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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/22/20 in tutte le aree
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Buongiorno, volevo segnalarvi i seguenti cloni di sesterzi traianei che circolano attualemente sulla Baia e che tra poco potrebbe capitare di trovare sul mercato senza l'indicazione che si tratta di RIPRODUZIONE (come correttamente riportato attualmente dagli attuali venditori). Non vi è impressa alcuna dicitura COPY o simile. Ignoro i dati fisici ma il diritto mi pare compatibile con lo stile e quelle corrosioni (ore 5) e una lieve usura generalizzata dei rilievi possono portare fuori strada. Meno buono il rovescio con una PAX un po' filiforme ma si potrebbe attribuire ad un lavoro non ottimale di bulino. A mio parere nell'insieme un prodotto insidioso. Esemplare 1 (da Italia) Esemplare 2 (da Spagna) Peccato che in compenso si è "bruciato" un discreto originale. La segnalerò alla sezione dei "fake coins" del FAC . Fatto [edit] Ciao Illyricum4 punti
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Ma dai ... siamo numismatici e limitiamoci qui a parlare di Numismatica. Metaldetector ? ........ purtroppo la legge italiana a riguardo è miope. Amen.... difficile possa cambiare. Aste ? Quelle italiane si distinguono per serietà (classificazione e descrizione dei lotti. Pochi falsi. Poche monete palesemente di recente reperimento ).4 punti
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Ciao e buonasera a tutti, vi scrivo per condividere con voi una piccola raccolta che quasi per caso ho racimolato negli ultimi anni: i famosi denari legionari di Marco Antonio, coniati per pagare le sue legioni durante la guerra civile contro Ottaviano. Io colleziono principalmente fine repubblica e alto impero, e come dicevo questo gruppetto l'ho messo su nel tempo senza uno scopo preciso. I primi due infatti li comprai diversi anni fa, poi uno mi è stato regalato e gli ultimi li ho comprati recentemente a buon prezzo. Sono monete in conservazione medio bassa e molto circolate ma vedo che con un pò di calma si trovano a prezzi decisamente accessibili. Proprio qui vorrei chiederevi un cosiglio: ha senso continuare e finire la collezione? Da una parte mi intriga la cosa, riuscire a riunire le legioni tutte insieme, dall'altra mi sembra forse un pò ripetitiva e futile (dato che letteralmente sono tutte uguali...sembra di collezionare figurine...) Che ne dite? Conoscete qualcuno che le colleziona e le ha raccolte tutte? Comunque In totale le legioni coniate dovrebbero essere 23, per la vostra esperienza ce ne è qualcuna di "introvabile" o sono tutte abbastanza comuni? In allegato vi invio le foto, e il dettaglio della Legio XI, la più bella che ho, con una bella patina iridiscente e solo un paio di contromarche. Monete comunque davvero ricche di storia, che raccontano uno dei momenti più intensi delle guerre civili!! Grazie mille, Andrea3 punti
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Come similitudine ci sta; l'iconografia e la legenda sono quelle del "Multiplo" del Giustinian, ma non credo sia un falso d'epoca. L'originale è identificato come prova, R5 e quindi conosciuto per pochissimi esemplari; non avendo presumibilmente circolato chi lo conosceva? Avrebbe avuto senso falsificare una moneta sconosciuta? La monetazione veneziana è particolarmente "ingessata" nei soliti tipi e varietà, quindi ben nota .... non credo che qualche maggiorente l'avrebbe accettata (Con un multiplo di zecchino non andavano al mercato a comperare un "fià del vin e do pessi" ) Non era una moneta di popolo saluti luciano3 punti
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Tra pochi giorni uscirà questa pubblicazione sul Tallero di Maria Teresa. A breve saranno comunicate le modalità di prenotazione.2 punti
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1862 Belgio - 2 Centesimi 1862 1 kreuzer - Baden2 punti
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Colgo l'occasione per mostrare due devozionali lombarde; la prima rappresenta la B. V. di Caravaggio, al retro San Giuseppe. Tipologia già presentata in questa discussione ma in diversi formati e distribuzione delle legende: La seconda rappresenta il santuario di Castiglione delle Stiviere; al verso san Luigi Gonzaga ciao Mario2 punti
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AUTUNNO, FULVA GIUMENTA Piano, in una forra di ginepri contro un dirupo L'autunno - fulva giumenta - si pettina la criniera Sul tappeto fluviale delle rive Si sente l'azzurro stridio dei suoi ferri. Il vento.eremita con cauto passo Calpesta il foglame sulle sporgenze delle strade E bacia un cespuglio di sorbe Le rosse ulcere di un invisibile Cristo. (Sergej Esenin)2 punti
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Si anche gli errori vengono falsificati. Ad esempio ci sono tanti falsi delle 5 lire 69 con 1 capovolto2 punti
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Molti si chiederanno cosa c'entra un viaggio sulla luna in una sezione come questa. Ed infatti il tema del viaggio non è da prendere alla lettera ma "con letteratura" , perché prima di Verne o di Ariosto c'è stato qualcun altro, in epoca antica, che ha scritto di avventure straordinarie: il suo nome Luciano di Samosata. Luciano , vissuto sotto gli Antonini , scrisse il primo romanzo "fantasy" della storia: "La storia vera" (Ἀληθῆ διηγήματα) Certamente il suo intento forse era più parodistico, fatto sta che Luciano è il primo autore (di cui abbiamo traccia) ad inviare l'uomo sulla luna. Naturalmente credo che ad immaginare o desiderare di andarci non sia stato il primo , ma è stato il primo a metterlo per iscritto, correndo anche il rischio di essere preso per pazzo. Andiamo un po' più in profondità. Il romanzo in due libri è scritto in forma autobiografica ed è uno dei più noti e fantasiosi romanzi prodotti dalla letteratura greca, in cui si narrata l'avventura di un gruppo di persone, che, capitanate dall'autore, decidono di attraversare le Colonne d'Ercole per vivere avventure strabilianti. Luciano trasporta il lettore in un'atmosfera di fantastica parodia che permea tutto il romanzo, rinunciando ad ogni pretesa di verosimiglianza e lasciando viaggiare senza freni la sua fantasia. Libro primo Nel prologo Luciano afferma che racconterà una storia fantastica per rinfrescare la mente da letture più impegnative e che l'unica cosa vera del racconto è che è tutto falso. L'autore inizia con la descrizione del suo viaggio immaginario assieme a cinquanta compagni oltre le Colonne d'Ercole, animato come Odisseo dal desiderio di conoscere cose nuove. Subito l'equipaggio è colto da una tempesta di vento che sballotta la nave per settantanove giorni finché all'ottantesimo, al termine della tempesta, riescono a sbarcare su un'isola misteriosa. Scoprono una colonna di bronzo con un'iscrizione greca che attesta che Eracle e Dioniso hanno viaggiato fin lì e impronte di piedi giganti. Qui si imbattono in un fiume di vino dove nuotano pesci al sapore di vino e in un gruppo di esseri, che hanno forma di viti dai fianchi in giù e di donne dai fianchi in su. Lasciata quest'isola la nave si imbatte in un tifone e viene sollevata in aria a 3000 stadi d'altezza. Dopo otto giorni di volo finisce in una terra vasta come un'isola, splendente e sferica e illuminata da una grande luce , la Luna. Sbarcati sulla superficie lunare, Luciano e i suoi compagni sono catturati dagli ippogrifi e portati al cospetto del re selenita Endimione, che era impegnato in una guerra contro il re del Sole Fetonte per la colonizzazione di Vespero, Venere. Questa “guerra stellare”, combattuta da guerrieri improbabili come i Caulomiceti armati di funghi come scudi e gambi di asparagi come lance, o come i Psyllotoxoti che cavalcano pulci grandi come dodici elefanti, è vinta dall'esercito del Sole. Luciano e i suoi compagni, che avevano combattuto alleati con i seleniti sono fatti prigionieri e portati sul Sole. La loro prigionia non dura molto, e una volta liberi decidono di tornare sulla Terra nonostante Endimione cerchi di trattenerli con sé promettendogli grandi onori. Prima di riprendere la narrazione del suo viaggio Luciano dichiara di riferire le cose nuove e straordinarie che osservai durante l'intervallo del mio soggiorno sulla Luna, iniziando una minuziosa quanto inverosimile descrizione dell'aspetto e delle abitudini dei seleniti, come l'assenza di donne e la nascita dei bambini dai polpacci degli uomini. La nave torna sulla Terra, ma viene inghiottita da una balena di mille e cinquecento stadi di lunghezza. Al suo interno c'è un'isola abitata da fantastiche tribù. L'equipaggio li stermina tutti. Dopo un anno e nove mesi dall'apertura della bocca del mostro assistono alla battaglia tra giganti che su isole lunghe remano come fossero navi. Libro secondo Luciano cerca una soluzione per uscire in mare aperto e alla fine la nave scappa attraverso la bocca aperta del mostro marino. Attraversa quindi un mare di latte, scoprono un'isola di formaggio e le Isole dei Beati, governata dal cretese Radamanto, dove incontra Omero, Ulisse, Socrate, Pitagora e altri famosi personaggi mitologici e storici defunti. Quindi salpano e giungono presso l'isola dove vengono puniti da personaggi mitici e storici, come Ctesia ed Erodoto eternamente puniti per le "menzogne" da loro narrate. Quindi giungono presso l'isola dei sogni dove rimangono trenta giorni. Dopo tre giorni giungono all'isola di Ogigia, dove consegnano una lettera a Calipso da parte di Odisseo dove spiega che avrebbe preferito rimanere con lei per poter vivere in eterno. Quindi riprendono la navigazione, giungono presso una voragine nell'Oceano profonda 1000 stadi, la superano remando faticosamente su un ponte d'acqua che unisce le due sponde e si ritrovano in un mare tranquillo. Dopo aver visto altre isole, scoprono un continente. Mentre discutono se sbarcare per poco tempo o inoltrarsi nell'entroterra, una burrasca sbatte la nave sul lido e la sfascia. Il romanzo si conclude improvvisamente con la promessa di raccontare le successive avventure nei libri seguenti. https://it.m.wikipedia.org/wiki/La_storia_vera1 punto
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Buonasera a tutti cari amici, vi presento il mio recente acquisto, uno dei pochissimi di quest'anno sciagurato. Ormai le monete piccole non mi saziano più, le voglio sempre più grosse... Data la ristrettezza delle finanze, il tentativo di foro è l'amico che mi ha consentito l'acquisto di questo piccolo bisonte (76,53 grammi). Ogni commento è il benvenuto.1 punto
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.....è presto detto : per me è di fiume e fuori dall'acqua da un bel po' di annetti, vista la ricoloritura. Superficie e canyon del tutto tipici. Un cordiale saluto, Enrico P.S. mi piacerebbe vedere il bordo da h 9a h12 del diritto, giusto per conferma1 punto
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Vuoi una considerazione fatta col cuore? Per quanto l'euro sia una valuta possente e stabile, per quanto chi lo critica a sproposito si meriti di finire bruciato all'inferno per bestemmia contro Nostro Signore Dio Denaro onnipotente nella Sua manifestazione Euro, nulla è perfetto. Anche il conio delle nostre monete è soggetto a piccoli difetti, per quanto siano solo di forma dato che DIO DENARO misericordioso è perfetto per definizione. Spendi pure quella moneta, e prega. Prega che N.S. il Denaro ci protegga sempre e non ci abbandoni mai, perchè "Homo sine pecunia est imago mortis" !1 punto
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1906 AMILCARE PONCHIELLI (1834-1886) NEL VENTENNALE DALLA MORTE E' STATO UN COMPOSITORE ITALIANO Autore della celebre opera LA GIOCONDA su libretto di ARRIGO BOITO, tra i suo allievi al CONSERVATORIO DI MILANO ebbe GIACOMO PUCCINI, PIETRO MASCAGNI, ecc. ecc., interssante la sua biografia vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Amilcare_Ponchielli Bronzo, mm.59 - Autore ENRICO FARE' - Stab. JOHNSON1 punto
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Ciao, penso che hai già effettuato una ricerca nel web, comunque sia è una moneta coniata appositamente pet i collezionisti nella sola versione proof, viene proposta a prezzi piuttosto alti rispetto al valore del contenuto d'argento (17 grammi), quindi non tanto appetibile esempio: 500 dracme 1993 ebay una proposta a prezzo esagerato: Grecia 500 1993 proof In buona sostanza varrebbe un centinaio di euro, ma bisogna trovare chi è proprio interessato a questa specifica moneta, cosa per nulla facile da noi dato il modestissimo valore dell'intrinseco. Una vendita conclusa per soli 30 euro. Grecia 500 dracme 19931 punto
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Complimenti @borbonik le conservazioni non saranno super ma la rarità c'è eccome, sia per il G1 a lettere grandi, sia per le sempre rare varianti con i due punti...ho anch'io un tondello con legenda HEIR ma non sembrano esserci i 2 punti, gli "HEIR" si trovano sempre in bassa conservazione, salvo rari casi (vedi foto sotto). Quindi è giusto scrivere che c'è sia sia la variante HEIR con i 2 punti sia quella con un punto soltanto (entrambe pure queste rare)...qui sotto il tondello HEIR (un punto) meglio conservato che abbai mai visto... @nikita_ tu mi scomodi pure gli ufo??... Buonaserata1 punto
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in una recente asta per corrispondenza di Negrini aveva una base d'asta di euro 100 https://negrini.bidinside.com/it/cat/9/3/monete-estere/28/ Monete Estere GRECIA - 500 DRACME 1993 KM. 160 AG GR. 17,09 R - F.S. 100,00 € -1 punto
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Ciao Si, si tratta della variante catalogata "J10a" su "Attardi 2002/2003" senza l'1 nella data:955. Catalogata come Rara. saluti1 punto
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ok d'accordo,grazie a tutti per i vostri interventi e se mai decidessi di sottoporla a perizia sarà mia cura postare il risultato,buona domenica1 punto
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Non te le fa inserire perchè troppo pesante. Visualizza la foto e ritagliala. Ovviamente salvandola in .jpg Dal pc puoi utilizzare lo "Strumento di cattura" (icona a forma di forbice".1 punto
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https://www.sixbid-coin-archive.com/#/de/single/l28767219?text=Leg xxvii Come non detto: era la n. XXXIII.1 punto
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Dopo che si è verificato l’evento “faccia esposta D” della moneta estratta, i casi possibili sono che sia: (a) una D della D/D; (b) l’altra D della D/D; (c) la D di D/R. I casi favorevoli (faccia non esposta pure D) sono (a) e (b) e quindi P = 2/3 = 0,667 = 66,7%. apollonia1 punto
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Moneta ricevuta da gpittini in quel di Moggio oltre 10 anni fa. Collezionare monete è bello perché aiuta a ricordare i nostri incontri passati. Buona domenica. Antonio1 punto
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@antonio bernardo Ciao, la tua moneta mi piace, in particolare il rovescio con un bel caduceo alato tra S C. Buona domenica. Stilicho1 punto
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nota 12 -> Dice che non può dare una spiegazione. Non pensa che sia la firma di un artista. comparando lo con le lettere sulle monete dei Samians a Zancle, dice che forse il A significava l'inizio di un conteggio che non è stato continuato perché la monetazione è stata interrotta.1 punto
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L intruso e il 5 piastre libanese perché tutte le altre sono banconote in rupie.1 punto
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Aspettavo questa domanda, e ti ringrazio. Non posso esserne certo, ma ritengo che a Cipro, nonostante la situazione di emergenza, il rame non sia mai stato un problema. Miniere di cuprum erano attive sull'isola da tempi immemorabili, e dubito che, anche durante l'assedio, ci possano essere state mancanze di metallo. Mi ripeterò, ma se fosse stato così credo che pezzi in tale sottopeso dovrebbero essere più di una manciata su migliaia conosciute. Oltretutto, considerando i momenti storici, chi avrebbe accettato una "frazione" di bisante sottocosto? Non so, mi sembra una teoria fallace. Penso abbia più senso un riutilizzo posteriore.1 punto
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Gli altri viaggi letterali sul nostro satellite: Nella Divina Commedia, composta tra il 1304 e il 1321 da Dante Alighieri, il poeta fiorentino nel canto del Paradiso descrive l'ascesa attraverso le sfere celesti della Luna, i pianeti da Mercurio a Saturno e di lì alla sfera delle stelle fisse e al cielo degli angeli. Nel corso del poema cavalleresco Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1516, pubblicato nella sua edizione definitiva nel 1532), il cavaliere Astolfo, in sella all'Ippogrifo (un destriero alato), sale sulla Luna dove recupera il senno perduto da Orlando. Il tema, comunque, non divenne popolare prima del Seicento, quando l'invenzione del telescopio favorì l'accettazione popolare del concetto di "un mondo nella Luna", cioè che la Luna era un pianeta abitabile, che avrebbe potuto essere raggiunto attraverso un qualche tipo di trasporto aereo. Il concetto dell'esistenza di un altro mondo, vicino al nostro e capace di guardare giù verso di noi da tale distanza, fornì ampio materiale per commenti satirici sulle abitudini dei terrestri. Tra le prime storie che trattano questo concetto vi sono: Somnium (1541) di Juan Maldonado, resoconto in prima persona di un sogno il cui narratore, impegnato inizialmente in un viaggio sulla Luna, atterra infine in America. Somnium (1634) di Giovanni Keplero (scritto prima del 1610, ma pubblicato postumo). Un viaggiatore islandese è trasportato sulla Luna da demoni volanti; un'occasione per Keplero di offrire le proprie teorie astronomiche in guisa di narrativa. The Man in the Moone (1638) di Francis Godwin (vescovo inglese). Un viaggiatore spagnolo, Domingo Gonsales, vola fin sulla Luna usando un'intelaiatura trainata da oche. The Discovery of a World in the Moone di John Wilkins (1638) L'altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna (L'autre monde ou Les ètats et empires de la lune, pubblicato postumo nel 1657) di Cyrano de Bergerac. Dopo un primo tentativo (con una cintura fatta di ampolle piene d'acqua di rugiada la quale, evaporando attratta dal sole, lo solleva), Cyrano si lancia verso la Luna da una specie di razzo fatto con fuochi artificiali. Sulla Luna rimarrà poco, poiché gli abitanti lo scambiano per uno struzzo e lo mettono in un'uccelliera, e molti gli sono avversi. Iter lunare di David Russen (1703) The Consolidator or, Memoirs of Sundry Transactions from the World in the Moon (1705) di Daniel Defoe. Viaggi tra la Cina e la Luna su un macchinario chiamato The Consolidator (una satira del Parlamento del Regno Unito). A Voyage to Cacklogallinia (1727) di Samuel Brunt Newest Voyage (1784) di Vasily Levshin. Il protagonista vola con un apparato autocostruito. Le improbabili avventure del barone di Münchhausen (1786) comprendono due viaggi sulla Luna, e una rappresentazione della sua flora e fauna. A Voyage to the Moon (1793) di Aratus (lo pseudonimo di un autore inglese anonimo, da non confondere con lo scrittore e scienziato greco Arato di Soli) The Conquest by the Moon (1809) di Washington Irving. La storia di una invasione della Terra da parte dei lunari intesa come allegoria del trattamento subito dai Nativi americani da parte dei coloni europei al loro arrivo in America. A Flight To The Moon (1813) di George Fowler. Land of Acephals (1824) di Wilhelm Küchelbecker (V. K. Kjuchel'beker). Volo su un pallone aerostatico. A Voyage to the Moon[11] (1827) di George Tucker (con lo pseudonimo di Joseph Atterley), un romanzo satirico a volte citato come il primo romanzo di fantascienza americano. L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (1835) di Edgar Allan Poe che narra di un riparatore di soffietti di Rotterdam che costruisce un pallone gigante ed un compressore che gli consente di viaggiare fino alla Luna. Great Moon Hoax ("la grande beffa della Luna"), una serie di sei articoli pubblicati nel quotidiano New York Sun nel 1835 sull'ipotetica scoperta della vita sulla Luna. Le scoperte erano falsamente attribuite a sir John Herschel, forse il più noto astronomo del suo tempo. Malgrado l'intento satirico, il resoconto fu preso per vero e tradotto in varie lingue. Recollections of Six Days' Journey in the Moon. By An Aerio-Nautical Man (1844). Pubblicato nei numeri di luglio ed agosto del Southern Literary Messenger, un periodico con una appendice letteraria pubblicato in Virginia. Les Exilés de la Terre (1887) scritto da un contemporaneo meno noto di Verne, Paschal Grousset, che qui si firma come André Laurie. In esso si immagina che una montagna del Sudan composta di minerali ferrosi sia trasformata in un enorme elettromagnete e catapultata sulla Luna, dove i protagonisti affrontano varie avventure. The Man in the Moone (1638) di Francis Godwin, frontespizio e copertina della prima edizione. Dalla Terra alla Luna (1865) di Jules Verne, che assieme al seguito Intorno alla Luna (1870) narra di un viaggio all'interno di un proiettile lanciato dalla Florida e che dopo una rivoluzione attorno alla Luna ritorna sul nostro pianeta ammarando nell'Oceano Pacifico, e che presenta diverse coincidenze con il programma Apollo. На Луне ("Sulla Luna", 1893), romanzo di Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij, pioniere russo dell'astronautica. I primi uomini sulla Luna (1901) di H. G. Wells, nel quale una nave spaziale giunge sulla Luna grazie alla Cavorite, un materiale in grado di schermare dalla forza di gravità. Il globo d'argento (Na srebrnym globie, 1903), dello scrittore polacco Jerzy Żuławski, nel quale la prima spedizione dalla Terra pone le fondamenta di una nuova società lunare. La storia prosegue nei successivi Il conquistatore (Zwycięzca, 1910) e La vecchia Terra (Stara Ziemia, 1911), che assieme al primo costituiscono la cosiddetta Trilogia lunare, che rappresenta il primo romanzo polacco moderno di fantascienza. Ne è stato ricavato un adattamento cinematografico nel 1987 con il titolo Na srebrnym globie dal pronipote Andrzej Żuławski. Il popolo della Luna (The Moon Maid, 1926), romanzo di Edgar Rice Burroughs che rientra nel filone del planetary romance. Un'astronave terrestre fa naufragio sulla Luna; sotto la polvere e i crateri del satellite l'equipaggio scopre un mondo fantastico, rimasto per millenni celato agli sguardi umani, con mostri e creature barbariche che combattono guerre estenuanti fra le rovine di antiche civiltà e splendide fanciulle alate che spiccano il volo sotto la luce perenne di un cielo artificiale. Doctor Dolittle in the Moon (1928) era concepito per costituire l'ultimo libro di Hugh Lofting della serie del dottor Dolittle. Il dottore, con la sua abilità unica di comunicare con gli animali, giunge sulla Luna a cavallo di una falena gigante e vi trova un tipo notevolmente differente di fauna (ad esempio gli insetti lunari sono assai più veloci degli uccelli locali) e piante intelligenti di cui apprende il linguaggio. Pendolarità (Trends) è un racconto di Isaac Asimov del 1939 nel quale fanatici religiosi si oppongono ad un immaginario primo viaggio verso la Luna collocato negli anni settanta. Preludio allo spazio (Prelude to Space, 1951) è un romanzo di Arthur C. Clarke che narra gli antefatti dell'ipotetico primo viaggio sulla Luna nel 1978. https://www.wikiwand.com/it/Luna_nella_fantascienza1 punto
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Luciano ha scritto buon altro testo riguardante sempre un viaggio sulla luna: Icaromenippo. L'Icaromenuppo (con il sottotitolo "o l'uomo sopra le nuvole") è un dialogo di Luciano di Samosata, scrittore greco di origine siriana vissuto nel II secolo. In questo dialogo il filosofo cinico Menippo di Gadara compie un'impresa incredibile, degna di Icaro: giungere sulla Luna per poi salire in cielo tra gli dei. Riporto qui una traduzione un po' vetustà: Menippo ed un Amico. Menippo. Dunque eran tremila stadii dalla terra sino alla luna, dove ho fatta la prima posata: di là fino al sole un cinquecento parasanghe; e dal sole per salir sino al cielo ed alla rocca di Giove ci può essere una buona giornata di aquila. Amico. Deh, che vai strolagando fra te, o Menippo, e misurando gli astri? Da un pezzo ti seguo, e t'odo borbottare di sole e di luna, e con certe parolacce forestiere di posate e di parasanghe. Menippo. Non ti maravigliare, o amico, se io parlo di cose celesti ed aeree: facevo tra me il conto d'un fresco viaggio. Amico. E, come i Fenicii, tu dal corso degli astri misuravi il cammino? Menippo. No, per Giove: io ho fatto un viaggio proprio negli astri. Amico. Per Ercole, hai fatto un sogno ben lungo, se hai dormito per tante parasanghe senza avvedertene. Menippo. Credi ch'io ti conti un sogno, se io torno or ora da Giove? Amico. Come dici? Menippo ci viene da Giove, c'è piovuto dal cielo? Menippo. Io sì, vengo da Giove appunto adesso, ed ho udite e vedute cose inestimabili. Se nol credi, ci ho più gusto: così ho avuta una incredibile ventura. Amico. E come, o divino e celeste Menippo, io mortale e terrestre potrei non credere ad un uomo che ha passato i nuvoli ed è, per dirla con Omero, uno degli abitatori del cielo? Ma dimmi come se' montato lassù, e dove hai trovata una scala così lunga? Tu non mi hai il visino di quel bel frigio, sì che io possa credere che anche tu se' stato rapito dall'aquila e fatto coppiere. Menippo. Vedo che mi canzoni. Ma io non mi maraviglio che, dicendoti una sì nuova cosa, la ti paia una favola. Eppure per salire lassù non ho avuto bisogno nè di scale, nè di visino baciato dall'aquila; chè io ci son volato con le penne mie. Amico. Oh! cotesta è più gran cosa di quella che fece Dedalo, ed io non sapevo che d'uomo se' divenuto nibbio o cornacchia. Menippo. Bene, tu quasi t'apponi, o amico. Quell'ingegno delle ali di Dedalo l'ho adoperato anch'io. Amico. E non hai temuto, o gran temerario, di cadere in mare anche tu, e farci dire il mar Menippeo, come diciamo l'Icario? Menippo. Niente. Perchè Icaro s'appiccò le ali con la cera, che al sole tosto si liquefece, ed ei rimasto spennacchiato dovette cadere: ma le mie brave ali non avevano cera. Amico. Come va cotesto? Oh, tu a poco a poco mi farai creder vero ciò che mi dici. Menippo. Ecco come. Presi una grande aquila, ed un forte avoltoio, e tagliate loro le ali.... Ma è meglio raccontarti da capo tutta questa invenzione, se vuoi udirmi. Amico. Ben voglio. Già mi levo alto anch'io dietro al tuo discorso, e t'odo a bocca aperta. Pel Dio dell'Amicizia, comincia il racconto, non tenermi più sospeso con gli orecchi. Menippo. Odi adunque: chè non saria un bello spettacolo lasciare un amico con la bocca aperta e sospeso dagli orecchi, come tu dici. Tosto che io feci un po' di riflessione sulla vita umana, trovai che le ricchezze, le signorie, le grandezze sono instabili, ridevoli, meschine assai: onde sprezzandole, e tenendole come un impaccio a conseguire altre cose veramente serie, io tentai di levar gli occhi in su, e di rimirar l'universo. Ma in prima io tutto mi confusi a contemplar questo che da' savii chiamasi mondo: non sapevo capacitarmi come è nato, chi l'ha fatto, se ha avuto principio, se avrà fine. E poi considerandone le parti, più cresceva la mia confusione: miravo le stelle disseminate pel cielo, miravo il sole, e mi struggevo di sapere che cosa ei fosse: e massime quel che fa la luna mi pareva una strana e mirabile cosa, e non vedevo perchè ella muta sempre facce; e la folgore così rapida, il tuono così fragoroso, la pioggia, la neve, la gragnuola così veemente, tutte queste cose non potevo spiegarmele, nè trovarne la cagione. Vedendomi adunque così smarrito, i' pensai che avrei potuto apprender tutto dai filosofi; perchè credevo che essi dovessero sapere e dirmi la verità. E però avendo scelti i migliori tra essi, a quei segni ch'io vedevo, all'austerezza dell'aspetto, alla pallidezza del volto, e alla profondezza della barba (parendomi uomini che parlavano sublime linguaggio, e conoscevano il cielo); io mi misi nelle mani loro; e mediante una buona somma di danari, che parte anticipai, parte promisi dare quando m'avesser fatto filosofo, credetti dover imparare e ragionare di tutte le cose celesti, e dell'ordine dell'universo. Fattostà invece di sciogliermi da quella mia ignoranza, mi ravvilupparono in maggiori incertezze, empiendomi il capo ogni giorno di principii, di fini, di atomi, di vuoto, di materia, d'idee, e di altre frasche. E per mio maggior tormento, l'uno diceva l'opposto dell'altro, erano un sacco di gatti, e ciascuno voleva persuadermi e tirarmi dalla sua. Amico. È strano questo che mi dici: uomini sapienti contendevano tra loro di cose esistenti, e su la cosa stessa non avevano la stessa opinione. Menippo. Tu rideresti davvero, o amico mio, se udissi le loro iattanze, e le imposture che spacciano. Essi che han camminato sempre su la terra, che non han niente più di noi che su la terra camminiamo, non hanno la vista più acuta degli altri, anzi essendo vecchi o loschi ci vedono pochissimo, eppure essi affermano di aver vedute le colonne che sostengono il cielo, aver misurato il sole, aver camminato per gli spazi, che sono sopra la luna, e come se fosser caduti dagli astri ne descrivono la grandezza e la figura. Spesso accade che ei non sanno bene quanti stadii ci ha da Megara ad Atene, ed osan dire quanti cubiti è distante la luna dal sole, e quanto l'una e l'altro son grandi, che altezza ha l'aria, che profondità il mare, misurano e dividono la circonferenza della terra; e poi descrivendo cerchi, disegnando triangoli, quadrati e sfere, danno a credere che misurano il cielo. Quel che prova la loro superba ignoranza è che ragionano di queste cose oscure non per congettura, ma con asseveranza, e s'incaponiscono, e non soffrono che altri ne dubiti, e quasi giurano che il sole è una palla di ferro rovente, che la luna è abitata, che le stelle bevono i vapori che il sole quasi con una fune attigne dal mare e li dispensa a bere a ciascuna. Quanto poi sono contrarii nelle loro opinioni puoi vederlo facilmente: e vedi, per Giove, se una dottrina s'avvicina ad un'altra, o se non cozza con essa. Primamente intorno a questo mondo ciascun d'essi ha l'opinion sua: chi vuole che sia increato ed indestruttibile; chi dice che ha avuto un Creatore, e pretende di sapere anche come è stato creato: altri, che mi facevano più maravigliare, parlano di un certo iddio artefice di tutte le cose, ma non dicono donde era venuto e dove egli stava quando fabbricava il mondo: perchè prima che fosse la terra e l'universo è impossibile concepire tempo e luogo. Amico. Che uomini temerarii ed impudenti son costoro, o Menippo. Menippo. E che diresti, o amico mio, se tu udissi le loro pappolate su le idee, e le cose incorporee, le loro saccenterie sul finito e sull'infinito? chè sempre fresco è il battagliare di questo tra coloro che diffiniscono un termine all'universo, e coloro che suppongono che ei non finirà mai. Alcuni ancora vogliono dimostrare che i mondi sono moltissimi, e sfatano chi sostiene che ve n'è uno. Un altro poi (ei non era uomo di pace) credeva che la guerra sia madre di tutte le cose. Intorno agli Dei chi ti può dire quante ne contano? Per alcuni la divinità era un numero; altri giuravano pe' cani, per le oche, pe' platani. Questi davan lo sfratto a tutti gl'iddii, e ponevano uno solo in signoria del tutto: onde a me s'impoveriva l'animo udendo che c'era sì gran carestia di dei: ma altri per contrario liberalissimi ne ammettevano molti, li dividevano in classi, chiamavano uno primo iddio, e davano agli altri il secondo o terzo grado di divinità. E di più alcuni credevano che gl'iddii non han nè corpo nè figura; ed altri li concepivano con certi corpi. Che gli dei badano agli affari di quaggiù, non tutti l'affermavano: ma vi era chi levava loro questo incomodo, come noi sgraviamo i vecchi dai pubblici negozi, e non li faceva entrar per niente in commedia, come fosser comparse sul teatro. Altri finalmente mandando a monte ogni cosa, e dei, e non dei, credevano che il mondo senza signore e senza guida vada così a caso. Udendo tutte queste cose, io non m'attentava di negar fede ad uomini che avevano una voce e una barba mirabile; ma ripensando ai loro discorsi io non sapevo come non trovarvi errori molti e contraddizioni. Onde m'interveniva proprio come dice Omero: spesso mi sforzai di credere a qualcuno di loro, ma un altro pensier mi tratteneva. Tra tutti questi dubbi, disperando di poter sapere la verità su la terra, mi persuasi che una sola via vi sarebbe per uscire di quell'affanno, se io stesso volando andassi in cielo. E mi dava qualche speranza il gran desiderio che n'avevo, ed Esopo che nelle sue favole ci conta come aquile e scarafaggi e camelli ancora seppero trovare per dove si va in cielo. Ma perchè vedevo che l'ali non mi nascerebbero mai, pensai di appiccarmi le ali d'un avoltoio o di un'aquila, le sole proporzionate al corpo d'un uomo, e così tentare una pruova. Presi adunque questi uccelli, e tagliai accuratamente l'ala destra dell'aquila e la sinistra dell'avoltoio, le congiunsi, me le attaccai agli omeri con forti corregge, adattai alle punte un ingegno per tenerle con le mani, e feci la prima pruova, saltellando ed aiutandomi con le mani, e come le oche che appena si levan di terra, io andavo su le punte de' piedi e dibattevo l'ali. Accortomi che riuscivo, divenni più ardito, e montato su la cittadella mi diedi in giù, e venni fin sopra il teatro. Fatto questo volo senza pericolo, ne tentai altri più lontani e più alti: e spiccatomi dal Parneto o dall'Imetto andavo librato fino al Geranio; e di là sopra l'Acrocorinto; e poi sul Foloe, sull'Erimanto sino al Taigete. L'esercizio mi crebbe l'ardire, e l'arte, e la forza di montare più su, e far altri voli che questi da pulcini: onde montato su l'Olimpo, leggiero quanto più potevo, con un po' di provvisione, mi levai diritto al cielo. In prima l'altezza grande m'aggirava il capo, ma dipoi mi vi adusai facilmente. Avvicinandomi alla luna, e lasciate molto indietro le nuvole, mi sentivo stanco, massime nell'ala sinistra, quella dell'avoltoio: però arrivato in essa, e sedutomi, mi riposavo, guardando giù su la terra come il Giove di Omero, e gettando lo sguardo or su la Tracia altrice di cavalli, or su la Mesia; e poi a mio talento su la Grecia, su la Persia, su l'India: e quella gran vista mi empiva di diletto maraviglioso. Amico. Narrami ogni cosa, o Menippo, ogni cosa del tuo viaggio e quante maraviglie vi hai vedute, chè io desidero saperle. Già m'aspetto di udirne non poche; e che vista ti faceva la terra, e quello che è su di essa, a riguardarla di lassù. Menippo. Ben dicesti non poche: epperò, o amico, monta su la luna con la tua immaginativa, viaggia dietro le mie parole e riguarda con me tutte le cose come son disposte su la terra. E primamente parvemi molto piccola veder la terra, assai più piccola della luna; per modo che a un tratto volgendomi in giù, non sapevo più dove fossero questi monti e questo sì gran mare; e se non avessi scorto il colosso di Rodi e la torre del Faro, la mi saria interamente sfuggita. Ma queste due moli altissime, e l'Oceano che tranquillo rifletteva i raggi del sole, mi fecero accorto che io vedevo la terra. E come vi ficcai gli occhi attenti mi si parò innanzi tutta la vita umana, non pure le nazioni e le città, ma gli uomini stessi, chi navigava, chi guerreggiava, chi coltivava i campi, chi piativa; e le donne, e le bestie, e tutto quello che l'almo seno della terra nutrisce. Amico. Tu mi di' cose incredibili e contradittorie. Poco fa, o Menippo, tu non sbirciavi la terra tanto rappicciolita per la lontananza, che se non era il colosso, tu non l'avresti veduta; ed ora come subito divieni un Linceo, e scorgi tutte le cose che essa contiene, e gli uomini, e gli animali, e, per poco non dicesti, anche le uova di moscherini! Menippo. Oh, a proposito, me l'hai ricordato: dovevo dirti una cosa, e l'ho tralasciata non so come. Quando adunque io mi accorsi di vedere la terra, ma di non poter discernere altro per la gran lontananza, per la quale appena vi giungeva l'occhio, io mi sentii tutto contristato e smarrito. E stando in questo affanno, e quasi spuntandomi le lagrime, ecco da dietro le spalle mi viene innanzi il filosofo Empedocle, nero come un carbonaio, e incenerato, e mezzo abbrustolato. Come io vidi costui, ti dico il vero, mi sconturbai, e lo credetti un qualche genio lunare. Ma egli: Non temere, o Menippo, disse; io non sono un iddio; perchè mi pareggi agl'immortali? Io sono il fisico Empedocle. Poichè mi gettai nei crateri dell'Etna, da un vortice di fumo fui portato qui nella luna, dove ora abito, e vo passeggiando per l'aere e mi cibo di rugiada. Vengo a cavarti di questo impaccio e di questo sgomento che hai per non vedere quel che è sulla terra. O generoso Empedocle, diss'io, tu mi fai un gran benefizio: e tosto ch'io rivolerò giù in Grecia, non dimenticherò di mandarti pel fumaiuolo del mio focolare il fumo d'una libazione, e quando è luna piena aprir tre volte la bocca verso di lei e farti una preghiera. – No, per Endimione, rispose, non ci son venuto per aver ricompensa, ma mi dolse di te, vedendoti cotanto affannato. Sai che devi fare per rischiarare ed aguzzare la vista? – No, dissi, se tu non mi togli questa caligine dagli occhi, chè me li sento come chiusi da molte cispe. – Non hai affatto bisogno di me: tu hai portato da terra ciò che te la può rischiarare. – E che è? io nol so. – Non sai che t'hai legata l'ala destra di un'aquila? – Sì: ma che ha che far l'ala con l'occhio? – L'aquila fra tutti gli uccelli ha la vista più acuta, e solo essa può riguardare nel sole: e in questo si riconosce l'aquila regale e legittima, se non batte le palpebre ai raggi del sole. – Così dicono: ed io mi pento che nel venir qui non mi ho messo un paio d'occhi d'aquila, e non m'ho cavati i miei: io non ci ho portato niente di regale io, e son come un bastardo e diseredato. – Eppure a te sta l'aver tosto l'un occhio d'aquila reale. Se tu, sollevandoti un po', tieni ferma l'ala dell'avoltoio, ed agiti solo l'altra, per ragione dell'ala l'occhio destro acquisterà vista acutissima: l'altro deve averla corta, perchè è della parte meno nobile. – Mi basta, risposi, che il destro solo mi diventi aquilino: non ci vedrei meglio con due: e mi ricorda che spesso i falegnami con l'un occhio meglio sguardano se un legno è ben diritto e spianato. Detto questo feci come m'aveva detto Empedocle: il quale indi a poco allontanandosi svanì in fumo. Non sì tosto io battei l'ala, che subito una luce grandissima mi sfolgorò d'intorno, e mi mostrò tutte le cose fino allora nascoste. Volsi giù lo sguardo alla terra, e vidi chiaramente le città, gli uomini, e tutto ciò che essi facevano non pure a cielo scoperto, ma nelle case dove credono che nessuno li vegga. Tolomeo giacersi con la sorella; Lisimaco insidiato dal figliuolo; Antioco figliuol di Seleuco che faceva d'occhio alla madrigna Stratonica; Alessandro il tessalo ucciso dalla moglie; Antigono svergognar la moglie del figliuolo; il figliuolo di Attalo che gli porge un veleno: da un'altra banda Arsace uccider la sua donna, e l'eunuco Arbace tirar la spada contro Arsace; e Spatino il Medo fuor del convito da' suoi satelliti strascinato per un piede, e con un ciglio spaccato da una tazza d'oro. Simili cose io vedeva in Libia, fra gli Sciti, fra i Traci: nei regali palagi stuprare, scannare, insidiare, rapire, spergiurare, temere, e i più intimi tradire. Questo spettacolo mi davano i re: i privati poi mi facevano ridere. Io vedevo Ermodoro l'Epicureo spergiurare per mille dramme, Agatocle lo stoico litigar col discepolo pel salario, Clinia il retore rubare una coppa dal tempio di Esculapio, ed il cinico Erofilo dormire in un chiasso. Che potrei dirti degli altri? chi rubava, chi scassinava, chi litigava, chi prestava, chi ripeteva. Insomma era uno svariatissimo e larghissimo spettacolo. Amico. Fammene un po' di descrizione, o Menippo. Parmi che tu non ci avesti poco diletto. Menippo. Raccontarti tutte le cose per filo è impossibile, o amico mio, quando m'era fatica anche il vederle. Le principali eran come quelle che Omero descrive rappresentate su lo scudo d'Achille: qua nozze e conviti, là tribunali ed adunanze; in un luogo si faceva sagrifizi, in un altro si piangeva un morto. Gettavo lo sguardo nella Getica, e vedeva i Geti guerreggiare; più in là su gli Sciti, e li vedeva erranti su le loro carrette; volgevo l'occhio un po' dall'altra banda e miravo gli Egiziani coltivare la terra, i Fenicii trafficare, i Cilicii pirateggiare, gli Spartani farsi flagellare, gli Ateniesi piatire. Da tutte queste cose che accadevano nello stesso tempo considera tu che guazzabuglio pareva. Egli era come se uno prendesse molti coristi, o meglio molti cori, e comandasse a ciascun cantore di non badare ad accordo, ma cantare ciascuno il suo verso: gareggiando questi tra loro, seguitando ciascuno il verso suo, e volendo soverchiar la voce dell'altro, intendi tu, per Giove, che nuovo canto saria cotesto? Amico. Cosa da cani, o Menippo, e da riderne assai. Menippo. Ebbene, o amico mio, tutti su la terra sono come quei coristi, di questa confusione è composta la vita umana; gli uomini non pure parlano in diverso tuono, ma vestono in diverse fogge, si muovono in diverso modo, e pensano con diversi capi, finchè il maestro che batte il tempo li scaccia ad uno ad uno dalla scena, dicendo che non bisognano più: allora tutti diventano simili, zittiscono, e non cantano più quella confusa e discorde canzona. Insomma tutte le cose svariatissime che si rappresentano su questo gran teatro mi parevano ridicolezze: e specialmente mi facevan ridere coloro che contendono per un pezzo di terra, che superbiscono di coltivare le pianure di Sicione, o di possedere quella di Maratona presso il monte Enoe, ovvero mille iugeri in Acarnania; perchè tutta la Grecia, di lassù, non mi pareva di quattro dita, e in paragone l'Attica non era più che un punto. Onde io pensavo quanta è la parte che ne hanno i ricchi che ne menano tanta superbia: chi di essi possiede più iugeri mi pareva che coltivasse uno degli atomi di Epicuro. Gettando gli occhi sul Peloponneso, e vedendo la Cinosuria, mi ricordai quanti Argivi e Lacedemoni caddero in un sol giorno per una particella di terreno non più larga di una lenticchia d'Egitto. E se vedevo qualche ricco tutto gonfio e pettoruto per avere otto anelli e quattro coppe d'oro, quanto me ne ridevo; perchè il Pargeo con tutte le mine, non era più d'un granello di miglio! Amico. O fortunato Menippo, che vedesti sì maraviglioso spettacolo. Ma e le città e gli uomini quanto ti parevano di lassù? Menippo. Certo hai veduto talvolta un mucchio di formiche; quali entrano, quali escono, quali vanno attorno il formicaio; una caccia fuori le lordure, un'altra, afferrato un guscio di fava o un mezzo granello, corre portandolo in bocca: e pare che anche tra esse ci sieno ed architetti, e capipopoli, e magistrati, e musici, e filosofi. Le città adunque con gli uomini mi parevano formicai. E se il paragone tra gli uomini e le formiche ti par troppo piccolo, cerca le antiche favole de' Tessali, e troverai che i Mirmidoni, gente bellicosissima, di formiche diventarono uomini. Ma poichè fui sazio di vedere e di ridere, scossi l'ale, e dirizzai il volo A la magione dell'Egioco Giove E degli altri immortali. Non m'era levato uno stadio, e la Luna, con una vocina di donna: O Menippo, disse, fa' buon viaggio, e portami un'ambasciata a Giove. Di' pure, risposi, un'ambasciata non pesa a portarla. L'ambasciata è facile, disse, è una preghiera che da parte mia presenterai a Giove. Io sono stucca, o Menippo, di udire i filosofi che ne dicon tante e poi tante di me, e non hanno altro pensiero che d'impacciarsi de' fatti miei, chi son io, e quanto son grande, e perchè ora sono scema ed ora son piena: chi dice che sono abitata, e chi che son come uno specchio pendente sul mare, ed ogni sciocchezza che pensano l'appiccano a me. Han detto finanche che questa luce non è mia, ma è roba rubata, e me l'ho presa dal Sole; e non la finiscono, e per questo mi faran bisticciare e venire alle brutte con mio fratello; non essendo contenti di sparlare del Sole, che è una pietra, e una palla di ferro rovente. Eppure io so molti dei fatti loro, e quante vergogne e sporcizie fanno la notte questi che il giorno paion santoni all'aspetto ed alle vesti, e gittano la polvere agli occhi degl'ignoranti. Io vedo tutto, e taccio, perchè credo che non mi conviene a me illuminare le loro tresche notturne, e svelar quasi su la scena i fatti di ciascun di loro: anzi se ne vedo qualcuno che commette adulterio, o furto, o altra ribalderia che vuole il più fitto buio, io subito prendo una nuvola e me ne ricopro, per non mostrare agli uomini questi vecchi che svergognano la barba e la virtù. Eppure non la voglion finire, e parlan sempre male di me, e mi dicono ogni maniera d'ingiurie. Onde io, giuro alla Notte, molte volte volevo proprio andarmene di qui, fuggire il più lontano da essi per non sentirmi più tagliare da quelle male lingue. Ricordati di dirgliele tutte queste cose a Giove, e aggiungivi ancora che qui non ci posso star più, se egli non fulmini tutti quei fisici, non imbavagli i dialettici, non rovesci il Portico, non bruci l'Accademia, e non faccia finir le dispute nel Peripato: chè solo così potrò stare un po' cheta, e non essere ogni giorno misurata. – Farò ogni cosa, io risposi, e mi levai sublime verso il cielo Dove orma non appar delle fatiche Degli uomini e dei buoi. Indi a poco la Luna mi parve piccolissima, e non vidi più la terra: e prendendo a destra del Sole, e volando in mezzo agli astri, il terzo dì m'avvicinai al cielo. In prima disegnai di entrar diritto dentro, credendo che nessuno mi baderebbe, perchè essendo io mezzo aquila, sapevo che l'aquila è tutta cosa di Giove. Ma poi ripensai che subito saria stato scoverto per l'altra ala dell'avoltoio. Onde per non mettermi a nessun pericolo, mi feci alla porta, e picchiai. Mercurio udì, dimandò chi era, e subito portò l'ambasciata a Giove: tosto fui messo dentro tutto spaurito e tremante, e te li trovo tutti uniti e seduti, e non senza cura, ma taciti e impensieriti per quel mio maraviglioso viaggio, quasi attendendo ad ora ad ora che tutti gli uomini ci venissero volando per simil modo. Ma Giove, voltami una guardatura in torto e stranamente terribile, disse: Chi se' tu, di che gente, che paese? Chi furo i maggior tuoi? All'udir queste parole per poco i' non morii di paura, rimasi con la bocca aperta, e intronato da quel vocione. Ma dipoi tornatimi gli spiriti, raccontai alla semplice ogni cosa per filo, come io mi struggeva di conoscere le cose celesti, come andai dai filosofi, come ne udii dire cose oppostissime, come quelle contraddizioni mi fecero disperare: poi quel mio pensiero, e le ali, e tutto il resto, sino al cielo: infine aggiunsi ancora l'ambasciata della Luna. Allora Giove sorridendo un cotal poco e spianando le sopracciglia: Che maraviglia più di Oto e di Efialte, disse, quando Menippo ha ardito di salire in cielo? Ma pure ora ti vogliamo ospitare; e dimani, data risposta a quel che ci sei venuto a dimandare, ti rimanderemo. Così disse, e levatosi in piedi, s'incamminò verso un luogo che è come l'orecchio del cielo; perchè già era ora di udir le preghiere. Cammin facendo mi dimandò di molte cose della terra, e primamente quanto costa ora il grano in Grecia, se il verno passato è stato troppo rigido, e se i cavoli vogliono maggiori piogge: dipoi se ci vive ancora alcuno de' discendenti di Fidia, per qual cagione gli Ateniesi non gli fanno più la festa da tant'anni; se hanno intenzione di finirgli il tempio Olimpio, e se sono stati presi i ladri che gli han rubato il tempio di Dodona. Poichè io risposi a ciascuna di queste dimande: dimmi, o Menippo, dissemi, che opinione di me hanno gli uomini? Che opinione, io risposi, o signore? Tutti ti rispettano e t'adorano come re di tutti gli Dei. Bah, tu mi canzoni, disse: io so bene quant'essi son vaghi di novità, ancorchè tu mi dica di no. Fu un tempo quando io ero per loro e profeta, e medico, e tutto; allora ogni piazza, ogni via, piena di Giove; Dodona e Pisa erano illustri e celebrate, e il fumo de' sagrifizii mi toglieva il vedere. Ma da che Apollo ha messo bottega di profezia in Delfo, ed Esculapio di medicina in Pergamo, ed altre botteghe Bendi in Tracia, Anubi in Egitto e Diana in Efeso, tutti corrono là, e vi fanno le gran feste, e vi portano le ecatombe: e a me, che sono già uscito di moda, credono di farmi onore bastante con un po' di sacrifizio ogni cinque anni in Olimpia: onde a vedere i miei altari ei son più freddi delle leggi di Platone e dei sillogismi di Crisippo. – Così ragionando giungemmo al luogo dove egli doveva sedere, ed ascoltare le preghiere degli uomini. V'erano in fila alcune botole, simili a bocche di pozzi, con loro cataratte: e presso a ciascuna stava un seggio d'oro. Giove sedutosi sul primo seggio, e levata la cataratta, si pose ad ascoltar le preghiere. Si pregava da tutte le parti della terra in tante lingue e in tanti modi diversi: origliai anch'io, e intesi alcune preghiere cosiffatte: O Giove, fammi diventar re! O Giove, mi vengano bene le cipolle ed i porri! o Dei, muoia presto mio padre! Altri diceva: O fossi erede di mia moglie! O non si scoprisse il laccio che tendo a mio fratello! Vincessi questo piato! Fossi coronato in Olimpia! Dei naviganti chi pregava soffiasse Borea, chi Noto: gli agricoltori cercavan la pioggia, le lavandaie il sole. Udiva Giove, e considerando ciascuna preghiera attentamente, non le accoglieva tutte. Ma il padre degli Dei ne concedeva Alcuna, ed alcun'altra ne negava. Le preghiere giuste le faceva montar sino alla botola, le prendeva, e se le poneva a parte destra; le scellerate le scacciava subito giù con un soffio, perchè neppure si avvicinassero al cielo. Ma ad una certa preghiera io lo vidi bene impacciato. Due uomini dimandavano due cose opposte, ma promettevano lo stesso sacrifizio: ond'egli non sapeva chi dei due contentare; stava tra il sì e il no degli Accademici, non sapeva uscir di quell'imbroglio, e come Pirrone, dubitava e considerava. Sbrigatosi di questa faccenda delle preghiere, passò al seggio ed alla botola seguente, fe' capolino, e attese ai giuramenti ed ai giuratori. Spacciatosi anche da questi, e fulminato l'Epicureo Ermodoro, sedè sovra un altro seggio, e badò alle divinazioni, alle voci che corrono, agli augurii. Di là passò alla botola donde sale il fumo de' sagrifizi, e il fumo dice a Giove il nome di chi l'ha offerti. Spedite tutte queste faccende, comandò ai venti ed al tempo quel ch'era da fare: Oggi piova in Scizia, tuoni in Libia, nevighi in Grecia: tu, o Borea, soffia in Lidia, tu, o Noto, sta' cheto, e tu, o Zefiro, sconvolgi l'Adriatico: mille medinni di grandine si spandano sulla Cappadocia. – Regolato così ogni cosa, andammo al convito, essendo già l'ora del banchettare: Mercurio mi allogò vicino a Pane, ai Coribanti, ad Ati, a Sabazio, e a cotali altri forestieri ed incerti Dei. Cerere ci fornì del pane, Bacco del vino, Ercole delle carni, Venere de' mirtilli, e Nettuno delle menole. Gustai ancora, ma di soppiatto, l'ambrosia ed il nèttare; chè il buon Ganimede, che vuol tanto bene agli uomini, quando vedeva Giove voltar gli occhi altrove, versò una o due ciotole di nettare e me le porse. Gli Dei, come dice Omero, che certo vide come me ogni cosa lassù, non mangian pane nè bevon nereggiante vino, ma si cibano di ambrosia, e s'inebbriano di nèttare, e sono ghiottissimi del fumo e dell'odore delle carni arrostite ne' sagrifizi, e del sangue delle vittime versato intorno le are dai sagrificatori. Durante il banchetto Apollo sonò la cetera, Sileno ballò un ballonchio lascivo, e le Muse ritte in piedi cantarono la Teogonia d'Esiodo, e la prima delle odi di Pindaro. Poichè venne la sazietà, ci levammo, e ciascuno era alticcio. Dormian tutti gli Dei ed i guerrieri Per l'alta notte, ma su me non venne La dolcezza del sonno,mi frullavano pel capo tanti pensieri; e specialmente come Apollo da tanto tempo non avesse ancor messo le calugini; come si fa notte in cielo, che c'è sempre il sole, anzi aveva banchettato con noi. Infine, allora aveva preso un po' di sonno, che Giove levatosi per tempissimo, fe' chiamar parlamento. E convenuti tutti, egli incominciò: L'ospite che venne ieri mi muove a qui radunarvi: e già io volevo tener consiglio con voi intorno ai filosofi, ma ora specialmente per le doglianze della Luna mi son risoluto di non più indugiare a finir questa faccenda. Sono costoro una razza d'uomini venuti su da poco tempo, oziosi, accattabrighe, vanitosi, stizzosi, ghiotti, inetti, superbi, pronti ad oltraggiar chicchessia, e, per dirla con Omero, inutile peso alla terra. Divisi per vari sistemi, e per diversi laberinti di ragionamenti da loro escogitati, si chiamano e Stoici, ed Academici, ed Epicurei, e Peripatetici, e con altri nomi molto più ridicoli di questi. Vestiti del venerando nome della virtù, con le ciglia aggrottate, con la barba sciorinata, coprono col finto aspetto i loro sozzi costumi, e son similissimi all'istrione, cui se togli la maschera e il vestimento ricamato d'oro, resta un ridicolo omiciattolo che per sette dramme rappresenta una parte. Eppure costoro hanno in dispregio tutti gli uomini, degli Dei parlano a sproposito, e radunando giovani sori declamano tragicamente certe pappolate su la virtù, e non insegnano che que' loro ribaldi andirivieni di parole. Innanzi ai discepoli lodano a cielo la temperanza e la modestia, e sputano le ricchezze e i piaceri, ma quando son soli, chi può dirvi come banchettano, quanto son lussuriosi, e come leccano l'untume dell'obolo? E il peggio è che non essendo buoni a nulla nè per il comune nè per sè, essendo proprio inutili e soverchi, Inabili alla guerra ed ai consigli,ei riprendono gli altri con parole aspre e villane, e fanno il mestiere di censurare, sgridare, ingiuriar la gente che gli avvicina. E chi tra loro grida più forte, e dice più male parole, ed ha la fronte più dura, è tenuto più valente. Se dimandassi a costui che tanto si sbraccia a gridare e ad accusar gli altri: Ma tu che sai fare, o valentuomo? che bene arrechi tu alla vita comune? ti risponderebbe, se volesse dire il giusto ed il vero: Io tengo per inutile la navigazione, l'agricoltura, la milizia, ed ogni arte: fo il mestiere di schiamazzare, di lavarmi con acqua fredda, di andar tutto sozzo e scalzo nel verno, e, come Momo, di calunniare tutti i fatti altrui. Se un ricco sfoggia in cene, o si tiene un'amica, questo è un affar che m'importa, e gli scarico in capo un sacco di villanie: ma se un amico o un compagno giace a letto ammalato ed ha bisogno di aiuto e di cura, non me ne importa un fico. Ecco, o Dei, che care gioie d'uomini! Quelli che si chiamano Epicurei sono i più arroganti, ci assalgono più furiosi, dicendo che gli Dei non si brigano affatto delle cose umane, e non gettano neppure uno sguardo su quel che accade laggiù. Pensateci bene adunque, perchè se costoro potran persuadere gli uomini, voi ci starete bene a stecchetto: chè, chi mai vi farà più sacrifizi, non aspettando niente da voi? Le doglianze della Luna voi le avete udite, espostevi ieri dal forestiere. Prendete ora il partito più utile per gli uomini, più sicuro per voi. Dicendo così Giove, tutta l'adunanza romoreggiò, e tosto scoppiarono in un grido: Fulmini, fuoco, sterminio, nel baratro, nel Tartaro, come i giganti. Ma Giove impose silenzio un'altra volta, e disse: Sì, sarà, come volete: saranno sterminati essi e la dialettica loro. Ma per ora non è lecito punire nessuno, perchè, come sapete, sono le feste de' quattro mesi, ed io già ho annunziata la tregua sacra. Ma l'anno venturo, al cominciar di primavera ve li sfolgorerò tutti con questa terribil folgore. Sì disse il Saturnide, e confermollo Aggrottando le nere sovracciglia. Per Menippo, soggiunse, io penso che sia spogliato dell'ali, affinchè non ci torni un'altra volta, e sia riposto da Mercurio sulla terra oggi stesso. Così detto, sciolse l'adunanza: e Mercurio, presomi per l'orecchio destro, iersera mi posò nel Ceramico. T'ho narrato tutto il mio viaggio celeste, o amico. Ora vo nel Pecile a contarlo ancora a quei filosofi che vi passeggiano. http://www.filosofico.net/lucicaromenippo.htm https://it.m.wikipedia.org/wiki/Icaromenippo1 punto
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Riporto in alto la discussione per vedere se qualcuno volesse partecipare con un proprio esemplare. ?1 punto
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Novità? Hai preso in considerazione di portarla da un perito che possa osservarla e periziarla avendola in mano? Oppure la tieni con il dubbio? O la vendi con il dubbio?1 punto
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Dalla spiccia saggezza popolare: Questa è la storia... della vacca Vittoria... morta la vacca... finita la storia.1 punto
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Ciao @DavidSoknacki, per come ho scritto nel mio post #14, andrebbe pulita professionalmente. Se ti dovesti trovare in vacanza in Sicilia, mi contatti, per una dignitosa ripulita, gratuita.1 punto
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Molto bella anche questa di ET ps: anche il piano d'appoggio sembra del 1814....1 punto
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Con calma mi sono rivisto bene la moneta e devo dire le righe della papalina non mi quadrano e cosi anche alcuni punti dei capelli come mi avete fatto notare,non capisco perche aver rovinato,anche se in " minima parte", una moneta che andava più che bene cosi com'era,forse venendo dall'estero il proprietario non ha capito bene cosa avesse fra le mani. Peccato pensavo di aver fatto un'ottimo affare ma vedete cosa accade quando ci si butta sulla fiducia della casa d'aste senza controllare bene la moneta seppur in foto?! Mi serverà d'esperienza (devo ricominciare a guardare BENE le foto delle aste) dovrò farla periziare per forza. Grazie a tutti per il vostro tempo sopratutto a @Giov60 che con molta professionalità ha esposto il suo parere.1 punto
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Va ben che adesso fanno falsi di tutto, ma la prima mi pare buona. Certo che a ingrandirla si vedono graffi,buchetti,corrosione ......ma sono monete di 2000 anni fa. Io ne ho moooooolti di meno e di graffi eccetera ne ho un mucchio.1 punto
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Per la gioia di @nikita_ ecco due comunissime monete inglesi in oblò da me confezionati ? sui 3 pence raffigurata la saracinesca del ponte levatoio simbolo dei Tudor (insieme alla celebre rosa) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. In araldica la saracinesca è rappresentata generalmente da 6 pali aguzzati in fondo, fissati da cinque traverse inchiodate e con un anello al centro della traversa superiore. Nell'araldica inglese è frequente la saracinesca con solo quattro traverse e due catene laterali in luogo dell'anello centrale. La saracinesca era lo stemma araldico della Casa di Beaufort, e il primo re Tudor Enrico VII d'Inghilterra, discendente dei Beaufort per linea materna, adottò come simbolo sia la saracinesca che la rosa Tudor. Da questo momento la saracinesca è apparsa spesso negli stemmi inglesi, e fu utilizzata anche come simbolo del Palazzo di Westminster a Londra.1 punto
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Tra i gigliati, poi, ci sono quelli che presentano la lettera N nel campo del diritto. Questo che aggiungo presenta anche un globetto1 punto
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Quello che credo volesse dire @Tinia Numismatica, e sul quale concordo in toto, è che noi italiani abbiamo sempre questa visione esterofila nel pensare che siamo sempre peggiori, più disonesti degli altri, la realtà però non è questa. Noi siamo un grande popolo di lavoratori e di eccellenze a livello mondiale in tutti i settori, anche in quello numismatico, poi ovviamente ci sono anche i furbastri che trovano terreno fertile nella cavillosità della nostra burocrazia, ma questo è un altro discorso...1 punto
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Ho ritrovato in un vecchio computer quel file che ci divertimmo a compilare molti di noi utenti, ripeto ( oltre ad essere molto artigianale, però se c'è qualche utente bravo gli posso girare in word),come dissi all'epoca, non ha pretese scientifiche e risente, ovviamente, del fatto che siano passati credo 5 anni. Lo preparai soprattutto come riassunto di questa discussione, anche se fu abbastanza scaricato. SalutI Eliodoro imperatori rari.pdf1 punto
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1905 GALLERIA DEL SEMPIONE INCONTRO IN GALLERIA TRA SVIZZERI E ITALIANI - GALLERIA DI m. 19.7811 punto
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Sembra lontano quel maggio del 2002 quando la passione per questa disciplina sbocciò con le ruvide sembianze di un operaio della locale azienda distributrice di gas che bussando alla porta della mia abitazione mi offrì l'acquisto di un esemplare di 10 centesimi di rame coniato sotto Vittorio Emanuele II Re d'Italia. L'esemplare era stato da pochi minuti rinvenuto sotto terra durante i lavori di scavo per la posa di alcuni tubi. Il lettore può facilmente immaginare le condizioni di conservazione di quel "palancone" di cui si leggeva a stento la data; ma poco importava; ai miei occhi appariva un gioiello, il più prezioso oggetto che avessi mai avuto tra le mani. Da quel giorno tutto ebbe inizio, la frequentazione dei primi mercatini, gli acquisti sui portali di commercio elettronico (allora in forte espansione) e poi via via i convegni, i negozi e le grandi case d'asta, sempre alla spasmodica ricerca del pezzo mancante nella qualità migliore. In questo peregrinare ho incontrato tanti amici, veri compagni di viaggio, profondi conoscitori di questa straordinaria disciplina che mi hanno trasmesso il loro sapere e la loro grande passione. La presente raccolta numismatica si prefigge l'obiettivo, benché arduo, di riunire le monete più significative, almeno per tipologia, coniate nelle diverse aree geografiche della penisola italica, dalla metà del XV secolo all'Unità d'Italia avvenuta nel 1861. Ben lungi da velleitarie pretese di organicità e completezza si è posta maggior attenzione alla qualità degli esemplari raccolti tentandone il difficile connubio con l'impegno economico. A tale riguardo piace ricordare le parole di Memmo Cagiati ne "il decalogo del raccoglitore"del 1926, ove egli acutamente osserva: "Non vi ha al mondo collezione completa, né tra le private né tra le pubbliche, e non vi ha piccola collezione che non contenga qualche pezzo desiderato dalle più insigni". Ed ancora: "Tra le varie collezioni, quella delle monete è la più solida, quella che meno deperisce, quella che maggiormente acquista pregio col tempo [...]. Non essendovi al mondo collezione completa, qualche lacuna da riempire vi rimarrà sempre questo è appunto ciò che forma la durata e la continuità del piacere del raccoglitore". La raccolta considera come maggiori direttrici di sviluppo le vicende delle due principali dinastie regnanti in Italia ossia i Borbone per il meridione ed i Savoia per il settentrione i quali più di tutti ebbero influenza nella penisola sino alla sua unificazione nel Regno d'Italia sotto la corona Sabauda. Circa la monetazione meridionale si osserva come la stessa sia stata pesantemente influenzata dal lungo regno di Ferdinando IV di Borbone (1759-1816) come re di Napoli e di Sicilia prima, con il nome di Ferdinando III, e come re del Regno Delle Due Sicilie ( a seguito del Congresso di Vienna che stabilì unificazione del reame d Napoli e di quello di Sicilia) con il nome di Ferdinando I, poi. Particolare attenzione è dedicata alle alterne vicende storiche legate alla dominazione napoleonica (dal 1798 al 1814) ed ai riflessi di questa nel frammentato scenario geo-politico antecedente la campagna d'Italia; non è ovviamente trascurato il periodo successivo al Congresso di Vienna con la conseguente Restaurazione delle monarchie. Merita un excursus nella monetazione rinascimentale la figura di Emanuele Filiberto Duca di Savoia (1559-1580) il quale ebbe l'abilità e la tenacia necessarie a conservare lo Stato Sabaudo ed a risollevarne le sorti quando ormai esso sembrava destinato a scomparire a causa della guerra tra la corona di Francia e quella di Spagna che quei luoghi avevano scelto come teatro di battaglia e che entrambe rivendicavano come propri. Non trascurabile è la riforma monetaria approntata dal Duca nell'ambito del riordinamento degli affari dello Stato nel 1562. Occorre infine precisare che l'assenza di esemplari di talune monetazioni e la presenza, apparentemente incoerente, di altre, ancorché tra esse analoghe per tipologia, non è dovuto a dimenticanza o distrazione bensì al mero gusto del raccoglitore, da cui nessuna collezione può prescindere. Parimenti non deve stupire l'inserimento di alcune monete, una per tutte la serie di quattro monete coniate nel 1911, sotto Vittorio Emanuele III Re d'Italia, commemorativa del 50° anniversario della proclamazione del Regno, universalmente riconosciute quali sommo esempio di pregio e raffinatezza benché aliene alla finalità della raccolta. Buona visione! Stefano1 punto
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