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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 07/22/20 in tutte le aree
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Buonasera a tutti i cari amici del forum. Oggi ci tengo particolarmente a farvi vedere la mia new entry. Inizio con il dire che pur non collezionando Siciliane sono sempre stato affascinato da questo nominale, e poi qualcuno di voi ricorderà il mio debole per il Re Nasone. Con queste premesse la mia prima moneta Siciliana non poteva che essere un 12 tarì di Ferdinando III Pur collezionando Napoletane le monete Siciliane restano per me un mondo inesplorato, proprio per questo sarei curioso di sentire il parere di persone più esperte di me. Andando a memoria... @Asclepia @borbonik @Ledzeppelin81 che in qualche discussione ho visto interessati alla monetazione siciliana, e in generale chiunque voglia esprimersi sulla qualità, conservazione, difetti o quant’altro sarà ben accetto. Per iniziare vi dico che il precedente proprietario l’ha chiusa bb/Spl ma mi ha detto di essere abbastanza tirato in generale. Io sul grading non mi esprimo, ciò che però ho notato è una notevole freschezza del metallo specie al dritto, che sarò sincero mi ha stupito non poco, e che cercherò di farvi cogliere con queste foto a luce naturale. È da decidere poi se e quanto la debolezza al centro del dritto possa incidere su un eventuale giudizio; in quanto da ciò che ho capito è propria di questo millesimo. A favore di questa ipotesi c’è il fatto che è ben visibile e marcata la restante capigliatura del sovrano. Stesso discorso vale forse ancor di più per la debolezza a ore 6 o per i graffi di conio al rovescio. Parlando invece puramente del fattore emozionale la moneta in mano è davvero molto molto piacevole. Grazie in anticipo a chiunque vorrà intervenire ☺️ (p.s. Il vecchio proprietario è un utente del forum e la moneta è stata già postata da lui, vediamo se qualcuno la ricorda)4 punti
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Buonasera a tutti i Medaglisti. Ho difficoltà a reperire informazioni sulla medaglia in oggetto. Conosco i dati ponderali, conosco il metallo di cui è composta e conosco chi la disegnò/incise. Ma chi la commissionò, quanti esemplari ne furono coniati, in che metalli, in che anno e in quale officina fu fatta sono le domande che mi sono posto (alle quali non ho trovato risposta) e che cortesemente vi giro. Sperando in un aiuto da Utenti più addentro di me, gentilmente saluto. Sergio.3 punti
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Erodoto nelle sue "Storie" ( I , 131 ) menziona per la prima volta gli Arabi narrando dei costumi religiosi dei Persiani . Almeno 1000 anni dopo, conclusa la vita di Maometto nel 632 d.C. , gli Arabi si espandono rapidamente in Mesopotamia ed Anatolia fino al fallito attacco a Costantinopoli del 674 ed in Egitto ed in tutta la costa mediterranea dell'Africa . Tariq ibn Ziyad sbarca ad Aprile 711 nei pressi di Gibilterra e nel 714 il regno visigoto di Spagna si dissolve diventando il dominio arabo di Al-Andalus : il confine tra Al-Andalus ed il regno dei Franchi si stabilizzerà anche con la battaglia di Poitiers in Ottobre 732 vinta da Carlo martello, maestro di palazzo dei Franchi Merovingi, contro gli Arabi-Berberi guidati da Abd Al-Rahman . Nel 779 Carlomagno re dei Franchi, progettando di estendere il regno verso la Spagna traendo profitto dai dissidi interni ad Al-Andalus, porta i suoi eserciti oltre i Pirenei, prende e poi distrugge Pamplona e conquista Barcellona ; Saragozza però non gli si consegna, resiste e costringe i Franchi ad assediarla . La ripresa della rivolta dei Sassoni obbliga Carlomagno ad abbandonare l'impresa in Spagna per rientrare nel regno e fronteggiare la nuova instabilità a Nord-Est : la distruzione della retroguardia dell'esercito dei Franchi in ritirata, ad opera di guerrieri Baschi a Roncisvalle, chiuderà la non fortunata impresa spagnola e la consegnerà all'epopea del mito con la 'Canzone di Rolando' . Nella Spagna non conquistata avranno probabilmente circolato, con i primi denari carolingi, anche le ultime monete auree dei Visigoti oltre ai dinari d'oro degli arabi .2 punti
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Un pensiero ? marketing.....tu sei fuori di testa, e ancora che qui in sezione ti danno retta. Roba da non crederci per quante stupidaggini stai scrivendo. Leggi....qualcosa, ripeto, poi aziona il cervello, poi chiedi scusa e poi scrivi. Genny ha colto in pieno su quello che tenti di fare qui !!2 punti
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REGNO DELLE DUE SICILIE - FERDINANDO II° - 120 GRANA 18452 punti
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1945 Indie olandesi (regina Guglielmina), 2 e 1/2 centesimi di Gulden in bronzo, officina Filadelfia.2 punti
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Semifonte fu una città fortificata, che sul finire del XII secolo, divenne una fiera avversaria di Firenze. Oggi è solo il toponimo di una località nei pressi di Petrognano, frazione del comune di Barberino Val d'Elsa, in provincia di Firenze. Il nome deriva da latino Summus Fons (sorgente d'acqua alla sommità di una altura), divenuto in seguito Summofonte e infine Semifonte. Il castello prima, e la città poi, vennero fondati, intorno al 1177, dal conte di Prato Alberto IV degli Alberti, divenendo, in breve, uno dei centri più potenti della Valdelsa, nonché caposaldo imperiale nella zona. Questa nuova potenza fu immediatamente malvista dalla Repubblica fiorentina che vi si oppose in ogni modo e che riuscì a sconfiggerla nel breve volgere di un ventennio. Nel 1202, Semifonte, dopo un assedio iniziato nel 1198, venne sconfitta, conquistata e subito rasa al suolo dalle truppe di Firenze, che aveva voluto esemplarmente punire un avversario alle proprie mire espansionistiche. Terminata l'opera di distruzione, Firenze decretò che su quel colle non si sarebbe mai più potuto costruire nessun edificio. Tale divieto è stato, di fatto, rispettato fino ad oggi, ad esclusione della Cappella di San Michele, eretta, nel 1597, sulla cima del colle, su progetto di Santi di Tito, che ne ottenne, con fatica,l'approvazione da Ferdinando I de' Medici, allora Granduca di Toscana. Tra il 1154 e il 1174, l'imperatore Federico il Barbarossa scese in Italia cercando di sottomettere i liberi Comuni. Questi ultimi, appartenenti alla Lega Veronese di Pontida prima, Lombarda poi, infersero una sonora sconfitta all'imperatore durante la battaglia di Legnano nel 1176, giungendo infine alla pace di Costanza (1183). In questo clima di lotte tra imperatori e feudatari da una parte, liberi Comuni dall'altra, si colloca la nascita della città di Semifonte, fondata dal Conte Alberto IV degli Alberti nella seconda metà del XII secolo con l'intento di creare una cintura di castelli appartenenti ai feudatari fedeli all'impero[6] intorno alla città di Firenze, libero comune, per tentare di contenerne l'espansione. Le principali piazzeforti del partito imperiale erano: Fucecchio, San Miniato, Semifonte e Montegrossoli. A questi si affiancavano altri castelli degli Alberti (Certaldo, Castelfiorentino, Lucardo, Vico d'Elsa, Pogna[6]) e dei Conti Guidi (Poggibonsi e Monterappoli). I contrasti per l'edificazione della città (1177 - 1187) La prima fondazione Allo stato attuale non esiste nessuna testimonianza che permetta di stabilire con precisione la data di fondazione di Semifonte, quello che è possibile fare sono solo delle supposizioni. Anche da un punto di vista bibliografico l'unica testimonianza coeva agli avvenimenti è quella del giudice fiorentino Senzanome che assistette personalmente ad alcune fasi della guerra, terminata con la distruzione del centro. Il Senzanome colloca la fondazione intorno al 1177 per iniziativa del conte Alberto IV in occasione della discesa in Italia dell'imperatore Federico Barbarossa; il monarca si trattenne in Toscana fino al gennaio 1178 per poi ritornare in Italia solo nel 1184. In quell'anno era scoppiata una contesa tra gli Alberti e il comune di Firenze per il controllo di Pogna e, nella cronaca di Senzanome, è scritto che il Conte Alberto «trascursis annis postea non multis» dal 1177 «dum excellentissimus Fridericus primus, Romanurum imperator intraret Ytaliam, de ipso confidens, de ipso castro super excellentioris monte qui dicebatur Somofonti, castrum contruixit eodem nomine appellatum, eiusdem imperatoris asumpto vexillo, quod nullum Ytalia melius nec forte simile preter unum». Questa è l'unica testimonianza che parli della nascita di Semifonte; visto che la località non venne nominata nell'elenco dei beni confermati dall'imperatore ad Alberto nel 1164, anno in cui il conte era da poco diventato maggiorenne e quindi è da ritenere che la fondazione del centro deve essere avvenuta proprio tra il 1177 e il gennaio 1178. Per gli Alberti la fondazione di un nuovo centro non era una novità, visto che, all'inizio dell'XI secolo, si erano fatti promotori della fondazione di un centro destinato a ben altra fortuna: Prato. Semifonte come Prato nasceva dall'aggregazione di diverse comunità poste nell'area circostante ma, rispetto alla fondazione di Prato, quello che era cambiato era il contesto. La zona in cui nacque Semifonte, alla fine degli anni settanta del Millecento, era una delle aree più popolate della Toscana potendo contare sia su centri come Certaldo, Podium Bonizii, San Gimignano, Colle di Val d'Elsa sia dall'essere attraversata dalla via Francigena; a quel tempo la via Francigena era l'asse principale per i movimenti degli uomini e delle cose e poterne avere il controllo era fonte di sicuri e immensi guadagni. Questi guadagni erano uno dei principali obbiettivi della Firenze del tempo e quindi, per averli, era pronta a combattere. Fin dalle fasi iniziali del popolamento, Firenze intuì che il nuovo castello le avrebbe inevitabilmente tagliato qualsiasi collegamento con il sud, per la sua collocazione strategica sulla via Volterrana, e dichiarò la guerra: ai primi di marzo del 1182 fu organizzata una spedizione militare, con l'intento di scoraggiare il progetto, attraverso l'occupazione e la sottomissione di Empoli, Pontorme, Pogna e distruggendo i cantieri attivi a Semifonte. La missione militare andò a buon fine visto che gli sconfitti giurarono di «Nec in Sumofonti pro castello edificando vel in alio podio non ibimus pro castello vel fortizia construenda vel facienda aliquo ingenio» (né faremo alcunché per edificare un castello in Semifonte né andremo in altro poggio per costruire un castello o opere fortificate o per fare altri accorgimenti difensivi) e queste non sono altro che le parole degli abitanti di Pogna, registrate dai notai fiorentini in un documento datato 4 marzo 1182. Seconda spedizione punitiva fiorentina e ripresa dei lavori I lavori furono sospesi per un paio di anni. Quando la situazione si fu nuovamente calmata gli Alberti riportarono lavoratori e abitanti nella zona per ricominciare i lavori di fondazione e Firenze scatenò nuovamente la guerra alla famiglia. L'esercito fiorentino occupò nuovamente Pogna, vennero distrutte le fortezze albertiane di Marcialla e di Mangona nel Mugello, dove il conte Alberto IV venne catturato. Per ottenere la libertà dovette accettare le condizioni dei fiorentini che consistevano nello smantellamento delle fortificazioni di Certaldo, nella distruzione di Pogna, nella cessione della metà degli introiti dei dazi percepiti con i pedaggi sulla Francigena e nel nuovo smantellamento di Semifonte. Il documento di resa recita: «Nec ullo in tempore reedificabimus vel permettimus reedificationem aliquo ingenio castellum de Pogna, nec domus aut operas in Summofonte» (Né mai riedificheremo e permetteremo la riedificazione con qualsiasi accorgimento del castello di Pogni né di case o d'opere in Semifonte). Costretti a questo giuramento furono: il Conte Alberto, i suoi figli Guido e Maginardus e la moglie Tavernaria. I patti però non furono rispettati e il processo di espansione di Semifonte riprese indisturbato. Il 19 agosto 1187 il conte Alberto si presentò a Bologna come testimone al cospetto dell'imperatore Enrico VI facendosi appellare quale «comes Albertus de Summufonte». La scelta del conte è significativa: fino a quel momento gli Alberti si erano sempre presentati come Conti di Prato ma la scelta di usare il nuovo titolo di fronte all'imperatore (cioè di fronte a colui che legittimava il loro potere) va letta come la dimostrazione degli stretti legami che legavano la famiglia con il nuovo centro e il nuovo centro con il potere imperiale; il messaggio rivolto in tal modo a Firenze ed ai suoi alleati era chiaro: toccare Semifonte equivaleva a toccare direttamente gli interessi imperiali. Fra i principali alleati di Firenze, in quel momento, vi erano i conti Guidi i quali, nello stesso periodo, nella zona tra la Pesa, l'Elsa e l'Arno, insomma nel feudo degli Alberti, avevano fondato ben due centri:Podium Bonizii ed Empoli, e quest'ultima, con il dichiarato intento di sottrarre uomini agli Alberti[14]. Con la nascita di Semifonte gli Alberti, unici veri rappresentanti del potere imperiale in questa zona della Toscana, cercarono di controbilanciare il potere guidingo. Lo sviluppo della città (1187 - 1198) Mortennano e nascita del comune A Semifonte i lavori procedettero in maniera spedita e, oltre alle fortificazioni, vennero costruite le case per gli abitanti, i quali furono subito dediti alle più varie attività artigianali, nonché alla mercatura. Ma ci fu un vero e proprio colpo di scena: il 18 luglio 1189 il Conte Alberto degli Alberti cedette metà dei suoi diritti sulla città a Scorcialupo da Mortennano: questa mossa servì per rafforzare la posizione della nuova città nei confronti di Firenze, facendo entrare Semifonte nell'orbita di Siena. Scorcialupo infatti era il proprietario del Castello di Monternano, situato nei pressi di Castiglione (oggi Castellina in Chianti), nel distretto della pieve di Sant'Agnese in Chianti, appartenente alla diocesi di Siena ed inoltre apparteneva ad una potente famiglia dell'élite senese e, Siena, avversaria di Firenze, mai avrebbe permesso che la città gigliata minacciasse una proprietà di un suo concittadino. Se da una parte questa scelta rafforzò politicamente Semifonte, dall'altra questo, è il primo segnale dell'abbandono da parte degli Alberti dello scacchiere toscano, Prato compresa, per trasferire i loro interessi nell'area di Bologna, dove infatti si attesteranno dal Trecento. La cessione però, non fu vissuta come un dramma dagli abitanti. Infatti nello stesso periodo (o forse fin dal principio), all'interno del castello, si era cominciata a formare una solida leadership di cittadini che, di concerto col fondatore, avevano iniziato a autogovernarsi. La prima attestazione di un Comune di Semifonte appare in una carta della badia a Passignano del dicembre 1192 e, alla fine del secolo, risulta che il governo del comune era affidato a tre consoli e ad un consiglio di cui sono rimasti i nomi di sette consiglieri. Intanto il castello si andava sempre più sviluppando e, con la sua potenza, già minacciava i commerci di Firenze. Si narra che i cavalieri di Semifonte andassero fin sotto le mura di Firenze a gridare in segno di scherno: «Fiorenza, fatti in là che Semifon si fa città» Sempre nel 1192, le milizie di Semifonte catturarono, quasi sicuramente su ordine dell'Imperatore Enrico VI, il cardinale Ottaviano Vescovo di Ostia[18], l'uomo, in quel momento, più autorevole della Curia romana, il quale transitava sulla via Francigena di ritorno verso Roma da una missione diplomatica in Normandia. Il Cardinale fu poi rinchiuso nella fortezza di Monte Santa Maria Tiberina presso Città di Castello. Ma questo non fu che l'episodio più clamoroso: approfittando della posizione strategica della loro città, i semifontesi erano soliti depredare tutti i messi pontifici di passaggio e ciò li mise in cattiva luce con la curia romana. Ma a salvarli fu la notevole ricchezza e l'importanza strategica del castello che attirarono l'attenzione di due importanti e vicini monasteri vallombrosani: la badia a Coltibuono e, soprattutto, l'abbazia di Passignano. Ingresso di Badia a Passignano Il 15 novembre 1192 la badia di Passignano acquistò un edificio e un terreno non edificato posti nel borgo di Cascianese, uno dei borghi che costituivano il nuovo centro. Questo investimento fu fatto, ufficialmente, allo scopo di poter costruire un ospedale per i viandanti. Circa un mese dopo, venne siglato un accordo tra il pievano di Santa Gerusalem (la chiesa principale del castello) e l'abate di Passignano, accordo che ebbe un peso notevole nelle vicende future. In base a questo accordo il pievano, sul cui territorio sorgeva Semifonte, concesse due privilegi alla chiesa che il monastero si era impegnato a costruire insieme all'ospedale: il titolo di parrocchia ed il governo su quella parte della nuova città che andava dalla porta di Tezanello alla opposta porta di Bagnolo . Non solo, il pievano si impegnò a non sollevare obiezioni nel caso in cui la chiesa patrocinata da Passignano avesse ottenuto dal Papa il diritto alla fonte battesimale, concessione apparentemente inspiegabile visto che la fonte battesimale era un'importante prerogativa della chiesa di Santa Gerusalem. L'elevazione di una semplice chiesa parrocchiale a pieve era un evento molto insolito in ambito fiorentino, ma il pievano di Santa Gerusalem non parve preoccupato dall'eventuale diminuzione di importanza della sua chiesa, forse perché sapeva che Passignano godeva dell'appoggio dalla Santa Sede. La contropartita che Passignano dovette concedere fu modesta: doveva riconoscere la superiorità della pieve sulla parrocchia e festeggiare le festività della Santa Croce e di San Niccolò che si tenevano nella stessa pieve; dati i rapporti di forza, totalmente a favore di Passignano, per il monastero l'affare fu notevole. Il ruolo di Coltibuono invece è meno chiaro, anche se ottenne di farsi rappresentare nel consiglio comunale della città da un uomo che faceva stabilmente parte della classe dirigente cittadina: Biliotto di Albertesco, un commerciante con bottega sul mercato locale. In un anno non definito, Biliotto e la badia a Coltibuono procedettero alla vendita di un bene non specificato a un membro della famiglia Ricasoli di Vertine, e con tale evento si tentò di inserire la famiglia Ricasoli nella nobiltà Semifontese. Non se ne fece di nulla perché, nel 1202, avvenne la capitolazione e il contratto venne annullato. Ma non furono solo interessi economici a far muovere Passignano. Come abbiamo visto, il potere degli Alberti era ormai in netto calo e l'abate di Passignano, spalleggiato in questo da Coltibuono, mirava sicuramente prima ad affiancare e poi magari a sostituirsi quale feudatario, e, a questo progetto, non erano estranei i consoli del comune di Semifonte; il consiglio si impegnò a non esercitare alcun diritto fiscale sia sulla chiesa che sull'ospedale che il monastero voleva costruire e, inoltre, questa immunità venne estesa a tutte le case che il monastero avesse costruito o acquistato dentro le mura e su tutto il territorio semifontese. In cambio di queste concessioni, l'abate offrì al comune tutto l'appoggio che il monastero poteva dare. Da questi accordi si evince che la sostituzione degli Alberti con Passignano era possibile, anche se ciò comportava una modifica degli equilibri interni; Passignano ottenne inoltre che nel consiglio del comune sedesse stabilmente un suo rappresentante, nella persona del procuratore Pierus quondam Cascianelli ed il comune, in cambio, ottenne l'appoggio di una potente comunità monastica, fortemente legata con la Santa Sede. L'inizio della fine Nell'autunno 1196, approfittando della partenza dell'esercito imperiale alla volta della Sicilia, i fiorentini per la prima volta attaccarono il borgo esterno alle mura della città. Subirono danneggiamenti anche una o più chiese di proprietà della Badia a Passignano. La reazione dei monaci fu immediata: su intercessione dell'abate, papa Celestino III lanciò l'interdetto su Firenze, a causa dei danni che quest'ultima aveva causato ai beni che il monastero possedeva a Semifonte. A perorare la causa di Passignano e Semifonte venne inviato a Roma Boncompagno da Signa, uno degli uomini di legge più celebri del tempo. Ma un avvenimento mutò irreparabilmente lo scenario nel 1197: l'imperatore Enrico VI morì e lasciò come erede Federico II di soli tre anni. La Lega di Tuscia Il partito imperiale entrò immediatamente in crisi e tutti i conflitti ripresero. Tra i primi a muoversi furono i comuni di San Gimignano e Volterra, che si allearono contro il vescovo di Volterra ed il locale rappresentante imperiale Bertoldo. In quello scontro il potere vescovile ne uscì ridimensionato ed inoltre subì la perdita del castello della Pietra, concesso dallo stesso Enrico al vescovo ma ora sottomesso al comune. In prima fila tra gli anti-imperiali c'era Firenze, che insieme ad altre città toscane, stipulò la Lega di Tuscia (1197-1198). La sede delle trattative fu a San Genesio, da sempre sede delle diete imperiali per la Toscana, e, oltre a Firenze, furono coinvolte Lucca, Siena, i Conti Aldobrandeschi, i Conti Guidi, altri Grandi di Toscana, San Miniato e il vescovo di Volterra e, poco dopo, venne estesa anche ad Arezzo ed a Prato. L'importanza della Lega di Tuscia fu enorme: per la prima volta le città toscane si spartirono il territorio della regione senza tener conto delle antiche divisioni amministrative, inoltre, venne, di fatto, stabilito un rapporto paritario tra le autorità comunali ed i signori feudali e, infine, i partecipanti si giurano reciproca difesa, impegnandosi a non riconoscere Imperatore o Re senza ordine della chiesa. L'obiettivo principale era la resistenza contro una restaurazione della signoria tedesca. Ogni membro avrebbe dovuto ottenere la sovranità nel proprio territorio, senza violare i diritti degli altri. Il vescovo di Volterra venne posto a capo della lega. Tra i convocati c'erano anche le maggiori famiglie feudali toscane che, avendo ormai perso la protezione imperiale, si videro costrette, non solo ad accettare di partecipare all'assemblea, ma anche ad accettarne le decisioni. Tra i partecipanti c'erano i Guidi, i Gherardini, gli Aldobrandeschi e gli Alberti. Nell'accordo finale i diritti di queste famiglie vennero riconosciuti, a patto però che fossero di concessione regia ma, di fatto, da quel momento in poi persero, o dovettero profondamente ridimensionare, il controllo che avevano sul territorio. Per quanto riguarda gli Alberti, Firenze pretese, non a caso, un accordo diverso. Dalla Lega di Tuscia dovevano rimanere fuori le fortezze albertiane di Certaldo, Mangona e Semifonte, in pratica i gioielli del dominio albertesco, in cambio Firenze garantì la restituzione agli Alberti per usi agricoli dell'area di Semifonte, ovviamente dopo che ne fossero state smantellate le fortificazioni. Nel 1198 era stato eletto al soglio pontificio papa Innocenzo III, fautore di una decisa politica antimperiale, e Semifonte si trovò di fatto isolata da tutto e da tutti. L'assedio e la distruzione (1198 - 1202) I fiorentini cominciarono la riconquista del contado sottomettendo prima il castello di Montegrossoli, e poi, l'11 maggio 1198, Certaldo. Firenze decise di cominciare la guerra contro l'odiata Semifonte proprio nel 1198. La prima mossa fu il rafforzamento del vicino castello di Barberino, che avrebbe fatto da quartiere generale, poi ci fu la conquista di Vico d'Elsa ed a quel punto l'accerchiamento di Semifonte era completo. Gli alleati di Semifonte La probabile futura caduta di Semifonte fece preoccupare i vari centri della Valdelsa, che temevano il dilagare della potenza fiorentina nella zona. Perciò provvedettero, innanzitutto, a sopire le varie vertenze locali. Colle di Val d'Elsa inizialmente si era schierata con il partito imperiale ma, dopo diversi scontri per il possesso del castello di Casaglia, il 24 novembre 1199, stipulò un patto di alleanza e difesa reciproca con San Gimignano (alleata di Semifonte), per contrastare Poggibonsi, cittadina amministrata in condominio da Firenze e Siena; tale accordo venne stipulato proprio nel castello di Semifonte, grazie alla mediazione del console Mainesctus. Altri accordi furono stipulati tra i signori feudali dei comuni minori della Valdelsa e della Valdera quali Montevoltraio, Montignoso, Monteglabro, Castelvecchio e i signori del castello della Pietra; tutti questi centri si dichiararono alleati di Semifonte. Alla luce di quello che successe dopo, la loro alleanza con Semifonte fu solo teorica. La città fu assediata, certamente in maniera non continuativa, anche per le ingenti spese che ciò avrebbe comportato. Il tradimento del conte Alberto La situazione precipitò il 12 febbraio 1200, quando, il conte Alberto IV, per salvare il resto dei suoi domini feudali, si accordò con il comune di Firenze vendendogli per 400 libbre o 400 lire di moneta pisana la sua metà dei diritti sul castello; inoltre, si impegnò ad aiutarli nell'assedio e cedette, definitivamente, il castello di Certaldo (che nonostante tutto aveva continuato ad aiutare Semifonte), in più vennero ripetute le clausole dell'accordo del 1184, ovvero l'esenzione su qualsiasi pedaggio per i mercanti e i cittadini fiorentini in transito sulla Francigena. Il Conte Alberto che tanto si era adoperato per l'edificazione della sua città, ora l'aveva tradita. Fiutando il vento, anche Scorcialupo da Mortennano cedette a Tabernaria, moglie del conte Alberto, la sua metà del castello di Semifonte e lei girò immediatamente il tutto al comune di Firenze, che, a questo punto, era, da un punto di vista legale, la padrona assoluta del castello. Dopo la resa del conte, anche il vescovo di Volterra, Ildebrando Pannocchieschi, si schierò apertamente con i fiorentini inviando, contro Semifonte e contro Colle Val d'Elsa, 200 cavalieri e 1.000 fanti. Lo fece perché sperava in un loro aiuto contro San Gimignano, ma tale decisione, la prese sfidando una parte dei suoi fedeli e lo stesso comune volterrano schierato invece a fianco di San Gimignano e Semifonte. La pace di Fonterutoli Nel 1201, quarto anno di guerra, Firenze ancora non era riuscita a fiaccare la resistenza dei semifontesi; evidentemente la volontà dei difensori unita agli aiuti dei centri minori stava funzionando ma Firenze stava per calare il jolly. Il 29 marzo 1201, nella canonica di San Miniato a Fonterutoli, si incontrarono Paganello da Porcària, podestà di Firenze, e Filippo Malavolti, podestà di Siena, con i loro rispettivi funzionari. Fra le due parti venne firmato un accordo in base al quale i decennali contrasti tra le due città avrebbero visto la fine. L'accordo prevedeva che Firenze concedesse il libero transito ai mercanti Senesi nel suo territorio e in cambio, Siena si impegnò a fare altrettanto. Apparentemente sembra un accordo commerciale, ma, in realtà, è politico e militare; il podestà di Firenze fece infatti scrivere che se un abitante di Montalcino fosse stato trovato in territorio fiorentino, venisse catturato e, entro 15 giorni, consegnato alle autorità senesi ed inoltre, e qui è il passo fondamentale, se Siena avesse chiesto aiuto militare a Firenze per la conquista di Montalcino, la città del giglio, le avrebbe messo a disposizione 100 cavalieri e 1000 tra fanti e arcieri, mantenuti a spese della stessa Firenze per almeno un mese. Da parte sua Siena si impegnò a considerare Semifonte come sua nemica e se un semifontese fosse stato trovato nel suo territorio lo avrebbe consegnato a Firenze, e, inoltre, avrebbe fornito, per la guerra di Semifonte, un contingente armato anch'esso di 100 cavalieri e 1000 fanti[29]. Ma l'accordo prevedeva anche altro: Siena si impegnò a impedire che Colle di Val d'Elsa fornisse qualsivoglia aiuto a Semifonte e, da parte senese, non sarebbe stato inviato nessun aiuto a San Gimignano se quest'ultimo avesse continuato a schierarsi dalla parte di Semifonte. In definitiva, l'accordo stipulato a Fonterutoli stabilì, senza dubbi, quali erano le zone di influenza delle due città. Nonostante Firenze fosse, dal punto di vista legale, la padrona del castello decise di scendere a patti con Siena. L'accordo era fondamentale perché Siena era diventata una vera e propria spina nel fianco verso i progetti di espansione fiorentina in Val d'Elsa e nel Chianti. Tra le due città esisteva un vecchio accordo che era stato firmato l'11 dicembre 1176 nella pieve di San Marcellino. L'accordo mise momentaneamente fine al conflitto scoppiato l'anno precedente, tra le due parti, per questioni di confini nel Chianti e per il controllo di Montepulciano. In quel patto si stabilì che il confine nella zona del Chianti sarebbe iniziato dal punto in cui il torrente Bornia si getta nell'Arbia e, di conseguenza, i castelli di Brolio, Campi, Lucignano, Monteluco, Lecchi e Tornano passarono sotto il controllo di Firenze. L'accordo stava stretto a Siena che infatti lo rispettò solo per modo di dire; subito dopo la firma entrambe ricominciarono a guerreggiare. Insomma l'accordo di Fonterutoli servì a tenere buona Siena per il tempo necessario a prendere Semifonte, poi tutto sarebbe ricominciato come sempre. L'accordo di Fonterutoli determinò dunque, il cambiamento di campo di Colle Val d'Elsa, ma non fu la sola. Ormai i maggiori alleati, come la badia a Passignano, stavano abbandonando Semifonte mentre Firenze ricevette rinforzi anche da Lucca, Prato e dai Guidi. L'unico alleato rimasto fedele era San Gimignano, da cui continuarono ad arrivare rinforzi. Ma furono gli ultimi; nel timore di ritorsioni ed in cambio di una immunità concessa dai fiorentini, i sangimignanesi garantirono che, in caso di caduta di Semifonte, si sarebbero semplicemente limitati ad accettare la cosa. Epilogo Nei primi mesi del 1202 Firenze strinse l'assedio. Per l'ultima disperata resistenza, i Semifontesi affidarono la Rocca di Capo Bagnolo (la fortezza principale della loro città) a un certo Dainello di Ianicone dal Bagnano (località poco distante). Firenze, invece, affidò il comando al Console Clarito Pigli (o Pili o Pilli), il quale fece pervenire truppe fresche, nonché i temibili mangani, macchine da guerra per scagliare pietre durante gli assedi e il fuoco greco, che i fiorentini usarono sul campo per la prima volta. Secondo il Salvini, difensori di Semifonte erano poco più di 5000, contando anche i rifugiati dei dintorni, mentre gli attaccanti ammontavano a circa 10000 uomini. Il commando suicida L'assalto finale fu lanciato probabilmente all'alba del 23 marzo 1202. Secondo la leggenda, la caduta avvenne per tradimento. Tutti i vari storici del passato individuarono il traditore in tale Ricevuto di Giovannetto, uno dei soldati che il comune di San Donato in Poggio aveva mandato in soccorso di Semifonte. Ricevuto sarebbe stato al soldo dei fiorentini e, in cambio di una esenzione perpetua dal pagamento delle tasse, avrebbe, ad un determinato segnale, dovuto aprire la porta Romana, a lui affidata. Scoperto il tranello, Ricevuto sarebbe stato ucciso dai semifontesi. In realtà ad accelerare la caduta fu un colpo di mano di un vero e proprio commando guidato da un certo Gonella insieme ad altri fuoriusciti semifontesi, tra cui lo stesso Ricevuto, che però rimase solo ferito, ed ai cui discendenti la Repubblica fiorentina concesse l'esenzione in perpetuo delle tasse. Questi semifontesi appartenevano sicuramente a un gruppo di cittadini molto legato al conte Alberto e, grazie alla perfetta conoscenza delle strutture del castello, riuscirono nell'impresa. Secondo il Salvini, che riprende la storia di Pace da Certaldo, le cose andarono così: sfruttando il buio della notte l'esercito fiorentino si era avvicinato alla porta Romana, che intanto era stata aperta dal commando, e una volta dentro il gruppo si divise in due, una parte tentò di scalare le mura della Rocca di Capo Bagnolo (il punto chiave di tutta la fortificazione) mentre l'altro gruppo tentò di conquistare la rocca stessa. Il piano fallì e furono quasi tutti uccisi. Assalto finale Intanto il governo di Firenze cominciava a stancarsi di questo lungo assedio e pretese la conquista, oltretutto aveva già ordinato, allo stesso Clarito de'Pigli, di cominciare un altro analogo assedio al castello di Combiate in Val Marina. Clarito decise così di sferrare l'attacco finale sfruttando i nuovi rinforzi che gli erano giunti da Firenze e da Certaldo. Prima dell'assalto inviò nel castello quale ambasciatore. Aldobrandino Cavalcanti, con l'autorizzazione ad accettare qualsiasi richiesta ragionevole. Il consiglio del castello chiese due ore di tempo per decidere. Clarito accettò, ma intanto dispose le truppe. All'interno intanto la discussione fremeva: alcuni fecero presente che la città ormai era allo stremo e che le difese ormai erano ridotte talmente male che i fiorentini non avrebbero avuto difficoltà ad aprirvi un varco, ma altri proposero di resistere ad oltranza confidando nel fatto che nei dintorni la rivolta contro Firenze era in corso e che l'esercito fiorentino avrebbe smobilitato l'assedio per spegnere queste rivolte. Mentre i Semifontesi discutevano erano ormai trascorse le due ore concesse da Clarito, il quale, da parte sua, aveva ormai dispiegato tutte le truppe per l'assalto finale e dette il via alle operazioni. Quando i semifontesi si accorsero dell'inizio dell'attacco ormai era tardi e, nonostante un'ultima valorosa difesa, tutto si rivelò inutile. Stremati da mesi di assedio non avevano più la forza di combattere e fu allora che una delegazione composta dagli anziani e dal clero si recò da Clarito per invocare pietà. Clarito accolse la richiesta, proibì alle sue truppe ogni atto di violenza sulla popolazione e chiese dodici ostaggi più il loro capo messer Scoto. Dopo una breve trattativa si accontentò di prendere in ostaggio solo due consoli ed entrò in città, per poi schierare le sue truppe sulla piazza del castello. Tutto questo accadeva il 31 marzo: i Fiorentini erano riusciti a prendere la città, ma non la Rocca difesa dal valoroso Dainello, il quale cessò le ostilità solamente per l'ordine ricevuto da Messer Scoto, detto poi, da Semifonte, ultimo Podestà della città. L'atto di resa incondizionata Il 3 aprile 1202, a Vico d'Elsa, venne redatto il trattato di pace tra Clarito Pigli e Albertus de Monteautolo, podestà di San Gimignano, difensore degli interessi semifontesi. Le condizioni di resa furono durissime: i Semifontesi, che furono costretti ad accettare senza neanche poter leggere il trattato[44], si dovettero impegnare ad abbandonare e ad abbattere tutte le fortificazioni della loro città entro il mese di giugno del 1202. Successivamente iniziò la demolizione delle torri, delle case, perfino delle chiese. La leggenda dice che i materiali furono reimpiegati dai Fiorentini nella costruzione della cinta muraria di Barberino Val d'Elsa. Della città che aveva osato sfidare Firenze non doveva rimanere traccia. Va detto che, in segno di pacificazione, i fiorentini stanziarono 4000 lire a fondo perduto per consentire ai semifontesi di reinsediarsi in una area nel piano sottostante dove, però, non avrebbero potuto costruire nessuna fortificazione; l'area indicata però era inospitale e i semifontesi si dispersero andando in molti a San Gimignano, altri verso i vicini centri valdelsani, altri a Firenze e alcuni persino in Sicilia e in Palestina. Per racimolare le 4000 lire si istituì una nuova tassa, la libra , che fu imposta non solo ai laici ma anche alle chiese e ai monasteri del circondario, e per pagarla, la badia a Passignano, tassata per 24 lire, dovette far ricorso ad un prestito da un usuraio. Fu disposto che in quel luogo mai si sarebbe potuto riedificare alcuna cosa. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Semifonte1 punto
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Buonasera @sandokan grazie per avermi risposto ma non comprendo alcuni passaggi: No, il Generale Giovanni Durando nasce nel 1804 e muore nel 1869. Partecipò solo alla prima guerra di indipendenza e poi si unì con Cavour e Cialdini nel 1860 per combattere nel Sud i partigiani Borbonici. (volgarmente chiamati dai piemontesi Briganti) La medaglia, nel giro del rovescio reca la data 1859-1860. Quindi è chiaramente espresso che il contenuto storico si riferisce a quel peroido e non oltre. Anche, ma sicuramente il Persano viene citato sulla medaglia per l'aiuto dato a Garibaldi per lo sbarco dei mille quando era al comando di una squadra di sei fregate e comandava di persona la nave Maria Adelaide. Fondamentale poi rivelò il suo intervento a Napoli dove riuscì a convincere una buona parte degli Ufficiali della Marina Borbonica a disertare, giurando fedeltà al Re Vittorio Emanuele II. Saluti, Sergio.1 punto
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@adolfos Qui apri un portone. Infatti, l'interesse maggiore é capire fin dove si sono spinte queste monete al di fuori dell'area di emissione. Nel 1282 il confine laziale con l'Abruzzo, passava dalla valle del Liri per Sora, Capistrello, Tagliacozzo, Rieti, Valle del Tronto fino a Controguerra. Il punto é quello di capire i motivi che spingevano queste monete a seguire dei percorsi preferenziali dal punto di vista commerciale e di scambio, basti pensare alla via Francigena che dirottava insieme alla transumanza una moltitudine di gente da nord a sud innescando in questo crocevia baratti e scambi. Esemplificativi sono i periodi in cui non é attestata la presenza di moneta e gli scambi e le terre venivano cedute per un valore definito a parità di valore alla libbra. Da una carta del 1196, é attestata la vendita di alcuni beni: "pro pretio librarum XII solidorum bonorum provisinorum senatus et pretio XXX solidorum bonorum provisinorum veterum de flore".1 punto
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Per la scansione non c'è problema, la mando domani. Per l'alta risoluzione ho qualche dubbio... Arka Diligite iustitiam1 punto
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Complimenti Mattiaco, la conservazione è senza dubbio alta, la debolezza sulla parte centrale dell'effige è stata causata proprio dai graffi di conio al rovescio. Mi piace molto.1 punto
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@Wayx è una mezza unità bronzea di Cartagine con al dritto busto maschile a sinistra [Trittolemo?] tra due spighe al rovescio cavallo a destra al galoppo/impennato su linea di esergo. p,min 2,37/p.max 3 - p.medio 2,64. Rif. MAA 19; SNG Copenhagen 120–3; CNS III, p. 399, 22 (Sicilian mint); HGC 2, 1676 (Sicilian mint) per lungo tempo è stata considerata tra le coniazioni bronzee siculo-puniche , oggi si ritiene che a parte il bronzo con il Pegaso (che si pensa di esclusiva zecca siciliana, non è stato rinvenuto in maniera significativa fuori dall'isola) gli altri bronzi (trittolemo/cavallo impennato, Core/cavallo-palma, Palma/protome equina e trittolemo tra spighe/cavallo-palma [questo]) che erano stati attributi a zecca sicilaina, siano di produzione di diversi stabilimenti probabilmente anche in Nord Africa. La tipologia è più rara rispetto agli altri bronzi nominati, e la serie risulta in larghissima misura riconiata. Muller su 39 monete ne identifica 19 certamente riconiate sul tipo Core/Cavallo palma, lo stesso vale per rinvenimenti in Nord Africa (De Bray 1904-1905 "Notes sur cinq trouvailles…."). Le ribattiture sul tipo testa maschile/cavallo al galoppo potrebbero essere eccezioni, di norma il peso inferirore è dovuto alla perdita di peso della ribattitura e non a un voluto calo ponderale. Il motivo delle ribattiture che coinvolge anche il nominale palma /protome su trittolemo/cavallo impennato non si sa esattamente.1 punto
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ciao a tutti, ciao @motoreavapore bella medaglia! Conosci questo libro? "Medaglie italiane del Museo nazionale del Bargello, volume 4" a pagina 35 e 129 viene citata la tua medaglia. https://books.google.it/books?id=d4vrAAAAMAAJ&q="alla+gloria+del+valore+italiano"+"sei+corone"&dq="alla+gloria+del+valore+italiano"+"sei+corone"&hl=de&sa=X&ved=2ahUKEwiUpN7fu-HqAhUTQ0EAHbO_BLwQ6AEwAHoECAYQAg Purtroppo non ho trovato la pagina completa, ma mai che ti possa essere di aiuto! Servus, Njk1 punto
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Nuova Zelanda One Shilling 1962. Guerriero Maori con in mano una taiaha Moneta che incontro per la prima volta...1 punto
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Ho verificato sul Duncan ELIAS "Anglo - Gallic Coins" (Spink & Sons 1984) che attribuisce al 'Principe Nero' i seguenti nominali in oro: Léopard d'or Chaise d'or Pavillon d'or Hardi d'or e.. Guyennois d'or Non contento ho controllato anche sul Withers, Ford "Anglo-Gallic Cois" (Galata 2015) che rappresenta ad oggi il miglior repertorio sulla monetazione anglo-francese e a parte qualche cambio di denominazione (Fort d'or per Chaise; Noble Guyennois invece di Guyennois, etc.) in pratica conferma le denominazioni di Elias. La confusione deriva dal fatto che alcuni autori precedenti chiamano 'Pavillion' quello che Elias, Withers e Ford definiscono come 'Guyennois' Quindi è confermato che il Principe Nero conia Guyennois. Sia per quelli del padre, Edward III, che per il figlio, si tocca, con queste emissioni , la vetta artistica dello stile gotico. Potrei sbagliarmi ma le precedenti o di poco successive emissioni inglesi e francesi non raggiungono la bellezza di queste produzioni superbe che ci hanno regalato zecche molto piu' piccole rispetto a Londra o Parigi, quali Bergerac, Limges, La Rochelle, Poitiers, Bordeaux. qui sotto uno splendido guyennois di Eduardo III, padre del Black Prince, per darvi un'idea dello stile ed eleganza che possono vantare queste monete; l'incisione è cosi fine che si possono distinguere i tratti somatici del sovrano nel piccolissimo volto della figura del re in piedi in armatura. Proviene dalla collezione Richard Jourdan, esitata nella TRITON XXIII, un collezionista americano che intendeva raccogliere tutte le monete raffigurate nel volume di Grierson: Medieval European Coinage .. e ci è andato molto vicino ?1 punto
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Buonasera Motoreavapore, Non conosco il medaglione che hai mostrato, di notevole interesse storico. Cercando di risalire almeno all'anno della sua emissione, mi sono basato su alcuni nomi che compaiono al verso ; la Prima Guerra di Indipendenza si svolse nel 1848/49, la Seconda nel 1959, la Terza, che comprende anche la disfatta nello scontro di Lissa della nostra flotta, comandata dall'Ammiraglio Persano, nel 1866. [la partecipazione dell'Italia alla prima Guerra Mondiale è stata considerata come la Quarta Guerra di Indipendenza, ma questo esula dalla datazione del medaglione]. Il Generale Giovanni Durando era a capo dell'Esercito nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, l'Ammiraglio Persano come già detto venne sconfitto a Lissa nel 1866, durante la Terza Guerra per cui, a rigore di logica, il medaglione potrebbe risalire ad una data successiva ma non è così, in quanto il medaglione reca la data 1959-60 e del resto non stupisce che la Terza non sia stata ricordata, per cui il medaglione è certamente stato emessao dopo la Seconda, come del resto chiaramente indicato sulla medaglia stessa. Tutto questo però non determina l'anno esatto della sua coniazione, che potrebbe essere successivo, magari di poco. Mi spiace non saperti dare una data precisa, Saluti.1 punto
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e secondo te la corona al dritto sono palme, grano o altro perchè non ho trovato nulla con una corona simile ( sembrano quasi 2 peperoncini ? )1 punto
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Effettivamente questa moneta ne ha di storia da raccontare. A volte fantasticando mi soffermo a pensare " se le monete potessero raccontare, cosa ci direbbero?" Questa moneta deve avere viste di cose, di mani callose, di mani signorili, di scambi, borselli in pelle e tasche di stoffa rammendate.Il valore numismatico è praticamente zero in queste condizioni, ma il valore storico è inestimabile.1 punto
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Quell’amore così passionale scatena però la cieca gelosia di Ares, amante di lunga data della dea che quasi impazzisce dal dolore quando il giovane Adone muore, ucciso dallo stesso Ares sotto le mentite spoglie di un cinghiale (o forse era qualche altra divinità in collera con la dea). La vendetta di Marte (Ares) su Adone – Crescenzio Onofri, 1696 Afrodite corre a soccorrerlo, si graffia e sparge alcune gocce di sangue, intrise della sua passione, che faranno crescere le prime rose rosse. Dal sangue di Adone invece nascono i bellissimi anemoni, i fiori del vento, dalla vita breve, fragili e delicati come l’amore… Anemoni, fiori del vento L’incisione di Crescenzio Onofri “La vendetta di Marte (Ares) su Adone” ha ispirato una serie di rebus sul tema della “morte di Adone”, descritta con questa scena e dal racconto che segue. Dall’alto del suo cocchio, che solca il cielo trainato da candidi cigni, Venere (Afrodite) assiste alla tragica morte dell’amato Adone. Costui, dimentico delle accorate raccomandazioni della dea affinché moderasse la sua giovanile audacia nella caccia, viene raggiunto e trafitto dalle zanne d’un cinghiale infuriato che è stato colpito in un fianco da una sua freccia. La dea perpetuerà il ricordo di quell’inconsolabile dolore facendo spuntare dal sangue versato dal giovane un fiore: l’anemone. Fissato il racconto mitologico e l’immagine, gli artisti hanno costruito i loro rebus limitandosi ad aggiungere delle lettere qua e là, con la sola concessione di capovolgere a specchio l’immagine. Due rebus sono già stati presentati in questa discussione: ne aggiungerò altri a seguire.1 punto
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...o magari insieme alle monete originali con quei conii ce ne sono un certo numero "clonate" simili. Non so se oggi si riesce ad ottenere un conio identico a partire da una moneta, magari con tecnologie recenti forse sì. Però la moneta di CNG, con la perlinatura sospetta, ha un pedigree che risalirebbe al 1981, e 40 anni fa non c'erano scanner laser ed altre tecnologie disponibili oggi. Io non ho certezze al momento.1 punto
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@diego84 secondo me in UFN la interpretano così: "se tu acquisti qualcosa tramite il modulo di 'abbonamento' vuol dire che vuoi solo quelle monete e quindi non c'è più bisogno che ti mandiamo altri moduli". A me quest'anno è capitato di decidere dopo di acquistare il 10 euro Alpini (avevo già mandato il modulo abbonamento per i 2 euro a dicembre 2019). Cosa ho fatto? Ho semplicemente mandato una mail con ricevuta del secondo bonifico e modulo abbonamento aggiornato chiedendo di integrare con l'acquisto precedente (ed è andato tutto liscio come l'olio essendo ancora entro il periodo per fare l'abbonamento). Se cambi idea nel frattempo puoi comunque sempre mandare una mail o ordinare tramite il sito web (non serve quindi per forza il modulo). Il decreto per i rotolini speciali di per sé non è strano. E' strano, secondo me, che il rotolino speciale non venga considerato un prodotto numismatico e non venga venduto da UFN. Secondo me hanno già in mente loro, a livello statale, come distribuirlo (e farlo tesaurizzare).1 punto
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A questo punto mi pare di capire che non siamo di fronte a “cloni” e che si può rilevare una normale usura progressiva dei conii su esemplari della stessa coppia. Insomma, non è un “Venezia bis”. per ora è una buona notizia.1 punto
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Per la giornata di oggi voglio presentarvi la medaglia che fa parte di una serie che commemora gli episodi annuali più importanti della Vita di Giovanni Paolo II: si tratta di una emissione privata. Questa riguarda l'attentato a Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro per mano di Ali Agca, condannato all'ergastolo per direttissima il giorno 22 luglio 1981, poi commutata, grazie all'intervento dello stesso Pontefice, in 26 anni di carcere. La medaglia in catalogo faceva parte della dispersa raccolta Battista Magalotti. https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-F263/221 punto
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La causa di questo destino crudele è il carattere vendicativo della permalosa Afrodite che si è sentita offesa forse da Cencreide, la madre di Mirra che aveva osato asserire che la figlia fosse più bella della dea dell’amore, o forse da Mirra stessa che si era dimenticata di offrirle sacrifici. Così, per vendetta, la Afrodite scatena nel corpo e nell’anima della ragazza una passione impossibile, facendola innamorare del suo stesso padre. Mirra sa che il suo è un amore impuro, le fa orrore, ma non può contrastare quel sentimento perché gli umani nulla possono contro la volontà degli dei. La ragazza piange disperatamente per giorni e giorni, oppressa da quella passione che la brucia e la fa vergognare, finché decide di togliersi la vita. Sta per impiccarsi quando arriva la sua amata nutrice che ascolta il suo dolore e promette di aiutarla. Proprio in quei giorni la regina Cencreide, per celebrare come si deve i misteri in onore di Demetra, deve dormire lontano dal marito. Ne approfitta la nutrice che propone a Cinira di accogliere nel suo letto una bellissima vergine “dell’età di Mirra”, che muore di desiderio per lui. Il re, piuttosto alticcio, accetta la proposta e consuma al buio, inconsapevole, quel rapporto incestuoso. Così per nove notti, finché alla decima, forse un po’ meno ubriaco, Cinira fa luce sul viso della ragazza e scopre con orrore che si tratta della figlia. Non ci pensa su due volte e tira fuori la sua spada per ucciderla, ma la ragazza scappa via veloce. Mirra, che porta già in grembo il frutto di quell’inconfessabile peccato, corre e corre nella notte, a perdifiato, piange e supplica gli dei: possono renderla invisibile, bandirla dal regno dei vivi senza consegnarla al regno dei morti? Qualche volta gli dei si muovono a pietà e ascoltano le grida di dolore dei mortali, come in questo caso: la sfortunata Mirra viene trasformata nell’albero che porta il suo nome, mentre sue lacrime diventano gocce profumate che scendono dalla corteccia, “l’incenso degli alberi” secondo il poetico racconto di Ovidio, ma anche uno dei preziosi doni portati dai Magi a Gesù appena nato. Dopo nove mesi dall’albero nasce il bellissimo Adone Adone – Particolare da una statua di Antonio Corradini, 1723 circa Fonte: https://www.vanillamagazine.it/la-profumata-mirra-il-mito-greco-vuole-l-incenso-degli-alberi-nato-da-un-incesto/1 punto
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Metto in sequenza alcune monete, stesso conio al R/, diverso livello di usura del conio: frattura in alto mancante: https://www.deamoneta.com/auctions/view/65/265 frattura in alto appena accennata: https://www.sixbid.com/en/editions-v-gadoury/6626/italy/5489159/napoli-br-carlo-i-d-angio-1266-1285-br frattura in alto un po' più marcata: https://www.numisbids.com/n.php?p=lot&sid=3497&lot=957 frattura in alto marcata, conio più "stanco" e dettagli meno marcati: https://www.astebolaffi.it/it/lot/332/791/detail Insomma, a me pare che la "vita" del conio e la sua progressiva usura si vedano sulle varie monete. A meno che ad un certo punto questo conio non sia stato "clonato" generando falsi quasi identici agli originali. Ma quali sarebbero in questo caso i falsi "clonati" e quali gli originali? Resto molto incuriosito, in generale, oltre alla questione del pezzo sospetto che ho preso...1 punto
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cari amici ho visionato le immagini di tre saluti del B.M. due presentano il "buco " sulla mano, (1 esemplare donato nel 1935) l'altro senza1 punto
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Salve a tutti Cari amici, premetto che i 120 grana 1818 sono le più belle della serie Ferdinando I facendo eccezione per la 1815 testa più piccola. Vengo al dunque al di là del fascino che ha la moneta, riguardo rilievi e patina, ho notato delle ribattitura al dritto ad esempio quasi ad ore 18 oppure in corrispondenza del mento. Illuminatemi e ditemi se vi gusta. Ciao a tutti1 punto
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Da appassionato della zecca di Napoli sono veramente offeso dalle insinuazioni di questo utente, sono offeso perché da sentenze a prescindere, non ricordo di aver mai letto o sentito da nessuna parte di così tanto astio verso questa monetazione, per ogni moneta ne ha una, ma la cosa più assurda è che non ha le minime basi per supportare le proprie tesi, e nonostante più volte gli è stato consigliato di studiare lui continua per la sua strada senza ascoltare nessuno, anche chi può di certo insegnargli qualcosa (di certo non sono io), continua ad offendere, ignoranti, ladri... Senza sapere che alla zecca di Napoli si sono espressi tra i più importanti incisori , la zecca di Napoli ha una storia che non è seconda a nessun'altra zecca... La zecca di Napoli è da interpretare e questo utente non è capace, sa solo offendere, spero che si prendano dei provvedimenti perché personalmente non lo reggo più... Se vuole continuare a parlare di monete di Napoli si faccia un minimo di cultura altrimenti è meglio che stia zitto perché così inquina solo le discussioni e crea del malumore...1 punto
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La tua ipotesi sottiene una politica monetaria (che Venezia era anche abile a fare) che avrebbe però dovuto ricevere il placet dal mercato, considerato che qualsiasi "imposizione" sui cambi avrebbe poi subito, per l'appunto, i correttivi dal mercato. Se ben intendo l'osservazione di @Arka, è proprio qui la questione. Cosa può essere successo da modificare in modo così anomalo un cambio ed un concambio, laddove non se ne trova, apparentemente, una logica monetaria. Paolo1 punto
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1845 1 cent di dollaro, in rame, della Compagnia delle Indie orientali, a nome della regina Vittoria, per la circolazione negli Straits Settlements (Insediamenti dello Stretto).1 punto
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1945 Territori occupati - Banca per l'Economia per l'Istria, Fiume e il Littorale Sloveno - 5 lire Per chi desidera saperne di più1 punto
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Non so se questo intervento di Alessandro Barbero è già stato pubblicato, comunque lascio il link dove si può vedere il contributo di questo noto studioso di storia che parla dell'Imperatore Costantino attraverso i simboli impressi nelle sue monete.1 punto
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Buongiorno! Confermo che il Convegno ci sarà e che da domani saranno affissi i manifesti dell'evento a Riccione. E che la medaglia è terminata e pronta per essere consegnata1 punto
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Caro @numa numa il nostro Paese è la culla del diritto. Il problema è che a furia di cullarlo il diritto s’è addormentato.... Saluti1 punto
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Tutto ciò è quantomeno inquietante. La cosa che mi preoccupa di più è che diventa necessario fare uno studio dei conii prima di acquistare una moneta importante in oro, su monete rare ciò è in qualche modo possibile, ma per monete comuni come, ad esempio, quelle bizantine di vari imperatori, ciò diventa quasi impossibile.1 punto
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