archeologici hanno confermato le violente distruzioni di quell’epoca. Dopo la catastrofe, la città stentò a riprendersi e nel 424 a.C., in virtù del trattato di Gela, fu ceduta a Kamarina (Tucidide IV, 65, 142). Nel 396 a.C. fu conquistata da Dionisio I e con ogni probabilità rimase sotto l’influenza Siracusa (Diodoro XIV, 78,7). Solo dopo il 340 a.C., con la generale rinascita sotto Timoleonte, Morgantina riprese a fiorire, più a ovest rispetto alla cittadella arcaica distrutta. Alla fine del IV secolo a.C. la città si ingrandì rapidamente grazie ad Agatocle di Siracusa, che mirava a frenare l’influenza punica proveniente dalla Sicilia orientale (Diodoro XIX, 6, 2-3). Rimase prospera, fino a raggiungere circa 10.000 abitanti, anche durante il lungo regno di Ierone II (275-216 a.C,). Durante la prima guerra punica, che, NON DIMENTICHIAMO, fu sì una lunga e tremenda guerra (secondo le note parole di Polibio I, 63, 4), durata ben ventitrè anni, ma fu combattuta soprattutto attorno alle coste della Sicilia (e infatti sui fusi di quell’epoca predomina il noto tipo della prora di nave romana), Morgantina rimase saldamente in mano dei fedeli alleati siracusani e quindi non costituiva una minaccia per i Romani. Pertanto rimase sostanzialmente estranea a distruzioni che coinvolsero principalmente le coste occidentali della Sicilia (nella parte dell’eparchia punica), come l’assedio e occupazione di Agrigentum (262-261 a.C.), presa di Panormos (254 a.C), conquista di Lipari e Thermai (252 a.C.), lungo assedio di Lilibaion (dal 250 fino al 241, praticamente fino alla fine della guerra). All’inizio della seconda guerra punica Morgantina ospitò una guarnigione romana, ancora grazie alla fedele alleanza del vecchio Ierone II. Ma nel 215 a.C. il nuovo sovrano Ieronimo preferì allearsi con i Cartaginesi, causando una sequela di eventi che diverrà tragica per Siracusa stessa. Nel 213 a.C. Morgantina si ribellò ai Romani, prendendo le parti dei Cartaginesi e ospitando le truppe dello stratega cartaginese di origine siracusana Ippocrate. Nemmeno dopo la caduta di Siracusa nel 212 a.C. la città si arrese e pertanto subì un violento assedio da parte delle truppe romane al comando del propretore Marco Cornelio Cethego. Nel 211 a.C. capitolò e subì violente distruzioni. Dopo la conquista romana, le mure vennero completamente abbattute e l’abitato si restrinse notevolmente, lasciando fuori estese aree con terreno “sigillato” dalle distruzioni romane del 211 a.C. Per punizione la città e il suo territorio furono ceduti a legionari ausiliari spagnoli, guidati dal loro capitano Moericus (Livio XXVI, 21, 9-17) e che poi coniarono proprie monete di bronzo con leggenda HISPANORUM. Sotto gli Spagnoli la città continuò a vivere, sebbene con tenore assai più modesto. Le guerre servili del II secolo a.C. e l’esosa amministrazione romana nel corso del I secolo a.C. provocarono una grave crisi economica della città, che venne progressivamente disabitata fino a praticamente cessare di esistere intorno al 30 a.C. (già Stradone VI, 2, 4 testimoniava che nel 20 a.C. la città non esisteva più). Quindi Morgantina risulta di grande interesse proprio grazie alla presenza di strati “sigillati” dalla distruzione del 211 a.C., quindi di una data precisa che poteva costituire un sicuro “terminus ante quem” per i reperti eventualmente presenti in tali strati. Naturalmente questi strati potevano contenere anche materiali di epoca precedente a quell'anno. Sono state trovate molte monete greche e romane, poi descritte nel fondamentale secondo volume di “Morgantina Studies”, Princeton 1989. Dai dati a disposizione emerge molto chiaramente che in questi strati “sigillati” sono stati trovati denari romani e frazioni (non molti e TUTTI delle prime fasi di emissione e di alta conservazione). Inoltre, in un deposito sigillato rinvenuto in una cisterna dell’Area I (deposito n. 25) assieme a 8 quinari e 27 sesterzi anonimi fu rinvenuto anche un esemplare di moneta d’oro di 20 assi “marziale” (con testa di Marte/Aquila), tutti in altissima conservazione. In altri strati furono rinvenute anche monete siracusane soprattutto di Ierone II, ma anche sporadici esemplari di Ieronimo e della V Democrazia (214-211 a.C.). Questi e altri dati ancora (per i quali è meglio rinviare a questo volume, da leggere attentamente) hanno permesso di confermare senza ombra di dubbio che al tempo della distruzione di Morgantina i denari romani (con i correlati aurei marziali) stavano facendo la loro prima comparsa. I pochi quadrigati ivi rinvenuti erano più consunti, anche se spesso non di molto. Su un’altra altura prospiciente Morgantina e non ancora interessata da regolari scavi archeologici furono condotti dissennati scavi clandestini di tombaroli che hanno permesso di trovare numerosi ricchi ripostigli con un maggiore numero di denari anonimi delle iniziali emissioni di alta conservazione. Detto quanto sopra, appare difficile immaginare la presenza di denari romani risalenti alla prima guerra punica in un contesto sicuramente riconducibile alla seconda guerra punica e per di più con assenza di normale usura dovuta alla circolazione di almeno 40 anni…. Tuttavia i dati di Morgantina devono indurre necessità di alcuni correttivi alla sistemazione proposta dal Crawford. Se un aureo di 20 assi con quinari e sesterzi era già presente nel 211 a.C., esso non poteva risalire allo stesso anno di emissione, ma almeno alcuni anni prima! Ma come esattamente nacque il denario? Come avevo già accennato in precedenza, Roma, che finora stava egregiamente resistendo in Sicilia (meglio che in Apulia e Lucania, dove ancora imperversava Annibale fino alla clamorosa vittoria di Canne) grazie soprattutto ai generosi aiuti di Ierone II, iniziò a trovarsi in grave crisi., specialmente all’indomani della morte del vecchio alleato, a 92 anni, poco prima della fine dello sventurato anno 216 a.C. e quindi appena pochi mesi dopo la disfatta di Canne (grosso modo proprio quando Annibale stava facendo il suo ingresso a Capua, in Campania e quindi molto più vicino a Roma stessa). In Sicilia i Romani avevano avuto modo di conoscere bene anche la particolare struttura della monetazione siracusana, la quale fornì anche la “chiave” per meglio risolvere l’intima contraddizione della monetazione romana allora in vigore, con il didramma (quadrigato) di origine greca e la serie di bronzo basata sull’asse di origine italica, nel frattempo ormai divenuta fiduciaria. Secondo me qui bisogna fare un (lungo) passo indietro. Non dimentichiamo mai che i Romani non ragionavano in grammi, ma avevano come unità di misura più piccola il scrupulus (scrupolo), del peso di 1,137 g, pari a 1/288 della libbra romana di 327,46 g. Il sistema siceliota era invece basato sulla litra, del peso originario di 0,875 g e quindi corrispondente a 1/5 della dramma attica. In realtà, durante il lungo regno di Ierone II, si ebbe in progressivo avvicinamento fra i due sistemi monetari, con la intermediazione del complesso sistema tolemaico. Una importante chiave per facilitare una correlazione tra lo scrupolo e la litra fu l’istituzione di una nuova unità di misura, il chalkos (in greco Χαλκουσ). Originariamente era una moneta greca di bronzo che valeva 1/8 di obolo e pare che ad Atene 48 chalkoi corrispondessero a 1 dracma in argento. Successivamente entrò a far parte del sistema tolemaico. Grazie a Polluce (Onomasticon IV, 174 e ancora IX, 80) sappiamo che in Sicilia il chalkos era chiamato onkia (uncia), ossia nell’isola a un certo momento ci fu una “identificazione” di due denominazioni di origine metrologia diversa. Un’altra chiave per comprendere il sistema monetario nel corso del III secolo a.C. è la stessa struttura del talento siceliota, da non confondersi col classico talento attico di 60 mine. Il talento siceliota era molto più “leggero” e già al tempo di Aristotele il talento siceliota corrispondeva a 12 nomoi, che erano i didrammi corinzi, mentre in precedenza, nel V secolo a.C., il talento era composto da 12 tetradrammi attici. Questa composizione del talento era comprensibile se si tiene presente che il tetradramma attico era la moneta base del V secolo a.C., mentre lo statere (didrammo) corinzio era la moneta principale (vero dollaro di allora) nel IV secolo a.C., favorito anche dai successi dello stratego corinzio Timoleonte. In realtà il talento non rimase costante nel tempo, ma conobbe varie riforme che avevano lo scopo in parte di adattare le monete siciliane alla circolazione monetaria in vigore anche in Italia, pena l’espulsione della stessa moneta siceliota dalla ricca Magna Grecia. Pure la litra subì variazioni tali da non avere più l’originale peso di 1/5 della dramma attica. Alla fine del IV secolo – inizio III secolo a.C. lo statere o didramma italico (detto anche tarentino) pesava circa 7,8 g (anche se poi in alcune zecche italiche era calante a 7,7-7,5 g), il talento aveva la seguente corrispondenza: 1 talento = 6 stateri italici di 7,8 grammi = 120 litre da cui si evince che la litra ora pesava 0,39 g (ossia 6 x 7,8 g : 120). Infatti ci sono monetine d’argento di alcune zecche italiche, come Locri, Crotone, che recano un globetto (= 1 litra) del peso di circa 0,40 g e due globetti (= 2 litre) del peso di 0,75-0,80 g (cfr. SNG ANS 499-500 per Locri; SNG ANS 332-333 per Crotone, dove viene usato il generico nome di dioboli). Le cosiddette “Tavole di Locri”, in parte redatte al tempo di Pirro, esprimono chiaramente che 5 litre d’argento (quindi grossomodo del peso di 5 x 0,39 g = 1,95 g) venivano cambiate con una “litra” pesante di bronzo, non precisamente specificata. E’ possibile, ma è solo una vaga ipotesi, che essa vada riferita all’Aes Grave, la famosa libbra romana di 327,46 g, che stava già facendo la sua comparsa sulla scena monetaria. Una successiva riduzione, al tempo di Pirro, si ebbe quando lo statere italico scese da 7,8 a 7,3 g nell’area campana. Successivamente, al tempo della prima guerra punica, scese ancora a circa 6,6 g. Questa riduzione di peso fu certamente causata dalle notevoli spese di guerra. Ma anche sotto Tolomeo I (che morì nel 283 a.C.), fu creato un tetradramma di peso ridotto a circa 14,20 g. Come avevo già scritto prima, i primi didrammi romani pesavano 7,3 g e quindi corrispondevano a 6,5 scrupoli (6,5 x 1,137 = 7,39 g). Essi non circolarono in Sicilia ma solo nella Magna Grecia. A un certo momento, come già visto, i didrammi passarono a circa 6,6 g e quindi a 6 scrupoli (6 x 1,137 = 6,82 g sempre poi considerando la piccola differenza dovuta all’aggio). Gli abbondanti quadrigati erano ancora nomoi di 6 scrupoli ed ebbero grande diffusione in Sicilia e costituivano ancora la moneta corrente fra le truppe romane di stanza nell’isola quando scoppiò la seconda guerra punica. Ai primi tempi della guerra contro Annibale la Sicilia non fu direttamente coinvolta nelle vicende belliche e nell’alleata Siracusa la situazione monetaria presentava una struttura piuttosto complessa. Infatti Ierone II emise non solo monete d’oro, generalmente definite dramme attiche, con leggenda IEPONΩΣ, ma anche numerose emissioni in argento a nome suo, di sua moglie Filistide, del figlio Gelone e infine degli stessi Siracusani (intesi come popolo). Tali nominali sono stati generalmente calcolati sulla base di litre, presupponendo una litra lievemente ridotta di 0,85 g. Di conseguenza sono stati proposti i seguenti nominali in litre: 1) Kore/Biga AV (peso medio = 4,26 g) da 64 litre (teor. 4,36 g) 2) Ierone/Quadriga AR ( “ “ = 27,02 g) “ 32 “ ( “ 27,20 g) 3) Filistide/Quadriga AR ( “ “ = 13,55 g) “ 16 “ ( “ 13,60 g) 4) Gelone/Biga AR ( “ “ = 6,66 g) “ 8 “ ( “ 6,80 g) 5) Filistide/Biga AR ( “ “ = 4,55 g) “ 5 “ ( “ 4,25 g) 6) Gelone/Aquila AR ( “ “ = 3,33 g) “ 4 “ ( “ 3,40 g) 7) Apollo/Fig. femm. AR ( “ “ = 2,20 g) “ 2,5 “ ( “ 2,12 g) 8) Artemide/Civetta AR ( “ “ = 1,10 g) “ 1,25 “ ( “ 1,06 g) Pur essendo abbastanza stretta la corrispondenza con i valori teorici in litre, appare piuttosto strana la relativa scala di valori. Recentemente Caltabiano e suoi collaboratori hanno voluto vedere in tali nominali una metrologia tolemaica (M. Caccamo Caltabiano, B. Carroccio, E. Oteri, Il sistema monetale ieroniano: cronologia e problemi, in La Sicilia tra l’Egitto e Roma. La monetazione siracusana dell’età di Ierone II, Accademia Peloritana, Messina 1995, dal quale sono stati tratti i pesi medi delle varie emissioni ieroniane). In particolare la moneta più pesante a nome di Filistide sarebbe un tetradramma tolemaico dello standard ridotto da Tolomeo III, nel 220 a.C. circa, a circa 13,90 g. Così la grossa e rara moneta con l’effige di Ierone II e quadriga sarebbe un ottodramma. In realtà i nominali di Ierone, pur ispirandosi liberamente alla monetazione tolemaica, presentano mediamente un peso piuttosto cedente rispetto alle coeve monete tolemaiche e non circolarono fuori della Sicilia e non sono state rinvenute nei possedimenti tolemaici, mentre monete tolemaiche, specie di bronzo, sono state rinvenute con una certa frequenza nell’isola e nell’Italia meridionale. Senza dubbio le monete ieroniane potevano essere scambiate con tali monete straniere, stante anche le piccole differenze di peso. Inoltre è corretto ammettere la possibilità che i tipi e anche le rese stilistiche abbiano risentito di una marcata influenza proveniente dall’Egitto. Tuttavia ritengo che le monete in argento venivano conteggiate soprattutto in scrupoli, a seguito anche degli stretti rapporti con Roma (ipotesi già adombrata da P. Marchetti, Monnayages puniques en Sicile au cours de la deuxième guerre punique, Studia Phoenicia. IX. Numismatique et histoire économique phéniciennes et punique, Louvain-La-Neuve, 1992, p. 107-120, in parte riprendendo la vecchia ipotesi di W. Giesecke, Sicilia Numismatica, Leipzig, 1923, p. 117-139.). Così abbiamo: 2) Ierone/Quadriga (peso medio = 27,02 g) da 24 scrupoli (teor. 27,29 g) o ottodramma 3) Filistide/Quadriga ( “ “ = 13,55 g) “ 12 “ ( “ 13,64 g) o tetradramma 4) Gelone/Biga ( “ “ = 6,66 g) “ 6 “ ( “ 6,82 g) o didramma 5) Filistide/Biga ( “ “ = 4,55 g) “ 4 “ ( “ 4,55 g) o dramma 6) Gelone/Aquila ( “ “ = 3,33 g) “ 3 “ ( “ 3,41 g) o dramma ridotta 7) Apollo/Fig. femm. ( “ “ = 2,20 g) “ 2 “ ( “ 2,27 g) o emidramma 8) Artemide/Civetta ( “ “ = 1,10 g) “ 1 “ ( “ 1,14 g) o emidramma ridotto Una siffatta scala di valori appare molto più logica. In particolare è facile osservare che l’emissione n. 4, con Gelone/Biga, veniva scambiata con il quadrigato di analogo peso e l’emissione n. 6 con il mezzo quadrigato, più raro ed emesso solo nei primi tempi. Ierone II era il principale fornitore di vettovaglie, mercenari e valuta agli alleati romani e di conseguenza aveva bisogno di avere a disposizione una maggiore scala di nominali di metallo prezioso per fare fronte alle varie spese di guerra. E’ presumibile che Ierone II, per fare fronte alle notevoli spese, avesse stabilito una complessa riforma monetaria, collegando da una parte lo scrupolo presente sulle monete d’argento e dall’altra parte il chalkos di bronzo, già in vigore al tempo della prima guerra punica e ispirato dalle coeve monete tolemaiche. In particolare la struttura fondamentale del talento in argento sarebbe la seguente: talento ieroniano del 218 a.C. g. 54,58 1 ottodramma di 27,29 g (24 scrp) g. 27,29 2 1 tetradramma di 13,64 g (12 scrp) g. 13,64 4 2 1 didramma di 6,82 g (6 scrp) g. 6,82 8 4 2 1 dramma di 4,55 g (4 scrp) g. 4,55 12 6 3 1,5 dramma ridotta di 3,41 g (3 scrp.) g. 3,41 16 8 4 2 1 emidramma di 2,27 g (2 scrp.) g. 2,27 24 12 6 3 1,5 emidramma ridotta 1,14 g (1 scrp.) g. 1,14 48 24 12 6 3 litra = chalkos g. 0,227 240 120 60 30 15 Quindi, secondo questo schema, la litra era ormai precipitata al peso di 0,227 grammi. Tuttavia in pratica non si chiamava più litra, ma chalkos. Infatti Ierone emise ancora tre piccole frazioni in argento, molto rare, presumibilmente verso la fine del suo lungo regno: 9) Tripode/XIIΠ al centro del campo AR (peso medio = 1,70 g) 10) Atena/tre globuli e XIII al centro del campo AR (peso medio = 0,77 g) 11) Eracle/XII al centro del campo AR (peso medio = 0,48 g) i segni di valore riportati al rovescio significano rispettivamente 7 (2+5), 3 e 2 ch(alkoi), ove “ch” in greco è indicato dalla lettera X. Forse la corrispondenza dei loro pesi con i multipli del chalkos di 0,227 g (7 x 0,227 g = 1,59 g; 3 x 0,227 g = 0,68; 2 x 0,227 g = 0,45 g) non sembra così stringente, ma non si deve dimenticare che sono frazioni molto piccole e quindi con una approssimazione più grossolana rispetto al peso teorico. Il talento ieroniano, che in argento pesava 54,58 g, è stato monetizzato sotto forma di aureo del peso medio di 4,26 g, con i tipi Kore/biga. Di conseguenza il rapporto AV:AR era di 4,26:54,58 ossia di 1:12,8 (oppure di 1:13, tenendo presente un aggio nel cambio sull’argento), un rapporto nei limiti della norma per quei tempi. Meno definita è la sua monetazione di bronzo. All’inizio della seconda guerra punica è costituita sostanzialmente dai seguenti nominali: 12) Ierone diademato/Nike su biga BR (peso medio = 34,84 g) 13) Ierone diademato/Cavaliere BR (peso medio = 17,27 g) 14) Poseidone a s./Tridente BR (peso medio = 8,49 g: variante con modulo largo) 15) Apollo/Cavallo BR (peso medio = 4,20 g) Le emissioni di bronzo con testa laureata di Ierone II sono anteriori rispetto alle emissioni con testa diademata e risalgono al tempo della prima guerra punica o poco dopo. Si nota che i rapporti tra i quattro nominali sono di 8 : 4 : 2 : 1 oppure di 1 : 1/2 : 1/4 : 1/8. Tali monete non hanno un’ovvia corrispondenza con i bronzi romani. E’ da rilevare che solo a partire dallo standard semilibrale e soprattutto postsemilibrale i bronzi romani cominciarono a circolare in Sicilia, ma i loro pesi ancora non combaciavano con i bronzi ieroniani, con la sola eccezione di una interessante e rara emissione forse battuta in Sicilia (la cosiddetta doppia litra con testa elmata di Atena/Aquila su fulmine e ROMANO, Crawford 23/1, emessa forse a Messana durante la prima guerra punica, che appare coniata su un peso vicino ai 17 g, come la nostra emissione n. 13). Il peso di circa 17 g per il bronzo risulta essere adottato anche da popoli di stirpe italica coinvolti nella prima guerra punica: i Mamertini (cfr. Calciati I, 91, 1, 3, 7) e i Brettii (cfr. SNG ANS 1). Si hanno fondati sospetti che la moneta di bronzo più pesante, con Ierone/Nike su biga, del peso di circa 34 g, fosse il chalkos di bronzo (e consequentemente le altre emissioni sarebbero costituite da 1/2, 1/4 e 1/8 chalkos). Se è valida questa ipotesi (adombrata dalla Caltabiano) si avrebbe un rapporto AR:BR di 0,227:34 ossia di circa 1:150, leggermente superiore al rapporto di 1:120 in vigore nel mondo romano, con un conseguente maggiore aggio nel cambio tra argento e bronzo a Siracusa. Dopo la disfatta di Canne, nel 216 a.C., i Romani conobbero una grave crisi militare ed economica, che si riflettè anche sulla loro monetazione. I quadrigati si svilirono enormemente e le monete di bronzo calarono rapidamente di peso. Dal piede postsemilibrale dell’asse di 120 scrupoli (in vigore poco prima della disfatta di Canne) si passò, con una sequenza drammaticamente rapida, a uno di 96 scrupoli (piede trientale), di 72 scrupoli (piede quadrantale) e infine di 48 scrupoli (piede sestantale). E’ difficile dire se fu una reale svalutazione anche se precipitosa o piuttosto un maggiore e crescente grado di fiduciarietà, per avvicinarsi ulteriormente al bronzo di usuale uso in Sicilia (e in Magna Grecia). Comunque a tale calo ponderale non fu estranea la morte del fedele alleato Ierone, alla fine del 216 a.C., e il conseguente deterioramento dei rapporti tra Roma e Siracusa. Infatti il nuovo sovrano Ieronimo, nipote di Ierone II e giovinetto appena quindicenne, propugnò una politica filocartaginese, apparentemente con l’appoggio della maggior parte del popolo siracusano e su istigazione degli ufficiali cartaginesi Ippocrate ed Epicide, che erano oriundi siracusani e inviati da Annibale in qualità di ambasciatori. Per sottolineare il voltafaccia politico non continuò i nominali del nonno, con l’eccezione della canonica moneta d’oro. Infatti le sue monete assumono nuovi valori, usualmente così identificati : 16) Kore/Fulmine AV (p. medio = 4,24 g) da 60 litre (teor. 4,25 g) o dramma attico 17) Kore/Fulmine AV ( “ “ = 2,12 g) “ 30 “ ( “ 2,12 g) o emidramma attico 18) Ieronimo/Fulmine AR ( “ “ = 19,69 g) “ 24 “ ( “ 20,35 g) 19) Ieronimo/Fulmine AR ( “ “ = 8,45 g) “ 10 “ ( “ 8,50 g) 20) Ieronimo/Fulmine AR ( “ “ = 4,25 g) “ 5 “ ( “ 4,25 g) 21) Ieronimo/Fulmine BR ( “ “ = 8,63 g) “ 1 “ ( “ 9 g ca.) alle quali si deve aggiungere anche il seguente bronzo ieroniano deprezzato: 22) Poseidone/Tridente BR (p. medio = 6,24 g: variante con modulo stretto) In altre parole, Ieronimo, nei tredici mesi del suo regno, utilizzò una litra maggiorata di 0,85 g, assai vicina alla vecchia litra di 0,872 g. Oltre al suo ritratto, Ieronimo appose come unico tipo del rovescio il fulmine, il simbolo di Zeus Eleutherios, ossia di “Zeus della liberazione dallo straniero“ (ossia romano), similmente a quanto aveva già fatto Timoleonte nel secolo precedente contro, ironia della storia, i Cartaginesi (come giustamente già annotato da (G. Manganaro, La monetazione a Siracusa tra Canne e la vittoria di Marcello (216-212 a.C.), Archivio Storico per la Sicilia Orientale, LXV (1969), p. 287). L’uso di un didramma tradizionale da 10 litre di peso forte (8,50 g di argento) rispetto al precedente didramma di 6 scrupoli (6,82 g), come il quadrigato, permetteva a Ieronimo di trovarsi in una posizione più avvantaggiata anche se più onerosa nel reclutamento dei mercenari necessari per opporsi alle truppe romane. Inoltre Ieronimo, con l’adozione della litra di 0,85 g, desiderava ripristinare l’antico splendore e l’autonomia di Siracusa, non immaginando il disastro a cui andava incontro. Se sotto Ieronimo si era di nuovo allontanato il collegamento fra l’argento siceliota e quello romano, per la prima volta si verificò una vera equivalenza tra il bronzo siceliota e quello romano, che si stava diffondendo sempre più in Sicilia. Secondo me la cosiddetta litra di bronzo fu emessa tenendo in considerazione la coeva moneta romana. In caso contrario si avrebbe una moneta fiduciaria avulsa dal contesto della reale circolazione monetaria. In quel momento (primavera del 215 a.C.) la moneta romana si trovava forse nella fase trientale. Considerando l’asse trientale di 96 scrupoli, la corrispondente uncia pesava 9,10 g (96 : 12 = 8 scrupoli x 1,137 g = 9,096 g), quindi all’incirca lo stesso peso del bronzo di Ieronimo. In altre parole, la litra bronzea di Ieronimo sarebbe in realtà un chalkos, a sua volta equivalente a una uncia corrente (in questo caso trientale), anticipando l'equivalenza chalkos = onkia attestata, come già visto, da Polluce. Quando, forse già nell’estate del 215 a.C., il piede romano si svalutò al livello quadrantale di 72 scrupoli, la relativa uncia era scesa al peso di 6,82 g. In questo caso la moneta siracusana corrispondente all’uncia quadrantale era costituita dall’emissione coi tipi Poseidone/Tridente di modulo stretto (la nostra emissione n. 22), approntata in fretta e utilizzando i vecchi tipi ieroniani per motivi puramente pratici, in quanto negli ultimi mesi del suo breve regno anche Ieronimo cominciava ad avere difficoltà contro i Romani. Il talento d’argento di Ieronimo dovrebbe essere stato strutturato nella seguente maniera: talento di Ieronimo del 215 a.C. g. 51,00 1 Tetradramma ? da 24 litre g. 20,35 2,5 1 Didramma da 10 litre g. 8,50 6 2,4 1 Dramma da 5 litre g. 4,25 12 4,8 2 1 litra g. 0,85 60 24 10 5 Secondo questa ipotetica ricostruzione, ancora inedita, il talento d’oro di 4,25 g, come al tempo di Ierone II, ora veniva scambiato con un talento di argento di 51 grammi, con un rapporto AV:AR esattamente di 1 : 12, un rapporto in vigore anche nel mondo punico. Poichè abbiamo visto che il cosiddetto chalkos in bronzo dovrebbe pesare 9,10 g, essendo equivalente all’uncia trientale, e considerando che la litra è formata da 12 onkiai, ne consegue che la litra dovrebbe ora pesare 12 x 9,10 g = 109,12 ossia era equivalente all’asse trientale. I Romani, visto il precipitare della situazione sul fronte siciliano, decisero, nell’inverno del 215/214 a.C. o al massimo subito dopo l’assassinio di Ieronimo (marzo 214 a.C.), di emettere una nuova moneta ridotta, non più da 6 scrupoli, ma da 4 scrupoli. Così nacque il denarius o denario, del peso di 4,54 g (4 scrupoli x 1,137 g). Non era un nominale completamente nuovo, essendo presente già nell’emissione n. 5 di Ierone. A maggiore somiglianza con la precedente metrologia ieroniana, furono emessi anche (e forse pochissimo prima dello stesso denario) il quinarius o quinario da 2 scrupoli (come l’emissione ieroniana n. 7) e il sestertius o sesterzio da 1 scrupolo (come l’emissione ieroniana n. 8). Queste monete, appunto suggerite ai Romani dalla particolare metrologia ieroniana, adottarono i tipi militari di Roma elmata/Dioscuri, i protettori dell’esercito romano, al posto di Giano imberbe dello sfortunato quadrigato, di ispirazione etrusco-campana. Il quinario e il sesterzio circolarono quasi esclusivamente in Sicilia e nell’Apulia. Per facilitare l’aggancio con la parte duodecimale del sistema dello scrupolo, a sua volta collegato al sistema greco e tolemaico, essendo ormai scomparso il raro mezzo quadrigato, fu coniato il victoriatus o vittoriato da 3 scrupoli (= 3,41 g). Forse quest’ultimo nominale precedette il denario di quasi un anno, adottando i tipi Giove/Vittoria incoronante un trofeo, ove il Zeus romano e beneaugurante di trionfi sull’elemento punico era qui subito contrapposto al fulmine del Zeus Eleutherios di Ieronimo. Quando uscirono questi nuovi nominali, il piede bronzeo era ormai al livello sestantale di 48 scrupoli e il denario, come dice lo stesso nome, valeva esattamente 10 assi sestantali. E’ probabile che il talento ora corrispondesse a 12 denari. Di conseguenza in questo particolare e delicato momento storico i nuovi rapporti di valore che si sono venuti a creare con la riforma denariale venivano così stabiliti: talento del 215/214 a.C. (= AV di 6 scrupoli) 1 denario (= AR di 4 scrupoli) 12 1 asse sestantale (o litra o chalkos) 120 10 1 uncia 1440 120 12 1 In altre parole, in quel particolare momento storico 1 asse sestantale valeva anche 1 litra di bronzo. Contestualmente alla riforma monetaria con introduzione del denario, Roma emise anche monete d’oro recanti i segni di valore da 60, 40 e 20 assi e pesanti rispettivamente 3, 2 e 1 scrupolo. E’ interessante osservare come la somma di 3+2+1 = 6 scrupoli corrisponda esattamente al nuovo talento. Inoltre la somma di 60+40+20 = 120 assi corrisponde appunto al valore sovrariportato di un talento in 120 assi. La riforma denariale ebbe successo, anche perchè fu subito confortata da importanti successi militari. Invece la rivale Siracusa, retta dall’oligarchia democratica e ormai posta sotto assedio, dovette dare fondo alle proprie riserve per emettere ancora una ricca serie di monete in argento, oltre a una rarissima emissione d’oro (una dettagliata descrizione delle emissioni in metallo prezioso della V repubblica di Siracusa è contenuta in A. Burnett, The Enna hoard and the silver coinage of the Syracusan democracy, Schweizerische Numismatische Rundschau, 62 (1983), p. 5-46), per fare fronte ai pagamenti dei mercenari e vettovaglie, senza i quali si sarebbe subito arresa ai Romani nonostante lo sforzo degli alleati cartaginesi. Apparentemente si continuò a usare il sistema della litra di 0,85 g inaugurato da Ieronimo, il che è comprensibile se si considera il persistente clima antiromano. Tuttavia il piede sestantale non rimase a lungo in vigore. Già nel 212 a.C., poco prima della conclusione dell’assedio di Siracusa, il piede era ancora più fiduciario, scivolando verso il livello unciale (con asse di 24 scrupoli). Fu una mossa dettata anche da motivi pratici, anche per una ulteriore maggiore maneggevolezza. L’uncia ora pesava 4,55 grammi e i Romani poterono ricavare molte uncie di tale peso tagliando a metà specialmente i comuni bronzi ieroniani con Poseidone/Tridente di modulo largo (nostra emissione n. 14). Inoltre alcuni nominali superiori di piede unciale vennero ricavati mediante riconiatura di bronzi siracusani, che poi divennero disponibili in grande quantità con l’espugnazione della città nemica. L’esistenza del piede unciale prima della fine della guerra annibalica è incontrovertibile e accettata da tutti gli studiosi (Basta consultare il volume su La Sicilia tra l’Egitto e Roma. La monetazione siracusana dell’età di Ierone II, Accademia Peloritana, Messina 1995). A causa della fiduciarietà del bronzo i calcoli diventano complicati e troppo “teorici”. Bisogna poi considerare che il denario romano allora diminuì il proprio peso, attestandosi sui 3,5 scrupoli (pari a 3,96 g). Il quinario e il sesterzio rapidamente non furono più coniati, seguiti poi dal vittoriato. Verso la fine del III secolo a.C. nelle provincie il piede romano ricominciò a scendere verso il livello semiunciale (di 12 scrupoli). Infatti, ad esempio, i bronzi di Vibo Valentia (nel Bruttium) e di Copia (nella Lucania), emessi dopo la loro fondazione (rispettivamente nel 193 e 192 a.C), erano coniati sul piede prevalentemente semiunciale, ma appunto erano ormai monetine fiduciarie, con peso molto variabile e comunque garantite dal forte denario e il talento corrispose sempre a 120 assi (litre). Dalla ricostruzione soprariportata emerge chiaramente l’influenza siracusana (e in particolare ieroniana) sulla genesi del denario romano quale moneta di guerra, che poi divenne uno dei maggiori strumenti del dominio di Roma sul mondo allora conosciuto. Adesso vi autorizzo di svenire per sfinimento :rolleyes: ……. e apprezzo sempre costruttive critiche (mica sono perfetto io….) :huh:
    1 punto
  26. Le problematiche sollevate in questa discussione sono di grande interesse e sono ancora ben lungi dall’essere risolte, nonostante gli impegni e gli arroccamenti della “middle-theory” della scuola anglosassone. Purtroppo i dati archeologici ancora non sono esaustivi e possono fornire solo alcuni dati certi. Per quanto riguarda l’aes signatum, in particolare quello con il “ramo secco”, esso è sicuramente attestato almeno a partire dalla metà del VI secolo a.C., come già ipotizzato da Paolo Orsi (in BPI 1900, p. 276-277) grazie al ripostiglio di lingotti di bronzo rinvenuti a Terravecchia di Grammichele e confermato dall’importante ritrovamento di Bitalemi, nel santuario dedicato a Demetra vicino a Gela, con 31 depositi di vari materiali, soprattutto di bronzo, con peso che va da 1,41 kg a 11,7 kg (Piero Orlandini, Gela – Depositi votivi di bronzo premonetale nel santuario di Demetra Thesmophoros a Bitalemi, AIIN, 12-14, 1965-1967, p. 1-20). Nel deposito n. 26 fu rinvenuto un frammento di lingotto con “ramo secco”, del peso di 0,425 kg. Tutti questi depositi si trovavano nello strato 5°, che è risultato essere fortunatamente sigillato e datato con una certa sicurezza al periodo 640-540 a.C. (successivamente poi meglio circoscritto agli anni 570-540 a.C.). Solo a partire dallo strato 4° e a risalire fino al primo sono state trovate monete coniate, ma purtroppo già lo strato 4° non era sigillato e protetto come il precedente e anzi risulta sconvolto, prima a causa della ricostruzione del santuario attuata nella prima metà del V secolo a.C. e poi della distruzione perpetrata dai Cartaginesi nel 405 a.C. Quindi non esistono dubbi che l’aes signatum nella sua forma più primitiva, con “ramo secco”, possa risalire già nel VI e avere avuto una vita lunga, forse fino a tutto il IV secolo a.C.. Il peso di tali lingotti è estremamente variabile e non risulta ancorato a un preciso standard ponderale e l’opinione prevalente è che siano delle forme premonetali e non monete vere e proprie. Molto probabilmente furono prodotti in ambito privato, forse specialmente etrusco-settentrionale, e quindi commercializzato come “materia prima” del bronzo, scambiato a peso, caso per caso, secondo le necessità, in tutta Italia fino alla stessa Sicilia. Non so se siano state effettuate sufficienti analisi metallografiche per meglio comprendere l’origine del bronzo usato in tali lingotti. Questi bronzi quindi circolavano anche a Roma all’epoca regia (che si concluse, come è noto, con la cacciata di Tarquinio il Superbo nel 510/509 a.C.) alimentando anche la famosa tradizione pliniana di Servio Tullio come “primus signavit aes”. Il discorso ovviamente cambia nel caso di particolari lingotti, anch’essi definiti “aes signatum”, ma più noti come “quadrilateri”, con varie raffigurazioni e talvolta iscrizione ROMANO o ROMANOM (all’inizio anche uno con iscrizione in forma greca). Importante è la presenza su uno di essi con il tipo dell’elefante, che le antiche fonti unanimemente confermano che era sconosciuto ai Romani perima del 280 a.C., ale tempo della spedizione di Pirro (e infatti i Romani usarono inizialmente il termine “buoi di Lucania”, non avendoli MAI visti). Perciò la ricostruzione del Crawford non appare, almeno a prima vista, inverosimile e il primo lingotto, quello con leggenda in greco POMAIΩN può essere fatto risalire all’epoca dei primi contatti con l’ambiente greco-campano del 326 a.C. La prima moneta romana coniata, di bronzo con POMAIΩN, deve necessariamente stata coniata dal partito filoromano di Neapolis in occasione o poco prima del foedus neapolitanum del 326 (i conii non furono approntati ad hoc ma si riutilizzarono quelli usati per monete neapolitane, modificando l’etnico). In quel tempo a Roma ANCORA NON CIRCOLAVA VERA MONETA e gli scambi erano affidati all’aes rude, che erano grandi pani di bronzo, in genere circolari, che venivano rotti in frammenti di peso variabile. Non deve sorprendere una comparsa sostanzialmente tardiva della moneta (sia fusa che coniata) presso i Romani. L’espansionismo romano fino ad allora fu sostenuto da numerosi altri fattori e non necessariamente implicava il denaro emesso. Esso fu sostenuto soprattutto da alleati e da elargizioni di terre (lo stesso Dionisio I di Siracusa riuscì a sostenere gravosissime guerre contro Cartagine e con alle spalle numerosi mercenari utilizzando un sistema monetario sostanzialmente monometallico in bronzo, ricorrendo soprattutto ad altri espedienti, come la concessione di terre e fortezze ai mercenari). Solo dopo il foedus neapolitanum del 326 l’espansionismo romano assunse un andamento quasi esponenziale, proiettandosi prepotentemente sulla Magna Grecia, con conseguente necessità per Roma di avere monete per i suoi traffici commerciali. Le prime monete d’argento furono didrammi di peso intorno a 7.3 g (Cr. 13), intorno al 280 a.C. In realtà questa moneta, con Testa elmata di Marte/Protome di cavallo e ROMANO, fu prodotta con discreta quantità (per la presenza di almeno 15 conii D e 20 conii R) e i ripostigli dimostrano che circolò a lungo nella Magna Grecia e non a Roma (infatti furono coniati in altra zecca, che per me è ancora Neapolis piuttosto che Metapontum come sostenuto dal Crawford). A Roma invece già comparvero i lingotti quadrilateri precedentemente descritti, con peso intorno a 1,5 kg se integri (ma vengono quasi tutti ancora rotti in frammenti come con i più vecchi lingotti di “ramo secco”.): interessante osservare che i vari quadrilateri interi hanno peso piuttosto costante e quindi furono emessi in un arco di tempo abbastanza contenuto. La guerra di Pirro (280-276 a.C.) costituì il primo fondamentale “spartiacque” per la monetazione romana. I primi didrammi già descritti avevano piede ponderale ancora allineato al piede in vigore soprattutto nelle Campania greca. Ma dopo la prestigiosa vittoria del 276 a.C. Roma si trovò quasi padrona della Magna Grecia e dovette cambiare la sua politica monetaria. Finalmente comprese che per una città greca battere la moneta aveva un grande significato politico, essendo segno tangibile dell’esistenza di uno stato indipendente. Quindi per prima cosa Roma proibì le città sconfitte (Taranto, Metaponto, Heraclea, Velia, ecc) di coniare monete con il loro nome. Per ovviare alla sopravvenuta penuria monetaria, Roma avrebbe potuto o imporre a tutti la moneta neapolitana, bene conosciuta e accettata, oppure nuove monete a nome di Roma. Invece, con il famoso senso pragmatico che poi caratterizzerà la politica romana, i Romani preferirono non stravolgere troppo le abitudini delle popolazioni magnogreche, da sempre alle prese con una circolazione monetaria estremamente varia e con monete emesse da numerose polis. Cosa fecero? Semplicemente affiancarono alle monete di Neapolis, che infatti continuarono ad essere emesse (poi affiancate dalle cosiddette monete campano-tarentine grazie alla riapertura della zecca di Tarentum, per motivi logistici, ma senza ancora dare alla città il diritto di apporre il proprio nome essendo ancora troppo vicino il ricordo della sua alleanza con il nemico Pirro), nuove emissioni con leggenda ROMANO e anche di altre città che non si erano compromesse con la guerra contro Pirro (come Cales, Suessa, Teano, ecc.). La prima nuova emissione fu Cr. 15, con Testa laureata di Apollo/Cavallo galoppante, del peso di circa 7,2 g (emessa al più tardi nel 275 a.C. ama non escludo anche poco prima della vittoria di Benevento), a cui seguì subito dopo Cr. 20, con Testa di Eracle/Lupa e ROMANO, con peso intorno a 7,1 g. A queste emissioni si affiancano vari nominali in bronzo che seguono il medesimo standard ponderale di Neapolis. Queste monete continuano a essere rinvenute soprattutto nell’Italia meridionale e solo molto sporadicamente anche nel Lazio. In questo periodo quindi Roma di fatto impose la propria moneta, ma dando alle popolazioni magnogreche l’illusione che nulla fosse cambiato. Nel frattempo a Roma e nell’Italia centrale, subito dopo o parallelamente ai quadrilateri, forse già intorno al 280 e quindi in occasione della guerra pirica, comparvero finalmente le prime serie fuse, con segni di valore e valore strettamente legato a quello del metallo contenuto, basate soprattutto sull’asse librale romano di 327,46 g (pari a 288 scrupoli romani). Il realtà il sistema continua ad essere monometallico e basato sul peso, ma per la prima volta fu espresso con chiarezza il suo valore e non era più necessario spezzare la moneta! La circolazione delle monete fuse fu rivolta soprattutto verso le regioni interne della penisola, mentre quella delle monete coniate era invece rivolta specialmente verso le regioni di influenza greca. Alcune città di frontiera successivamente emisero monete sia fuse che coniate, come ad esempio Ariminum (a nord) e Luceria (a sud). Il secondo “spartiacque” della monetazione romana coincise con la prima guerra punica (264-241 a.C.). A causa delle nuove necessità belliche si interruppe la produzione delle monete campane e campano-tarentine e il didramma d’argento subì una svalutazione, passando da 7,3 g a 6,6 g. Questo fondamentale dato è ormai chiaramente e definitivamente accertato analizzando anche le emissioni di altre città magnogreche. A causa di questa svalutazione per l’inizio della guerra si pose l’ovvia necessità di procedere a una massiccia produzione di monete per sostituire quelle che circolavano prima. Per Roma questa guerra presentava un importante elemento che la differenziava da quella contro Pirro. A differenza di quella guerra, questa volta Roma ebbe alleate la maggior parte delle città della Magna Grecia, che non solo rimasero fedeli, ma contribuirono enormemente sia al sostegno economico che alla vittoria soprattutto navale. La flotta romana, che fu la vera chiave di successo di questa guerra, fu allestita quasi completamente da Neapolis, Taranto e Locri. Per questa ragione a quel tempo ripresero le emissioni a nome di Taranto (cfr. SNG ANS 1081-1262) e di altre città, come Thurium e Crotone. Sempre sullo stesso nuovo standard di 6,6 g furono emessi nuovi didrammi romani, all’inizio ancora con ROMANO (Cr. 22 con testa elmata di Roma/Vittoria) e poi con ROMA (Cr. 25, 26, 27). Limitatamente alla circolazione verso l’interno continuò l’emissione di fusi, ora basati sull’asse librale di 286,52 g (= 252 scrupoli) e poi di 272,88 g (= 240 scrupoli romani, detto anche “osco-latino”). Quest’ultimo piede rimase in vigore fino alla fine della prima guerra punica. Voi vi chiedete come ha fatto Roma a poter sostenere l’onerosa prima guerra punica con pochi didrammi e molti scomodi e pesanti fusi di bronzo. La risposta è piuttosto semplice. I Romani poterono contare sul sostegno economico sia in beni materiali che nella stessa moneta dei suoi numerosi ricchi alleati. In questa maniera poi si spiega bene il perfetto allineamento tra la moneta d’argento romana e quella magnogreca, che non potrebbe assolutamente essere spiegata con il denario. Ovviamente all’interno di questo periodo non tutto il Crawford è “oro colato”. Ho delle riserve per alcune sistemazioni soprattutto del bronzo. Non mi sembra corretta la coesistenza in una stessa serie di monete di bronzo fuse e coniate. Ad esempio nela serie Cr. 25 c’è la cosiddetta litra Cr. 25/3, che è coniata, mentre Cr. 25/4-9 sono fuse, dall’asse all’uncia. Come faceva una monetina, la Cr. 25/3, che pesava quasi 1/180 della libbra, ad appartenere allo stesso sistema. La soluzione sta nel tenere separati i due sistemi: quello basato sull’asse fuso, che è monometallico con valore reale del metallo contenuto (destinato appunto alle regioni etrusche e italiche) e quello, molto più sofisticato e di derivazione greca, bimetallico, basato sul didramma con moneta di bronzo svincolata dal valore del metallo contenuto e perciò diventata fiduciaria (come appunto in vigore da tempo nel mondo greco). A me sembra risibile la definizione di litra data a questa monetina da Crawford. Se si osserva ad esempio la “litra” Cr. 27/4 si nota una S sopra il Pegaso. Si tratta quindi di una semuncia, ma di valore appunto fiduciario. Le serie fusa e coniata sono coeve ed emesse sotto la stessa autorità di Roma, ma, come già più volte sottolineato, destinate ad aree di circolazione diverse. Emblematico il caso di Luceria, vera città di confine fra le due aree di circolazione, con monete sia fuse che coniate. Alla fine della prima guerra punica il quadro monetario diventa molto complicato. L’ultima emissione alla fine della guerra sembra essere la Cr. 35 (sempre con asse librale di 240 scrupoli), che quindi andrebbe fatta risalire nel tempo rispetto alla cronologia di Crawford. Tra il 242 e il 225 a.C. Roma non rimase inerte sul piano militare, in quanto ben presto si profilò la necessità di debellare il pericolo dei Celti nel settentrione della penisola (ossia dall’unico lato ancora fuori dal controllo romano). Tale periodo si concluse appunto nel 225 a.C. con la battaglia di Telamone. Inizialmente continuarono forse solo le serie fuse Cr. 36 e 37 ancora basate sull’asse librale di 240 scrupoli, ma già con la creazione dell’asse semilibrale di 120 scrupoli (136,44 g) crollò il sistema monometallico con il bronzo realmente valutato a peso (a partire da Cr. 38). In realtà l’asse continuò ad essere valutato come asse, senza quindi modificare il potere di acquisto, ma cominciò ad assumere “connotati” fiduciari. E’ in po’ come oggi sostituiamo una vecchia banconota con una nuova dello stesso valore, ma di formato più piccolo. Questo nuovo concetto di MONETA FIDUCIARIA DI BRONZO si affermò definitivamente nella mente dei Romani e tutte le successive riduzioni di peso dell’asse sono servite solamente a creare una moneta di bronzo più agevole. I veri attuali problemi numismatici riguardano piuttosto i tempi dell’evoluzione di tale unificazione dei due sistemi e l’esatto momento della comparsa del cosiddetto quadrigato (ancora un didramma di 6,6 g) e poi anche del denario. In pratica Crawford stabilisce che il quadrigato fece la sua comparsa solo alla fine della guerra celtica. Forse è possibile retrodatarlo di un poco, appunto come moneta nata per armare il forte esercito contro i Celti, assieme alla prima serie in oro, statere e mezzo statere con la famosa scena del giuramento. E’ possibile che tale scena ricordi l’alleanza di non pochi confederati italici (e anche mercenari), che in effetti furono arruolati da Roma contro il nemico sceso dal nord. Con la nascita del quadrigato e del bronzo ormai solo coniato con valore fiduciario sembrò per Roma di avere raggiunto un assetto definitivo o almeno stabile. In realtà questo nuovo sistema conteneva una intima contraddizione non sanabile. Da una parte c’era l’argento di netta derivazione greca, mentre dall’altra parte c’era il bronzo che, anche se ormai fiduciario, ancora esprimeva valori di derivazione centro-italica, con l’asse e i suoi sottomultipli. Negli anni compresi tra il 225 e lo scoppio della seconda guerra punica (218-202 a.C.), il terzo fondamentale "spartiacque" monetario, fu probabilmente emesso il vittoriano, ossia una dracma e quindi un mezzo vittoriano, destinato alle aree ancora periferiche al dominio di Roma. Allo scoppio della guerra contro Annibale il quadrigato iniziò chiaramente la sua discesa sia ponderale che anche nel titolo stesso, con degradazione stilistica, a vantaggio del più maneggevole vittoriano. La vera crisi che determinò il superamento dell’imperfetto sistema del quadrigato (e anche vittoriano), con la consapevolezza di creare una moneta d’argento totalmente nuova, non più di derivazione greca, ma completamente romano-italica e chiaramente basata sull’asse, appunto il denarius, ossia una moneta di 10 assi, fu probabilmente legata alla disfatta di Canne del 216, in un momento in cui l’asse di bronzo si era praticamente attestato a valori sestantali (asse di 48 scrupoli), ma comunque con ampie oscillazioni ponderali anche all’interno di una stessa emissione (una caratteristica tipica della moneta fiduciaria). L’ancoraggio del nuovo denario al sistema sestantale fu solo un pretesto in quanto bene si prestava a una chiara definizione metrologica, anche in un particolare contesto come quello siracusano cosiderando che la Sicilia fu praticamente il principale fronte militare, con l’impiego delle maggiori risorse di soldati e di foraggi. Per il momento mi fermo e prendo fiato (anche per voi), poi con calma proverò a spiegare come i Romani hanno “costruito” mirabilmente il nuovo sistema denariale prendendo spunto anche da dirette osservazioni sulle monete già allora in circolazione a Siracusa, presso il fedele alleato e amico Gerone II (la cui morte nel 216 contribuirà a segnare fatalmente i destini della terribile guerra). (continua)
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  27. È la terza e la seconda è avvenuta circa otto anni fa. Opere: dovevano essere realizzate delle vasche di espansione, meglio: avrebbero dovuto. Allerta: passaparola tra privati. A me ha telefonato il medico di base ... Il sindaco è stato avvisato da un suo conoscente dell’entroterra e ha fatto il possibile: far girare la protezione civile e i vigili urbani con i megafoni lungo le strade cittadine che costeggiavano il fiume. Dicevano: state a casa e salite ai piani alti. Ho capito la gravità della situazione a circa un’ora dalla esondazione e sempre ricorrendo a conoscenti. Mi hanno detto che l’acqua alta era a cinque km dalla città. Ho detto tutto. Qui qualcuno ci “sbatte il grugno”
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  28. E' stato ritrovato il corpo del piccolo Mattia, disperso dal giorno dell'alluvione https://notizie.virgilio.it/alluvione-nelle-marche-trovato-il-corpo-di-mattia-otto-giorni-di-ricerche-per-ritrovare-il-bambino-disperso-1542798 Manca ancora una donna all'appello. petronius
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