Classifica
Contenuti più popolari
Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/06/17 in tutte le aree
-
Ho completato la mini-serie dei baiocchi romani di papa Clemente XIII !! : A. I 1758 (Muntoni 34) - A. I 1759 (Muntoni 34 a) - A. III (Muntoni 35) Sono solo 3, ma a parte il primo (A. I 1758), non sono così comuni... Ciao, RCAMIL.3 punti
-
Penso che il cambiamento di approccio sia anche legato alla diffusione delle tecnologie: oggi ogni moneta viene fotografata a risoluzione altissima (il famoso "formato pizza") per cui ogni invisibile micrograffio diventa un colpo di scimitarra; inoltre, il confronto su forum e social network incentiva l'esibizione di pezzi superlativi. Dunque nessun dubbio che il mercato vada in direzione dell'altissima conservazione: proprio qualche giorno fa leggevo qua sopra un thread su un 100 lire fascione in cui un esemplare SPL+ veniva commentato a suon di "io non l'avrei preso" e "io avrei cercato di meglio". Dunque io certo vado collezionando "contromano", dal momento che la mia raccolta punta a esemplari tra MB e SPL, e non disdegno monete forate e appiccagnolate: anzi le prediligo, non nel senso che le pagherei più di una moneta integra ma nel senso che dovendo scegliere tra una moneta appiccagnolata e una integra a maggior prezzo scelgo invariabilmente quella appiccagnolata. Tutto questo non per mia pitoccheria - anche perché so bene cosa sarà poi premiato dal mercato - ma perché, come ripeto periodicamente, io vedo la numismatica come storia, e ciò che a me interessa è unicamente la funzione storica dell'oggetto monetale. Un appiccagnolo rappresenta un riuso e si carica quindi di ulteriore significato, mentre un FDC è di fatto una moneta fallita, che non ha avuto la possibilità di svolgere il compito per il quale era nata. Dunque ai miei occhi appare - seppur inevitabilmente più "bella" esteticamente - meno INTERESSANTE.3 punti
-
Bene, mi sembra arrivato il momento di raccogliere le adesioni per il pranzo. Non ho segnato i savoiardi, aspetto qualche indicazione più precisa. Mi sembra manchino anche diversi milanesi. Se non ho sbagliato, per ora dovremmo essere in 16 mfalier+1 vierer dabbene fabry61 Tm_NPZ + 1 gigetto13 danielealberti 417sonia Bassi22 anto R ciosky68 DOGE82 prtgzn ottone3 punti
-
Chiedo scusa, ma una volta c'era una sezione dedicata ai Cataloghi elaborati su lamoneta. Non avendola trovata (salvo errore) segnalo qui che il Catalogo delle monete delle zecche marchigiane, anche con il lavoro recente fornito dall'amico @lucerio , è terminato. Gli altri lamonetiani che hanno collaborato alla stesura non li nomino perchè li conoscete già tutti. https://numismatica-italiana.lamoneta.it/cat/W-GEOMAR Abbiamo cercato di dare il massimo impegno per renderlo il più attendibile possibile anche in base alle ultime scoperte che ogni giorno ci sorprendono. Assicuriamo tutti gli utenti lamonetiani e non che cercheremo di tenerli aggiornati sia per varianti che per passaggi d'asta, sperando che possano essere di supporto a tutti i collezionisti e studiosi. Vi preghiamo di segnalarci eventuali anomalie e/o suggerimenti di modifica. Grazie a tutti per l'attenzione. PS: questa segnalazione viene effettuata sia sulla sezione monete medievali che nella sezione delle monete pontificie.3 punti
-
Medaglia devozionale lauretana, bronzo/ottone (fusione), quadrangolare con appendici trilobate della seconda metà del XVI sec., probabile produzione marchigiana.- D/ La Madonna di Loreto con Gesù Bambino, aureolati, ai lati due angioletti ceroferari.- R/ S. Antonio da Padova, tiene Gesù con la mano dx e la pianta di giglio a sx. Medaglia anepigrafe, rara.- Ciao Borgho3 punti
-
Ciao è un denaro enriciano della zecca di Lucca in mistura. Periodo 1129-1150/60 a nome di Enrico V (lucensis infortiatus). Puoi dare uno sguardo al nostro catalogo online 1https://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-LU27/1 saluti3 punti
-
3 punti
-
Secondo voi, oggi, con l'evoluzione del mercato numismatico che si é avuto negli ultimi anni, é meglio collezionare monete "rare" anche se in medio/bassa conservazione, oppure monete in altissima conservazione ancorchè comuni ? Rarità o bellezza ? (non rispondete per piacere "rarità e bellezza", perchè potendo così siam bravi tutti! ) L'animazione latita... Perdonerete il tentativo.2 punti
-
Saluti @odjob ,quando Plinio il giovane raccontò della morte dello zio, specifico' anche la data, e lo fece "alla romana" - non [um] kal [endas] sep tembres - nove giorni prima delle calende di settembre, per calende nel calendario romano si intendeva il primo giorno di ogni mese e andando in dietro di nove giorni, contandoli tutti come erano soliti fare all'epoca si arriva effettivamente al 24 agosto. Non esiste più la copia originale della lettera di Plinio il giovane ma solo copie medievali e successive copie delle copie trascritte dagli amanuensi nei monasteri e custodite oggi in alcune importanti biblioteche come quella vaticana dove, al foglio 87 del codice laurenziano mediceo si legge proprio la data del 24 agosto, ma si è recentemente scoperto che, nella biblioteca dei Girolamini a Napoli, all'interno del codice oratorianus risalente al 1501 si legge con grande sorpresa -Kl nove (m)bris - facendo slittare la data al 24 di ottobre, lo stesso Cassio Dione piu' vicino di noi agli eventi parla di eruzione avvenuta in autunno. del ritrovamento della moneta in questione ne sarà felicissimo Alberto Angela che, in tempi non sospetti, arrivò a questa conclusione con un interessantissimo studio pubblicato in un libro, già postato in un altra discussione https://www.lamoneta.it/topic/148562-tito-e-l-eruzione-del-vesuvio/ che credo valga veramente la pena leggere, saluti.2 punti
-
A guardarlo così senza nessun testo dietro direi più un luigino di Tassarolo con data 1666 sovracconiata su 1658. Per intenderci come questa http://www.poinsignon-numismatique.com/coins_r5/europe_c11723/italy-provinces-and-cities_p278/italie-tassarolo-livia-centurioni-oltremarini-plus-1688-1-12-ecu-luigino-1666-58-var-inedite_article_81631.html2 punti
-
Concordo. Dalla foto, per quello che permette di vedere, secondo me i fondi sono originali, sia per il colore che per le striature dovute alla pulizia dei conii aspettiamo di vedere ulteriori e belle foto2 punti
-
Il mercato va sempre più verso l'alta conservazione, monete comuni ma "realmente" in altissima conservazione sono al momento le più richieste e spuntano cifre di tutto rispetto. Io, per la mia collezione, provo a fare il meglio con quello che mi posso permettere partendo dal presupposto che monete davvero in FDC ne esistono poche pochine.2 punti
-
@nikita_ Ciao, questo è il mio esemplare, proveniente anche lui da una ciotola di monete mondiali...2 punti
-
Purtroppo le foto non sono delle migliori, ma ritengo buona la moneta, perfettamente compatibile con esemplari genuini. Certo meriterebbe una pulizia adeguata anche in considerazione del discreto valore della stessa.2 punti
-
se avessero abbassato i fondi già che c'erano avrebbero tirato via anche gli esuberi di metallo per rendere la moneta più appetibile... inoltre non si vedrebbero striature...2 punti
-
è completamente asimmetrica..... a meno che sia un effetto fotografico, è palesemente fasulla!2 punti
-
Buongiorno a tutti, condivido anch'io un falso della stessa tipologia (o quasi, cambia il contrassegno di stato) di quello proposto da @ilnumismatico. Anche se l'effetto generale non è cattivo il dettaglio delle figure umane è comunque poco curato. Da notare poi il seriale, che non appartiene a nessuna serie esistente. Interessante anche la filigrana, che è stampata all'interno dell'ovale sul retro della banconota. Ultimamente mi sono particolarmento appassionato al collezionismo dei falsi d'epoca, trovo infatti che sia un ottimo complemento alla collezione degli originali. Qualche tempo fa la mia ragazza mi diceva che le mie banconote in FDS non le suscitavano alcun interesse, le sembravano finte. Riflettendoci ho pensato anch'io che sarebbe stato interessante avere in collezione anche delle banconote circolate, e così mi sono indirizzato verso i falsi. Trovo particolarmente interessante che queste falsificazioni, ben fatte o meno, siano passate per le mani di decine di persone. Alcune saranno state consapevoli di quello che avevano tra le mani, altre no...e nonostante in lavoro delle forze dell'ordine tanti di questi falsi sono giunti fino a noi, permettendoci di confrontarli e studiarli come stiamo facendo ora!2 punti
-
Salve a tutti. Quest’oggi volevo proporvi una nuova discussione “trasversale”, dato che l’argomento di cui andremo a trattare ci permetterà di spaziare in situazioni storiche e numismatiche dal Mezzogiorno al Settentrione della nostra penisola. Anche questa volta, al centro del nostro dibattito troviamo un sovrano napoletano della dinastia francese degli Angioini, Roberto d’Angiò (1309-1343), autore di una coniazione molto particolare ed estremamente rara che merita di sicuro un approfondimento. Ecco la descrizione del pezzo in esame: Gigliato. D/ + ROBERTUS • DEI GRA IERLM • ET SICIL • REX Robertus Dei gratia Ierusalem et Siciliae Rex. Roberto, per la grazia di Dio, Re di Sicilia e Gerusalemme. Il Re coronato, seduto frontalmente su di un trono con protomi leonine ai lati, tiene nella mano destra lo scettro gigliato e nella sinistra il globo crucigero. R/ + IPPETUU CU SUCCESSOIB DNS TRE PRATI In perpetuum cum successoribus dominus Terrae Prati. Signore in perpetuo della Terra di Prato con i suoi eredi. Croce piana ornata, con le estremità fogliate, accantonata da quattro gigli. CNI XI, p. 345, n° 1 (tav. XXII, n° 4). AR 3,90 g. e 27 mm. (esemplare della Collezione Reale, già ex Collezione Gnecchi, n° 3515). Un altro esempio trovato in rete, dal peso dichiarato di 3,78 g.: Si sa benissimo oramai che il gigliato fu una moneta ampiamente accettata in molti luoghi diversi tra loro, non solo d’Italia, ma anche d’Europa e addirittura fu imitata e scambiata nelle zecche e negli Stati dell’Oriente Latino. Tale fama scaturisce dalla bontà della lega utilizzata per la coniazione di queste monete, molto più ricca di fino rispetto ad altri nominali, non solo italiani, che si potevano trovare in circolazione all’epoca. Era, se vogliamo, una specie di “dollaro” d’argento del Basso Medioevo, utilizzato per i commerci locali nel Regno di Napoli, ma anche per quelli di più vasta portata, tant’è che si sviluppò un vero e proprio giro d’affari intorno all’imitazione del gigliato napoletano o robertino, come veniva chiamato per via del sovrano che lo fece diventare così celebre e ben accetto. Non ci si sorprende, quindi, di trovare una moltitudine di gigliati che si differenziano anche molto da quelli coniati a Napoli durante il regno di Roberto d’Angiò, ma il gigliato “pratese” ha avuto sempre un ruolo molto particolare nella numismatica non solo napoletana, ma italiana in generale, per via della sua esimia rarità, ma soprattutto per i risvolti storici che tale moneta potrebbe rivelare. E allora è il caso di vedere meglio le circostanze storiche che portarono alla realizzazione di questo strano pezzo. Innanzi tutto occorre spiegare perché la definizione di “pratese”. La caratteristica peculiare risiede proprio nella legenda di rovescio, ampiamente sciolta e tradotta in fase di descrizione. In pratica, Roberto d’Angiò, oltre che Re di Napoli, veniva riconosciuto anche come signore della Terra di Prato, la città toscana in provincia di Firenze. Il privilegio signorile si estendeva anche ai suoi eredi, quindi, dopo la morte del sovrano angioino, i suoi successori avrebbero beneficiato della signoria di Prato. Come si configura storicamente un tale potere? Come arrivò Roberto d’Angiò a detenere i diritti su città così lontane da Napoli e dal suo Regno, coinvolte in ben altre realtà politiche? E, soprattutto, come si giunse alla coniazione di una moneta, il gigliato, appunto, che per stile e standard ponderale rientra perfettamente nei meccanismi economici napoletani, ma che è di più difficile inserimento in quelli toscani? Dobbiamo pensare ad un’Italia divisa tra due principali fazioni: i Guelfi, sostenitori del partito filo-papale, e i Ghibellini, favorevoli invece nel riconoscere all’Imperatore di Germania un potere temporale superiore a quello della Chiesa di Roma. L’autorità imperiale, inoltre, voleva anche consolidare la propria influenza in Italia, ormai solo un ricordo rispetto a ciò che era stata nel corso del XIII secolo o anche prima. Gli scontri tra le diverse fazioni nelle città dell’Italia settentrionale portarono i liberi comuni ad indebolirsi per i dissidi e le divisioni interne: sia Firenze che le città limitrofe della Toscana, infatti, erano molto deboli militarmente e non riuscivano a fare fronte alle esigenze belliche che il tempo imponeva. Tra il 1305 ed il 1310, quindi, Roberto d’Angiò, uno dei sovrani più potenti d’Italia, era stato coinvolto nelle lotte politiche toscane e si schierò dalla parte dei Guelfi: il Re di Napoli, infatti, già nel 1305, quando era solamente Duca di Calabria, fu insignito della signoria di Firenze, che mantenne pressappoco fino al 1321, e messo a capo di una lega di città toscane che si opponevano al potere ghibellino ed imperiale in Italia. Prato, la cui situazione militare non era molto diversa da quella della vicina Firenze, aveva vissuto anni migliori dopo che, alla metà del XIII secolo, si era fissato lo Statuto cittadino e il centro aveva riconosciuto la propria qualifica di libero comune. La floridezza economica di quei tempi, dovuta al grande sviluppo dell’industria della lana, era solo un lontano ricordo. Dal 1312 la situazione peggiorò ulteriormente a seguito delle guerre intestine che affliggevano le città toscane: Prato, insieme alla lega di città che facevano capo a Firenze, composta da Siena, Pistoia, Arezzo, Volterra, Colle Val d’Elsa, San Gimignano e San Miniato, si trovò contrapposta alla Pisa di Uguccione della Faggiola, condottiero ghibellino e vicario imperiale in Italia. Uguccione si rivelò una minaccia concreta per i Fiorentini i loro alleati nel 1315, quando le armate ghibelline collezionavano sempre più successi sui nemici di parte guelfa. Fu proprio in quell’anno (tra l’altro, passato alla storia come il più fulgido per il partito ghibellino in Italia) che Firenze si decise a chiedere aiuto militare a Re Roberto. Quest’ultimo acconsentì, radunando in breve tempo un congruo numero di truppe che, inizialmente, dovevano essere guidate da suo figlio, nonché erede al trono, Carlo d’Angiò (1298-1328), Duca di Calabria dal 1309 e Vicario Generale del Regno. Il comando, però, passò poi all’ultimo momento nelle mani del fratello del Re, Filippo I di Taranto (1294-1332). La colonna partì dunque per Firenze per unirsi al resto dell’esercito guelfo che la lega toscana aveva raccolto per far fronte alla minaccia ghibellina. Lo scontro sembrava giocare a favore dei Fiorentini e dei loro alleati napoletani, vista la loro superiorità numerica. Uguccione, oltre ai Pisani, poteva fare solo scarso affidamento su Lucca, perché questa città era stata presa dai Ghibellini con la forza. Il confronto armato non si fece attendere: la battaglia di Montecatini (29 agosto 1315) sancì la gloriosa vittoria dei Pisani di Uguccione che, contro ogni pronostico, misero in fuga i Fiorentini con i loro alleati. Il comandante napoletano Filippo di Taranto neanche prese parte allo scontro perché, colto da febbre, fu costretto a ritirarsi dal campo di battaglia e a rientrare precipitosamente a Firenze, la cui situazione peggiorava giorno dopo giorno. Roberto d’Angiò, da parte sua, non si mostrò molto preoccupato della sconfitta subita dalle sue truppe in Toscana: Firenze, che dal 1305 si era costituita sotto la sua protezione, rimaneva, con il suo circondario, ancora salda e sicura. Qualche anno dopo, però, tale sicurezza crollò: nel 1325 il baricentro ghibellino da Pisa si era spostato a Lucca che, sotto il suo signore Castruccio Castracani, aveva riscoperto un nuovo periodo di riscossa militare, culminato con la vittoriosa (per i Ghibellini) battaglia di Altopascio il 23 settembre di quello stesso anno. Questa volta, Roberto non aveva inviato alcun aiuto contro il Castracani per favorire i Fiorentini, così, quando questi arrivò addirittura a minacciare la città stessa, essi si rivolsero al Duca di Calabria, Carlo, figlio di Re Roberto, il quale fu eletto dai Guelfi nuovo signore di Firenze a garanzia della protezione angioina sulla città. Carlo accettò e l’anno successivo, nel 1326, il 13 gennaio, si recò a Firenze per prendere possesso del nuovo incarico che gli era stato offerto. Ma la permanenza di Carlo e del suo seguito di Angioini nel capoluogo toscano fu breve: nel 1327, il Duca fu richiamato a Napoli, poiché le truppe tedesche di Ludovico IV il Bavaro (1328-1347), allora Rex Romanorum (1314-1328), minacciavano il Regno nella loro discesa in Italia verso Roma. Si ritiene che il gigliato “pratese” fosse stato battuto intorno al 1326, quindi durante la signoria fiorentina di Carlo d’Angiò, per l’infeudamento di Prato alla casata angioina. Le legende sulla moneta, che vanno lette in modo continuo tra diritto e rovescio, comunicherebbero che Roberto d’Angiò, già Re di Napoli, era anche signore (dominus) di Prato e che il privilegio si estendeva anche ai suoi successori, cioè a Carlo Duca di Calabria. Quest’ultimo, nato dal matrimonio celebrato il 23 marzo 1297 tra Roberto e Jolanda d’Aragona (1273-1302), era l’unico figlio maschio della coppia reale e, nel 1316, contrasse una prima unione, infruttuosa, con Caterina d’Asburgo (1295-1323). Nel 1324, poi, prima di essere chiamato dai Guelfi a Firenze, Carlo sposò in seconde nozze la giovanissima Maria di Valois (1309-1332), dalla quale ebbe la figlia, futura Regina di Napoli, Giovanna I d’Angiò (1343-1381). Appena Carlo si allontanò da Firenze nel 1327, Castruccio ne approfittò per occupare molte città che prima erano cadute sotto la giurisdizione feudale angioina: in nome dell’Imperatore tedesco, il condottiero ghibellino, divenuto intanto Duca di Lucca, arrivò ad attaccare anche Pistoia e Prato. Gli abitanti di questi due centri, soprattutto i contadini che erano quelli più esposti alle scorribande ghibelline nelle campagne intorno alle città, per non subire gli attacchi nemici, scesero a patti con il Castracani: in cambio di un tributo semestrale da pagarsi in denari, i Pistoiesi ed i Pratesi evitarono attacchi e saccheggi da parte dei Ghibellini del condottiero lucchese. In realtà, fino a quando gli Angioini si ersero a garanti della sicurezza dei Guelfi toscani, Firenze e gli altri centri toscani limitrofi non subirono mai il sopravvento della parte ghibellina avversa. Il gigliato “pratese”, dunque, costituisce una moneta commemorativa (e non una medaglia, come credeva Arthur Sambon e com’è riportato anche nel CNI XI) che aveva lo scopo di manifestare la sovranità signorile degli Angioini, di Roberto e di suo figlio Carlo, sui centri guelfi toscani minacciati dall’inarrestabile potenza militare ghibellina. Si potrebbe anche pensare che la moneta circolasse nel ristretto entourage del Duca di Calabria e che difficilmente abbia interagito con la moneta e l’economia locale fiorentina, poiché, come faceva già notare il Sambon, il gigliato era sì una moneta ben accetta all’epoca (quindi magari sarà anche stata accettata in alcune transazioni tra Angioini e Fiorentini), ma era profondamente diversa per caratteristiche fisiche rispetto al sistema monetario ed economico fiorentino. Dobbiamo poi pensare che Prato patteggiò un accordo per non essere occupata dai Ghibellini di Castruccio solo nel 1327, ovvero dopo la partenza di Carlo d’Angiò da Firenze. Dato che Prato non ebbe mai una propria zecca, sembrerebbe più logico ipotizzare che il gigliato in questione fu coniato nel 1326 a Firenze, durante il breve soggiorno del Duca di Calabria in città. Forse la sua breve permanenza e il circoscritto utilizzo del gigliato “pratese”, in unione con lo scopo commemorativo dell’emissione, non consentirono la coniazione di un gran numero di pezzi, anzi, ne frenarono la produzione allo stretto indispensabile per le esigenze degli Angioini, padroni della scena politica cittadina. Dobbiamo poi notare che questa teoria non sembra priva di fondamento, se pensiamo che, a Napoli, la locale zecca incrementò la produzione di gigliati, per volere regio, proprio nel 1326! In questo anno, infatti, furono assunti nuovi manovali in zecca per la lavorazione delle monete d’argento, in vista del successo e delle attenzioni che il gigliato napoletano stava ricevendo in molte parti d’Europa e del Mediterraneo. Ma non furono solo gli Angioini ad aiutare militarmente i Guelfi toscani e ad importare a Firenze il gigliato “pratese” di stampo e peso napoletani: sotto Roberto d’Angiò, le finanze del Regno di Napoli erano quasi monopolizzate da potenti banchieri fiorentini. Pensiamo che molte Compagnie bancarie avevano filiali a Napoli che costituivano il fulcro di importanti guadagni. Proprio con il governo di Roberto assistiamo spessissimo all’affidamento dell’incarico di Maestro di Zecca, ufficio fondamentale per la gestione della stessa, ad esponenti di queste potenti Compagnie. Tra questi ricordiamo: 1. Lapo di Giovanni di Benincasa, un mercante fiorentino, fattore della Compagnia degli Acciaiuoli, fu Maestro di Zecca nel 1317. Fu proprio tra il 1317 ed il 1319 che si decise di inserire sui gigliati dei simboli per poter distinguere l’operato delle diverse maestranze, poiché in molti casi si erano verificati dei cali nel peso effettivo delle monete rispetto a quello teorico stabilito (pari quasi a 4 grammi). 2. Donato degli Acciaiuoli, Maestro di Zecca nel 1324 (al 12 febbraio si data l’appalto per il suo incarico), proseguì la battitura dei gigliati di peso accurato, com’era già stato fatto sotto l’amministrazione dei suoi predecessori, Rainaldo Gattola, di Napoli, e Silvestro Manicella, di Isernia. 3. Petruccio di Siena, Maestro di Zecca nel 1325, anch’egli esponente della Compagnia degli Acciaiuoli. 4. Domenico di Firenze, Maestro di Zecca sempre nel 1325, esponente della Compagnia degli Acciaiuoli. 5. Dopo l’intermezzo del napoletano Rogerio Macedonio, nel 1327, a dirigere la Zecca partenopea troviamo nuovamente un fiorentino, un certo Filippo Rogerio, della Compagnia dei Bardi. 6. Pieruccio di Giovanni, ugualmente fiorentino, fu Maestro di Zecca dopo il 1327 ed esponente della Compagnia degli Acciaiuoli. 7. Sempre in una data posteriore al 1327 a capo della Zecca viene annoverato il fiorentino Matteo Villani, della Compagnia dei Bonaccorsi. Tutte queste Compagnie bancarie fiorentine avevano, attraverso il controllo dell’ufficio di Maestro di Zecca, oltre a rapporti commerciali di favore tra Firenze ed il Regno, anche il sopravvento sulla gestione della moneta regnicola e sulla sua circolazione. I Bardi, presso la cui filiale di Napoli lavorò anche il padre di Boccaccio, gli Acciaiuoli e i Bonaccorsi, insieme ad altre Compagnie fiorentine, fallirono a seguito del mancato saldo del debito che i Re si Francia ed Inghilterra avevano contratto con i Fiorentini a seguito dell’allestimento degli eserciti per la Guerra dei Cent’anni. Anche Roberto d’Angiò aveva un grande debito con gli Acciaiuoli, che di fatto erano i banchieri della Casa d’Angiò e tenevano in mano le finanze di mezza Napoli, in quanto questi ricevette un primo prestito di ben 50.000 fiorini d’oro e suo figlio Carlo, Duca di Calabria, beneficiò di un secondo prestito pari a 18.500 fiorini. Dopo la mancata restituzione delle somme dovute dai sovrani francese ed inglese, Roberto non saldò il suo di debito usando come precedenti le insolvenze degli altri due Re, Filippo VI ed Edoardo III. Ma gli Acciaiuoli beneficiarono grandemente della benevolenza regia: sotto Roberto, Niccolò Acciaiuoli fu nominato prima cavaliere e con l’avvento di sua nipote, Giovanna I, fu invece creato, nel 1348, Gran Siniscalco del Regno. Fu proprio Niccolò a farsi promotore del (secondo per la sovrana) matrimonio tra Giovanna I e Luigi di Taranto (1352-1362). Quando questi morì, il 26 maggio del 1362, l’Acciaiuoli fu il principale protettore dei diritti della Regina angioina (a cui, tra l’altro, doveva tutte le sue fortune) quando altri nobili ne minavano il potere. Ma, ritornando in Toscana, Prato rimase ancora per poco tempo in mano angioina: morto Roberto a Napoli, il 16 gennaio 1343, (Carlo era già morto il 9 novembre 1328) Firenze tentò, a partire dal 1350, di conquistare con la forza la città vicina, vedendo la morsa angioina allentarsi dai comuni toscani come un’occasione di rinascita politica. Nel 1351, con un atto cancelleresco approvato da Giovanna I, la Corona di Napoli cedeva i diritti feudali di Prato a Firenze dietro pagamento di una somma ammontante a circa 17.500 fiorini. Anche dietro questo atto si nasconde un disegno politico di Niccolò Acciaiuoli che, in virtù della propria influenza sulla Regina napoletana, spinse la sovrana a concludere un accordo remunerativo con Firenze. Da allora, la città di Prato non è mai uscita più dall’orbita fiorentina.1 punto
-
Un po' alla volta riempio i buchi della mia collezione di Levantine veneziane: In arrivo un soldo per Isole et Armata, non messo benissimo ma a mio avviso non così semplice da reperire.1 punto
-
1 punto
-
1 punto
-
1 punto
-
Venti euro? si può dire tranquillamente che l'hai pagata anche tu qualche spicciolo!1 punto
-
Le monete perfette o quasi son poche. E la grandissima maggioranza di un periodo storico recente. E' come tagliare fuori a priori il 98 % o piu' di quello che si trova in commercio. E questo e' l'argomento razionale. Poi le monete perfetto sono fannullone ed effimere, perche' non hanno mai lavorato e perche' basta un nulla per rovinarle. La perfezione non esiste, e' come l'eterna giovinezza. Quindi chi vuole monete solo FDC *vero* e' destinato a non essere mai soddisfatto. Per ultimo, la questione soldi e' altrettanto effimera(se non lo fai di mestiere ovviamente). Oggi va cosi' ma domani...chi sa.1 punto
-
Buona sera, se possibile vorremmo aderire al pranzo, io con ambidestro + 2 collezionisti... totale 4 persone grazie.1 punto
-
Bella serie con uniformita' di patina, conservazione, centratura, etc. spendendo meno si puo' anche fare in MB, basta ci sia l'occhio e la fortuna di trovare le giuste 'sorelle'1 punto
-
Non sono un appassionato di falsi ma è un bel pezzo di storia. La tua in particolare è interessante perchè, a differenza delle altre postate in questa chat, è meno "deturpata" (se così la si può definire) dalla scritta "FALSO".1 punto
-
1 punto
-
Beh non è proprio così..... Chi collezziona monete contemporaneamente è quasi sempre un perfezionista e normalmente ha un percorso alle spalle.... Io rappresento se vuoi il collezionista medio che come tutti da piccolo si è appassionato. Inizialmente bastava avere le monete poi con gli anni l occhio nel guardarle cambia.... E vuole la sua parte... Penso che qui a tutti non piacciano i colpi o le maledestre pulizie.... E come molti guardo più volentieri una moneta in alta che una in bassa.... Spesso la conservazione è la rarità... Poi esistono monete che sarebbe già abbastanza avere...1 punto
-
Il trend degli ultimi anni ripaga le monete perfette, trovarle e acquistarle ad una cifra congrua probabilmente sarebbe la cosa da fare, anche se spesso si parla di cifre di tutto rispetto per delle monete comuni. Personalmente preferisco le alte conservazioni, questo vuol dire, non sempre e comunque il FDC della moneta perfetta, poi se si trova perfetta ad un costo plausibile ben venga. Alcune collezioni, meno importanti al livello economico, le ho improntate senza badare troppo alla conservazione per il solo gusto di collezionarle, chiaramente evito gli "sguroni" ma mediamente sto tra il BB e lo SPL. La collezione del Regno d'Italia invece, in particolare quella di Vittorio Emanuele III, la sto cercando di fare il più' possibile in alta conservazione, quindi monete comuni in alta conservazione, monete rare invece mi sono prefissato un tetto di spesa, con suddetta cifra cerco di prenderla più' bella possibile... chiaramente se il portafoglio mi permette un BB, allora prendo il BB raro.1 punto
-
1 punto
-
1 punto
-
1 punto
-
Bella banconota, il numero seriale non esistente è anche un classico, rientra tra i dettagli non curati dai falsari (numerazione, decreti, firme ecc.), in buona sostanza non se ne accorgeva nessuno, i biglietti non sarebbero sicuramente stati riconosciuti contraffatti per questa diversità. La differenza che passa tra la tua banconota e quella proposta da @ilnumismatico è che la tua è stata comunque fermata perché riconosciuta falsa, la sua vita tra la gente è finita nel momento in cui è stata ritirata e timbrata. La banconota oggetto della discussione invece non è stata ritirata, od era più graficamente credibile tanto da circolare più a lungo sino a quando non è stata messa da parte, o non è stata più volutamente utilizzata, od altro naturalmente, lo stato in cui si trova da adito a svariate possibilità. La tua Azzolini/Cima è matematicamente stata prodotta dal 1933 in poi, impossibile che sia antecedente, non potevano di certo inventarsi un decreto proiettato nel futuro mentre la Stringher/Accame è un enigma, le vicissitudini possono essere spalmate su un arco temporale più vasto. Sono entrambi dei bei pezzi del tempo che fu.1 punto
-
Ciao non si stanno dedicando alla numismatica ma ad avere una "moneta" bella da potersene vantare, poi se è autentica falsa o rifatta non importa, tanto non le conoscono. Silvio1 punto
-
a vederla cosi a me il R non convince : perlinatura sul bordo, scudo con i quadranti di destra più grandi, la croce sembra spostata sul lato sinistro , marchio di zecca, attendiamo immagini più grandi1 punto
-
Quelle delle aste Varesi e Ranieri sono delle F normali per gli zecchini di Francesco Loredan che hanno una barretta un po' lunga ma comunque non paragonabile a quella superiore. Arka1 punto
-
sono dei cloni di questo ex asta Artemide, facilmente riconoscibili per la forma del tondello, dal disegno della croce, e dal contorno "lavorato "1 punto
-
Buon inizio settimana. .... e di questi 10 cent della Germania con il doppio bordo che ne pensate? Cordialità1 punto
-
Trovata: Argelati, vol. 2, pag. 24 https://books.google.it/books?id=bepVAAAAcAAJ&hl=it&pg=PA24#v=onepage&q&f=false1 punto
-
I precedenti ?? Ho collezionato le monete dei Malaspina per vent'anni, e il Luigino del 1666 non solo non l'ho mai visto, ma gli unici 2 passaggi in asta che ho censito (Gaudory e NAC) hanno esitato gli unici 2 esemplari che si conoscevano nelle collezioni da cui provenivano..... 1100 + diritti è un affare per chi l'ha acquistata, tra l'altro è anche in ottima conservazione. Daniele1 punto
-
1 punto
-
Bellissimo gettone sabaudo.. Occorrono foto migliori!! Penso sia l'unione del 33 e del 38 della tavola del Promis Interessante!1 punto
-
La risposta migliore fino ad ora se l' e' data da solo , @Omar75 Non capisco perché dare risposte diverse e un po' critiche dalla richiesta iniziale , cioe' sulla prima scelta di acquistare aurei , non credo che omar75 non conosca , almeno approssimativamente , il prezzo elevato di queste monete , evidentemente se le puo' permettere . Solo che non avendo detto dove risiede e' difficile dargli indicazioni sui negozi numismatici dove acquistarle a vista , ma se pensa di acquistare aurei solo per corrispondenza , gli consiglio di farlo presso numismatici professionali di fama nazionale ed estera , come dimostra di aver capito da solo .1 punto
-
1 punto
-
Posto da C. Seltman ( masterpieces of greek coinage , Oxford 1949 ) , tra i capolavori della monetazione dei Greci , lo statere della lega arcadica , probabilmente battuto nella polis di Megalopoli , nuova città , con Messene , voluta da Epaminonda per contenere il potere di Sparta sul Peloponneso . Al diritto una superba testa di Zeus , al rovescio una bellissima raffigurazione di Pan a figura intera , seduto su rocce con in basso le probabili iniziali OLYM... dell'artista incisore . Aggiungo , da CNG triton XV n. 1182 , un secondo esemplare di questa rarissima moneta della quale sono noti solo 12 esemplari in mani private .1 punto
-
1 punto
-
Purtroppo non dispongo di buone foto. Posto comunque un confronto fra le due teste, che pur nella sua imperfezione, rende l'idea della diversità degli esemplari (capelli, baffi, firma, forma del cranio, ecc.). Anche se, parere personale, la testa del Ferraris sembrerebbe più "tozza" di quell'altra... TESTA del FERRARIS TESTA "TOZZA"1 punto
-
Il C/ è liscio. Direi che è giunto il momento di definire la moneta. Tutti avete notato che manca il segno di zecca. E' questa la caratteristica che lo porta ad essere una variante considerata dall'Attardi R4 che nella valutazione segnala l'assenza del FDC. Non conosco passaggi d'asta (se qualcuno li conosce, ben venga ad informarci), si tratta certamente d'un esemplare di difficile reperimento e sempre più o meno circolato. La storia che nasconde (e che io non conosco e posso solo supporre) è sicuramente più interessante. Possiamo mettere insieme le notizie riportate dai tre cataloghi (Gigante, Montenegro, Attardi) e fare delle ipotesi. Siamo nei primissimi anni dell'annessione del Reame al Regno di Sardegna. La zecca di Napoli (non c'è la "N", ma è questa la zecca della monetina) è in pieno riassestamento passando dalla coniazione dei Tornesi borbonici (parliamo solo del rame) a quella dei Centesimi savoiardi. Nel 1861, dovendo coniare i 5 centesimi (Palanca o Soldo) - non avendo a disposizione ancora le incisioni del Ferraris - le maestranze locali s'ingegnano a produrne con l'effigie del re V.E.II copiata alla bell'e meglio dando origine al "testa tozza" (NC), moneta che Cavedoni stima essere dalle 20 alle 30 volte più difficile da reperire rispetto al modello (sempre del 1861) del Ferraris. Ma non basta: abbiamo anche variante col D/ uguale al R/, dove il D/ porta l'impronta in incuso ed in posizione invertita (R2) e quella col R/ che presenta l'asse spostato di 255° (R2). Col Centesimo del 1861 (R) e del 1862 (NC) [coniate entrambe nel 1862], la zecca napoletana ha iniziato a batterne col millesimo 1861, poi ad un certo punto è passata a coniarne col millesimo successivo e a ribatterne molti con data già impressa del 1861 col "2" sopra l' "1" (NC). Anche del Centesimo napoletano esiste una variante senza il segno di zecca (R3). Ma è il 2 Centesimi che riporta il maggior numero di varianti. Abbiamo il tipo "standard" del 1862 (R) coniato assieme a quello con millesimo precedente (R); quello che il Montenegro definisce "N grande" (R5) [anch'esso coniato col "gemello" del 1861 (R4)] per il quale fu utilizzato il punzone del 5 Centesimi (la "N" misura 1,4 mm. contro gli 1,1 mm.); anche qui, come per il Centesimo, col D/ uguale al R/, dove il D/ porta l'impronta in incuso ed in posizione invertita (R2) ed infine, la variante dell'esemplare che vi ho postato, privo del segno di zecca. A parte il tipo col R/ uguale al D/, che più che di "variante" dobbiamo parlare di "errore", sarebbe interessante capire quale è stata la sequenza di conio: - "senza N" (hanno iniziato a coniare senza punzone) > "N grande" (in attesa del punzone corretto o hanno sbagliato ad inserirlo) > "N"; - "N" > "N grande" (s'è rotto il punzone normale) > "senza N" (s'è rotto anche il secondo punzone); - ecc. (il dibattito è aperto: ognuno può provare la propria combinazione che abbia una logica). Ultima considerazione (a proposito di bordi e contorni), i 2 centesimi 1861, 1862 e 1867 furono coniati in tre zecche diverse: Milano, Napoli e Torino. I tondelli di Milano sono di 1a, quelli di Torino di 2a e quelli di Napoli di 3a classe (Gigante)...1 punto
-
Bisogna stare attenti a varcare le frontiere..... Da agosto scorso rientro pure io nella categoria sottoposta a tutela, avendo più di 50 anni ed essendo opera di autore non più vivente (purtroppo). Sulla eccezionale rarità ritengo non vi siano dubbi essendo stato prodotto in copia singola. Scherzi a parte la legge va rivista, è obsoleta ed assurda anche per le pene previste (si rischia meno con il possesso di armi)1 punto
Questa classifica è impostata su Roma/GMT+01:00
Lamoneta.it
La più grande comunità online di numismatica e monete. Studiosi, collezionisti e semplici appassionati si scambiano informazioni e consigli sul fantastico mondo della numismatica.