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Seguire la moneta è per me come viaggiare nell’autostrada della storia, ogni tanto esci ad un casello (moneta che guardi e riguardi che ti rigiri tra le mani, prima di chiudere gli occhi e sognare) ed esplori il territorio circostante, apprendi gli usi ed i costumi della gente che ci vive, rivivi la loro storia. Viaggiare in Europa, tutto sommato è abbastanza semplice; problemi geografici, se ce ne sono, sono contenuti…qualche puntatina “fuori porta” più o meno l’abbiamo fatta tutti e dove non siamo stati ci vengono in aiuto le reminiscenze scolastiche, un po’ più ostico è muoversi su territori a noi quasi sconosciuti così; quella monetina degli “Arsacidi” mi ha messo in crisi…mi sono piantato e prima di parlare dei Parti e delle loro monete è stato giocoforza tornare sui banchi di scuola a studiare la geografia Ve la ripropongo come la vide G.W Rawlinson molti, molti anni fa e se volete rifare il viaggio con me…accomodatevi: in carrozza signori si parte, destinazione la Partia per conoscere il popolo che per circa 500 anni ( dal 250 ca. A.Ch. al 250 ca. A.D.) vi prosperò e le sue monete. La Parthia classica, il primo insediamaneto ( alla luce delle attuali nostre conoscenze) del popolo Partico era, similmente alla Persia Classica ed alla Macedonia Classica, una striscia di terra di scarsa dimensionalità che si estendeva dall’angolo Sud-Est del Mar Caspio verso un restringimento a Sud Est costituito da una regione montagnosa connessa, ad una estremità con l’altopiano di Elburz, che costeggia il Caspio da Sud e dall’altra con il Paropamisus o Kush Indiano. Sul lato opposto, verso Nord e verso Sud si allunga, per centinaia di miglia una desertica distesa di sabbia e ghiaia nota al Nord come “Deserto del Khorasan” o “Khiva”, al Sud come grande “Deserto salato dell’Iran” tra questi si trova una striscia di terreno relativamente ricca e produttiva; tra il 54° ed il 61° meridiano. Una distanza di circa 7° che tradotto in miglia significa una lunghezza di ca. 300 miglia per una larghezza di ca. 2° – 3° mediamente pari a ca. 170 miglia. Questa regione, almeno relativamente al periodo di cui abbiamo coscienza storica ospitava due paesi, appartenenti a due diverse genti, noti rispettivamente come: Parthia ed Hicarnia. Tracciare una linea di confine tra i due è praticamente impossibile tuttavia è abbastanza probabile che l’Hicarnia fosse situata a Nord-Ovest mentre la terra abitata dai Parti si trovasse ad Est ed a Sud. All’Hicarnia appartengono le vallate di Ettrek e del Gurghan, mentre le regioni a Sud ed i versanti delle valli che costeggiano le catene montagnose a Sud, da Damaghan a Shebrino e le valli del Tejend, oltre alle rive del Nishapur costituiscono il paese di quest’ultimi. I confini della Partia classica, così come definiti, corrispondono, grosso modo alla odierna provincia Persiana del Khorasan che come già detto si estende da Danaghan (long. 54° 20’) ad Ovest, sino allo Heri-rud o: Riva di Herat ad Est e comprende l’attuale distretto di Damaghan, Shah-rud; Sebzawar, Nishapur; Meshed; Tersheez e Shebri-no. La larghezza è mediamente di un centinaio o poco più ( 120) miglia. La superficie è valutata in 33.000 miglia quadrate, quasi eguale alla dimensione di: Irlanda, Bavaria o Santo Domingo. La regione è ricca e produttiva e la parte montagnosa è costituita da quattro o cinque distinte catene montuose tra loro separate da valli longitudinali ricche di boschi. Ai piedi dei rilievi, il terreno pianeggiante è fertile ed ubertoso, abbondante di corsi d’acqua che si raccolgono in fiumi che raggiungono anche dimensione notevole. I fiumi più importanti sono: il Tejend alimentato da diverse sorgenti che si trovano sulle montagne centrali, anticamente note come:Labus o Labuta ed oggi chiamate Alatagh; il decorso del fiume va verso Sud e passata Merhed, in un punto poco oltre il 61° meridiano, devia a sx. volgendo verso Est, poco a Nord-Est dell’Heri-rud Dopo aver ricevuto le acque dell’Heri-rud fa una seconda ed ancor più brusca deviazione a sx. per correre in direzione Nord, Nord-ovest; passato Sarrakhs, sito Russo posto ai piedi della regione montagnosa partica del Nord, oggi nota come: “Montagne del Kurds” si impantana in una palude estesa tra il 57° ed il 58° parallelo. Il fiume di Nishapur è un piccolo fiumiciattolo che nasce dalle montagne che chiudono da tre lati la città omonima e scorre in direzione Sud, Sud-ovest verso il deserto iraniano. L’acqua è pressochè totalmente utilizzata per l’irrigazione della fertile pianura che si trova a Sud di Nishapur; ma il corso del fiume è sempre individuabile almeno sin dopo Tersheez, in pieno deserto ed in qualche stagione di abbondanza l’acqua arriva sino a quell’arida distesa di sabbia. Le vallate di questi due fiumi costituiscono la parte più fertile e produttiva dell’intero territorio; ma in antico il tratto che maggiormente era valorizzato ed in cui viveva la maggior parte della popolazione,sembra essere stato quello che ci è oggi noto come “Atak” o “Skirt” il territorio coltivabile che si estende a Sud, tra i piedi delle alture ed il deserto. Lungo tutta la regione da Damaghan a Tersheez le montagne degradano in rapida successione ed i ruscelli, torrenti e fiumi rendono la terra facilmente lavorabile con poca fatica e scarso impegno lavorativo anche a distanza di quatto o cinque miglia dall’insediamento agricolo. Se vengono poi realizzati accorgimenti per operare riserve ed accumuli di acqua o canali di distribuzione sotterranei, il ritorno economico è più che pagante. I tanti resti di città, nell’intero Atak, oggi ridotte a cumuli di macerie sono sufficiente indice della benevolenza che “Madre Natura” ha riservato a questa fascia del paese, solo se assecondata dall’attività e dalle capacità dell’uomo. D’altro canto i tratti montani di cui il paese è dotato sono in netto contrasto con le valli solcate dai molti fiumi ed alla fascia orientale del territorio; la parte montana è per la maggior parte, sterile, il terreno accidentato e povero di legname, solo in grado di procurare un minimo di pastura alle greggi ed agli armenti. Altro di rimarchevole non c’è se non il fatto che i rilievi non sono molto elevati, rispetto ad esempio al monte Demavend, nell’Elburz, a Sud del Caspio, la cui cima supera i 20.000 piedi ed altezza di poco superiore è raggiunta da molte vette della catena montagnosa del Paropamisus; nella Parthia la cima più elevata non supera i 10.000 od al massimo 11.000 piedi. Il territorio più a Nord, oggi chiamato: Danian - i – Kob è quello più elevato ed è caratterizzato dalla scortesia delle tribù del Kurdish, che la abitano, nei confronti degli stranieri. La parte centrale che volge verso Ovest, è chiamata: Alatagh mentre quella volta ad Est: Macrabea è considerevolmente più bassa, rispetto alla prima. La regione centrale posta a Sud si trova più o meno allo stesso livello di quella che volge ad Ovest e viene chiamata indifferentemente: Djuvein o Jaghetai. Il clima della Parthia classica, secondo gli scrittori antichi era estremo: eccezionalmente caldo nel fondo valle e particolarmente rigido sulle montagne; ma i moderni viaggiatori sono più propensi a modificare questa affermazione e ci dicono che gli inverni, sebbene si protraggano più a lungo nella stagione, non sono poi tanto inclementi ed il termometro raramente scende alla notte, sotto i 10 – 12 °F mentre di giorno anche nei mesi di Dicembre e Gennaio che costituiscono il periodo più freddo dell’anno, si assesta tra 4 e 5 °F La stagione fredda inizia ad Ottobre e continua sino alla fine di Marzo quando tempeste di neve e di grandine annunciano l’arrivo della primavera. Durante l’inverno la quantità della neve caduta è tale che nelle vallate permane sino a Marzo, più a lungo sulle montagne ed è fonte di alimentazione, tra primavera e l’inizio dell’estate dei corsi d’acqua che scendono a valle. In piena estate la calura è elevata, soprattutto nelle regioni note come: Atak o Skirt e qui il vento malsano che spira dal deserto del Sud si percepisce come un terribile flagello. Sugli altopiani la calura non è così intensa e gli abitanti, per difendersi dal caldo si trasferiscono per circa un mese all’anno negli alloggiamenti di alta montagna. Nonostante i moderni visitatori della zona riferiscano che nel paese, solo scarsamente popolato di foreste, ancora sono presenti: il pino, il noce, il sicomoro, il frassino,il pioppo, il salice, la vite, il gelso, l’albicocco e numerose altre piante da frutto, nei tempi passati sembra che, ferma restando la tipologia delle piante sopra menzionate, la loro quantità dovesse essere di gran lunga maggiore. Strabone dice che il territorio era densamente alberato ed anche se le piante indigene sono: lo zafferano, la pianta assofaetida e la gomma ammoniacale, la fertilità del terreno è tale che crescono bene anche l’orzo ed il cotone; per l’orzo poi abbiamo un indice di resa di 10:1 praticamente senza cure di coltivazione mentre se si praticano le usuali lavorazioni agricole il rapporto sale 100:1 La resa sul riso, secondo alcune testimonianze raggiunge il 400: 1 Nella zona montagnosa abbonda la selvaggina ed i corsi d’acqua sono ricchi di pesce. Tra i prodotti minerali ricordiamo: Sale, Ferro, Rame e Piombo ed in montagna si possono estrarre pietre preziose di specie diverse , in particolare i Turchesi. Partendosi da questa ristretta; ma discretamente produttiva regione i Parti ampliarono gradualmente il loro dominio sino a coinvolgere la maggior parte dell’Asia Occidentale. Subito dopo essersi assicurata l’indipendenza i Parti attaccarono i loro vicini confinanti dell’Ovest: l’Hicarnia Era l’Hicarnia un paese geograficamente connesso, nel senso più stretto del termine, con la Parthia a questa molto simile nelle caratteristiche generali; ma più ricco, più caldo, più vivibile. L’Hicarnia occupa la metà occidentale della regione appena descritta che si estende dal Mar Caspio all’Heri- Rud mentre la Parthia ne è il completamento orientale. Composta per la maggior parte dalle due fertili vallate di Gurghan ed Ettrek, con inclusa la catena di montagne che le divide, l’Hicarnia è un paese pittoresco, ricco di alberi e grande più o meno come la stessa Parthia; ma notevolmente più produttivo. Sui declivi dei monti crescono querce, faggi, olmi, ontani ed il ciliegio selvatico, qui sorgono dal terreno arrampicandosi con i pampini ed estendendosi da albero ad albero, come grandi festoni, le piante della vite. Sotto la loro ombra il suolo è ricoperto dei fiori più disparati, dalle primule alle violette, dai gigli ai giacinti ed altre specie a noi sconosciute. Il terreno del fondovalle costituisce un grande prato con soffici e molli erbe in grado di assicurare la pastura di numerosi greggi ed armenti. Le foreste brulicavano di selvaggina mentre verso la foce dei fiumi, dove il terreno è per lo più paludoso, pascolavano grandi branchi di cinghiali che costituivano un ottimo bersaglio per la caccia. L’Hicarnia era regione ricca e fertile, descritta da Strabone come :”Altamente favorita dal Cielo” la sua straordinaria fertilità era in grado di far produrre ad un singolo vigneto nove galloni di vino ed una sola pianta di fichi riusciva a produrre 90 bushels di frutti; il frumento poi non necessitava di semina; ma si rigenerava spontaneamente dopo il precedente raccolto. Non molto dopo la conquista dell’Hicarnia le armi partiche si diressero verso il paese di Mardi. Questa regione confina ad Ovest con l’Hicarnia ed è sostanzialmente costituita dal tratto montagnoso che a Sud del Mar Caspio rappresenta una continuazione delle tre catene della Partia e che va generalmente sotto il nome di Elburz. Non è ben chiaro il confine occidentale del territorio mardiano; ma con buona probabilità si estende per ca. due gradi, dal confine di Damagan sino alla grande montagna di Demavend ( da 54° a 52° di log. Est) Il territorio viene generalmente descritto come interamente accidentato e montagnoso ma che tuttavia comprende anche la zona tra la base delle montagne ed il Caspio, quella che è la parte più ad Est dell’attuale Mazanderan. E’ questo un ricco terreno alluvionale pianeggiante, appena sopra il livello del mare e via, via, elevandosi in collinette sempre più alte,che fanno da contrafforte allo altipiano, che fu il cuore del territorio di Mardi. Qui alte sommità rocciose si alternano ad impenetrabili foreste; il fianco nord delle montagne, vicino alla vetta, è coperto da querce nane, cespugli e sottobosco impenetrabile mentre la parte più in basso è coperta da foreste di olmi, cedri, castagni, faggi ed alberi di cipresso. Gli orti ed i frutteti coltivati dai nativi sono disseminati lungo gli ammassi della foresta primordiale e si presentano di superbo aspetto, la vegetazione è lussureggiante; abbondano: Limoni, arance, pesche, melograni assieme ad altri vari frutti mentre riso, canapa, canna da zucchero, gelsi crescono rigogliosi e la vite la fa da padrona nelle vallate disseminate da arbusti e fiori di straordinaria fragranza tra cui spiccano le rose ed il cerfoglio. Madre Natura, dispensatrice di tanti straordinari vantaggi, vi ha posto a guardia la: “Tigre” altrimenti sconosciuta in altre parti dell’Asia Occidentale che, nascosta dalle giungle, è pronta a balzar fuori ed aggredire, in ogni momento, l’incauto viaggiatore che si avventuri in quelle zone. Frequenti sono anche le inondazioni che portano diffuse ed estese desolazioni, l’acqua fuoriuscita dall’alveo dei fiumi, ristagna nelle paludi e durante la calura estiva ed autunnale rilascia esalazioni mefitiche e pestilenziali che sono fatali agli stranieri e creano una profonda selezione naturale anche nei confronti dei nativi. Per tutti questi motivi il territorio mardiano non presentava eccessiva attrattiva nei confronti dei conquistatori se non per il fatto che si trovava sul passaggio obbligato verso altre più salubri regioni un anello indispensabile della catena che tiene unito l’Est con l’Ovest ed attraverso il quale possono essere riuniti, in un unicum, i frammenti dispersi di quel grande impero Persiano che ebbe origine con Ciro e che fu distrutto da Alessandro. Il terzo settore che i Parti annessero al loro territorio fu quella parte della Media costituita da un aspro sperone che fuoriesce dalla montagna dell’Elburz circa 52° 20’ Est e che si proietta nel deserto originando una netta divisione tra Est ed Ovest. Il tratto immediatamente ad Ovest dello sperone, fa parte della Media antica, nota come: Media Rhagiana, dal nome Rhages della sua capitale, situata in un angolo tra lo sperone e la catena montagnosa principale, a non grande distanza dall’altra. Poco dopo la conquista della Mardia, la Partia invase questo territorio ed andò a stabilirsi in un luogo oggi chiamato Charax, molto vicino allo sperone, con ogni probabilità nel sito che al giorno d’oggi porta il nome di: Uewanikif e da qui, un poco alla volta, sciamò nel resto della Rhagiana prendendo possesso dell’intero territorio sino a Kaswin, verso Ovest e sino a Kum, verso Sud. Era questo un distretto di notevole dimensione, lungo 1.500 miglia, dallo sperone sino a Kaswin e largo circa 800 miglia dalla montagna Elburz a Kum; si tratta di un altopiano elevato 3.000 – 4.000 piedi sul livello del mare, caratterizzato da clima secco e salubre; ma con suolo di bassissima qualità. Parte dell’altipiano si prolunga nel grande deserto Iraniano centrale ed è assolutamente improduttivo mentre il resto presentava una sia pure scarsa fertilità. Nonostante l’elevata salinità, in presenza di notevole quantità di acqua, poteva produrre cereali e foraggio sufficienti a sostenere una popolazione abbastanza numerosa. Il successivo movimento di espansione dei Parti avvenne in direzione opposta: verso Est ov’essa si trovò a contatto con la Bactria, stato di considerevole potenza, cresciuto simultaneamente alla Partia e che aveva saputo assorbire molto del territorio circostante. Il primo attacco alla Bactria fu parziale e portò come risultato la conquista di due piccole province note come: Turiun ed Aspionus. Non ci è nota l’esatta ubicazione di questi siti che dovevano tuttavia trovarsi ad Ovest del territorio Bactriano e probabilmente erano distretti posti a Nord del Paropamisus, sulle sponde o del Murghab o dell’Ab-i-Kaisar. Il territorio annesso con la conquista era poco più che insignificante; ma ben presto ad esso vennero ad aggiungersi altre e ben più significative conquiste. Dopo questa acquisizione, ancora una volta l’attenzione dei Parti si rivolse ad Occidente e fu la Media, il grande paese che aveva primeggiato sull’Asia Occidentale ed esercitato il suo dominio dalle chiuse del Mar Caspio all’Halis e dal monte Araxes sino all’Istahan, a farne le spese. Assoggettata prima dalla Persia e successivamente da Alessandro Magno era stata confinata in più ridotte frontiere ed allo stesso tempo suddivisa in tre province: Media Rhagiana; Grande Media e Media Atropathene. Già abbiamo visto come i Parti abbiano preso possesso della Media Rhagiana adesso il loro interesse era rivolto alla Grande Media; era questo un territorio molto ampio, situato tra il 32° ed il 37° parallelo che si estendeva dal gran deserto salato dell’Iran, verso Est, sino alla catena montagnosa dello Zagros, ad Ovest. La sua lunghezza, da Nord a Sud, era di quasi cinque gradi, ovvero di ca. 350 miglia e la sua larghezza, da Ovest ad Est di ca. 4 °, più o meno 240 miglia. L’intera area non deve aver avuto estensione maggiore di 800 miglia quadrate che è poco meno del Regno Unito più Germania ed Austria messe assieme. Il paese è a sua volta diviso in due parti: l’Occidentale e l’Orientale. La parte Ovest rappresenta poco più della metà del paese e si spinge sino ai limiti della vasta regione montagnosa dello Zagros; è un paese in cui valli e monti si alternano in successione con ampie pianure molto produttive e per la maggior parte pittoresche e di una bellezza incomparabile. La parte più elevata della zona montana è spoglia ed accidentata; ma solo nelle cime più elevate, mentre più in basso è densamente coperta da foreste e le valli sono interamente occupate da frutteti e giardini dove abbondano: Noci, platani, querce nane, salici e pioppi ed occasionalmente compaiono anche frassini e terebinti ( Pistacia –Terebintus). Le piante da frutto vedono, accanto alla vite, il gelso, il melo, il pero, le mele cotogne, le prugne, mandorli, noccioli, castagne, l’olivo, la pesca, la pesca noce e l’albicocco. Il territorio ad Est dello Zagros presenta un forte contrasto, rispetto alla regione posta ad occidente; qui le montagne si elevano quasi a picco sul piano e sfociano in un altopiano sabbioso e ghiaioso in cui spesso affiorano depositi di sale ed efflorescenze saline chiamate: “Kavir” L’altopiano, attraversato da creste rocciose prive di terreno coltivabile, non in grado di far vegetare neppure un cespuglio od un ciuffo d’erba, è solo scarsamente irrigato da corsi d’acqua e pozzi spesso con acque salmastre. Se si fa eccezione per i punti dove affiorano i depositi di sale e le inflorescenze saline, il pianoro può ancora offrire una buona produzione di grano, se solo sufficientemente irrigato, da qui la presenza di un sistema di irrigazione detto “Kanats” la cui origine si perde nella notte dei tempi. Ovunque i piccoli corsi d’acqua ed i ruscelli che scendono dalle montagne e che, se lasciati a sé stessi sarebbero quasi immediatamente assorbiti dalle sabbie del deserto, vengono invece convogliati in cunicoli sotterranei, a considerevole profondità dalla superficie e fatti scorrere per molte miglia nel piano. Ogni tanto una apertura consente all’acqua necessaria all’irrigazione, di sgorgare in superficie ed in questo modo gran parte della pianura è resa coltivabile. La conquista della Grande Media raddoppiò i domini della Partia e nel contempo accelerò il processo di acquisizione di ulteriori e più importanti conquiste. La parte occidentale della Grande Media apre al ricco e prezioso paese, originariamente noto come Elam ed oggi come Kissia o Susiana. E’ questa una striscia di terreno molto produttiva che si interpone tra la catena dello Zagros e la sponda del Tigri e che si allunga per circa cinque gradi, ovvero ca. 350 miglia da Nord-Ovest a Sud- Est con una larghezza media di 150 – 160 miglia. Come già abbiamo detto la Grande Media è costituita da due regioni tra loro contrastanti, la parte occidentale è formata da una striscia di pianura alluvionale fertile che si estende dal Tigri ed il piede delle montagne; bene irrigata da numerosi e copiosi corsi d’acqua quali : il Jerachi, il Karun, il Keykhah, il Diala ed altri che sono in grado di irrigare quasi per intero, la parte pianeggiante del paese. Oltre questa regione, verso Oriente si trova ancora una zona amena, per quanto costituita da montagne che si alternano a valli ed altopiani anch’essi ricchi di bellissime, piccole vallate, dove abbondano alberi e zampillanti ruscelli che confluiscono in fiumi d’acqua limpida e fresca…poi la maggior parte della regione diventa montagnosa ed incoltivabile. Si susseguono allineamenti di rocce nude ed a precipizio nei crepacci biancheggianti di neve sino all’estate, man mano che ci si sposta verso Nord – Est. Le pendici più in basso delle montagne sono ancora coltivabili e le valli brulicano di frutteti e piante che forniscono una eccellente pastura; questa regione somiglia molto alla parte Occidentale della Grande Media, di cui ne è la continuazione, tuttavia, man mano che si procede verso Sud Est, nel paese di Bakhiyar che si congiunge all’antica Persia, il carattere della regione si deteriora, le montagne diventano più spoglie, più aride e le valli più anguste e meno fertili. Il Fato decise che i paesi adiacenti di: Babilonia e Persia dovessero sottomettersi alla Partia, quasi senza colpo ferire. Babilonia si estende dal Golfo Persico, su entrambe le rive dell’Eufrate, dalla foce, all’estremo limite Nord della pianura alluvionale, sino in prossimità di Hit sull’Eufrate e di Samarah sul Tigri: una distanza di ca. 400 miglia per una larghezza di ca. 180 miglia; ma la media è stata stimata in non più di 60 – 70 miglia, ed una area che non eccede le 25.000 miglia quadrate. La qualità del suolo era tale da farla ritenere il più grande granaio del mondo. Secondo Erodoto. Frumento, orzo e miglio che costituivano le granaglie principali, davano rese di 200: 1che in un qualche caso potevano arrivare a 300: 1 Lungo il corso dei fiumi erano numerosi i palmeti che producevano datteri di ottima qualità e sotto il primo Re Achemenide, quando il cibo alla Corte era fornito da ciascuna delle province, di volta in volta, lungo il periodo dell’anno, Babilonia aveva il dovere di rifornire di derrate la Corte per ben quattro mesi tanto che, rispetto alle risorse dell’impero, si poteva dire che ne rappresentasse 1/3 L’irrigazione era tanto capillare che l’intero paese era coltivato e trasformato in un grande giardino. A Babilonia la Partia ereditò tutti i vantaggi dell’antica civilizzazione e dovette solo curarsi di mantenere in ordine i lavori che già erano stati eseguiti: canali, chiuse, dighe ed argini per derivare, da una sola provincia, tutto il fabbisogno di cibo della sua intera popolazione. La Persia si trova diametralmente opposta a Babilonia, verso Est e Sud – Est; si estende lungo la sponda Sud – Est del Golfo Persico, dai più intimi recessi del Golfo, vicino a Mashur, sino a Capo Jask, un piccolo insediamento sullo stretto di Ormuz a longitudine Est 57° e 40’. Dalla parte interna si allunga sino ai confini di Isfahan, verso Occidente e verso Oriente, ai deserti di Kerman e Yezd. La sua lunghezza si estende per ca. 8° di longitudine che rappresenta una distanza di 620 miglia mentre la larghezza è compresa in circa cinque gradi di latitudine, più o meno 350 miglia; l’intera area è valutabile in 150 – 200 miglia quadrate. La Persia, come ricchezza naturale era di poco inferiore a Babilonia od alla Susiana. Lungo le coste, nel “Ghermsir” o “Paese caldo” come di solito veniva chiamato, c’era una striscia di territorio sabbiosa, spesso impregnata di sale, che si estendeva all’intera lunghezza della provincia come continuazione della piatta regione della Susiana; ma priva, in quel breve tratto, di quelle qualità che fanno della Susiana una terra di valore. Il suolo è povero, costituito per lo più da sabbia ed argilla che si alternano tra loro ed è poco irrigato; l’intera regione è percorsa da un solo corso d’acqua, degno di essere chiamato fiume, oltre tutto la sua posizione, appena oltre il Tropico del Cancro, lo rende tra i paesi più caldi dell’Asia Occidentale. Fortunatamente non è molto esteso, raggiunge appena le 50 miglia, nel retroterra e non costituisce più di 1/8 dell’intero paese; degli altri 7/8 parte considerevole, più della metà, è costituita da sale e sabbia del deserto, soprattutto dei deserti di Kerman e di Yezd che sono pressochè improduttivi. Tra questi due aridi distretti tuttavia, la striscia di colline che li separa, è di migliore qualità essendo costituita da montagne, pianure e valli, curiosamente intervallate e per la maggior parte abbastanza fertili. Nelle pianure il territorio è ricco, pittoresco e romantico oltre ogni immaginazione, con piacevoli piccole valli piene di alberi, con montagnole dalle verdi scarpate e verdi pianure, adatte alla produzione di ogni tipo di granaglie, ma nel complesso questi lineamenti sono solo circoscritti a piccole zone ed in generale si respira un senso di sterilità e povertà. Quasi ovunque l’acqua è scarsa e raramente i fiumi riescono a guadagnare il mare; dopo breve percorso vengono assorbiti dalla sabbia o finiscono in piccole pozze salate dalle quali l’acqua evapora. La Persia Classica merita comunque la descrizione che di sé davano gli antichi abitanti del paese sin dal tempo di Ciro il Grande.” Un paese aspro ed accidentato dove la sussistenza è possibile solo con un lavoro strenuo e continuo e dove le vicissitudini del clima sono tali da fortificare ed indurire quelli che ci vivono” Altro paese, con ogni probabilità sottomesso dai Parti nello stesso periodo in cui furono conquistate: la grande Media, Susiana, Babilonia e la Persia Classica, fu l’Assiria che era stata per lungo tempo, in precedenza, contenuta nei suoi confini naturali interposti tra il monte Zagros ed il Tigri, confinanate ad Est con la Grande Media, a Nord con l’Armenia, ad Ovest con la Mesopotamia ed a Sud con la Susiana e l’Elymais. La sua massima lunghezza era di ca. 320 miglia, con una larghezza media di ca. un centinaio di miglia per una estensione areale di ca. 32.000 miglia quadrate, più o meno la dimensione dell’Irlanda; ma a tanto scarsa estensione fa riscontro una estesa fertilità del suolo. Il tratto tra le montagne dello Zagros ed il Tigri ha natura prevalentemente alluvionale caratterizzata dalle piene del fiume che con regolarità esonda dal suo letto e si espande su una vasta area del paese fertilizzandolo. Vi si producono eccellenti granaglie: orzo, frumento e miglio oltre al sesamo e vi cresce rigogliosa la palma, il noce, il platano, il sicomoro ed il pioppo. Le colline, più bassi avamposti dello Zagros, producono olive ed in condizioni favorevoli, sono coltivati su larga scala i limoni; comune è la vite, il fico, il gelso, il melograno ed altre piante da frutto. Relativamente ai minerali, in Assiria si estraeva: Ferro, Rame, Piombo, bitume, oli minerali, petrolio, Zolfo, allume e sale. L’impero dei Parti si era così esteso verso Ovest ed era fatale che a questo punto volgesse lo sguardo ad Est, verso la Bactria che già era entrata nell’ottica conquistatrice di questo popolo che, come già abbiamo visto, si era appropriato di due ancorchè piccoli distretti. Il regno della Bactria, a quel tempo, si estendeva tra il Tejand e l’Hydaspes; ma nello stesso periodo in cui la Partia si espandeva verso Occidente, la Bactria perdeva potere e questo fatto venne visto come un invito all’invasione; nel conflitto che seguì la Partia ebbe la meglio e non molti anni dopo i Parti occuparono anche la Margiana, l’Aria, la Sarangia o Drangiana, Sacastana, Aracosia, cui dobbiamo aggiungere Sagartia e Diorasmia; doveroso quindi un cenno su questi paesi. La Bactria classica, ovvero il nucleo da dove aveva avuto origine il regno Bactriano può essere considerato come la vallata superiore dell’Oxus, in altre parole, della valle ove il fiume si origina, con le sue sorgenti, verso Est sino all’ingresso nel grande deserto Chorasmiano a ca. 65° 30’ longitudine Ovest. La valle è chiusa a Nord dal Sultanato Hazaret e dalla montagna Hissar, mentre a Sud confina con il Paropasmisus o Kush Hindù; verso Est raggiunge l’altopiano del Pamir da cui hanno origine alcuni tra i più importanti fiumi che la irrigano. La distanza tra il Pamir ed il deserto è di ca. 160 miglia mentre la distanza tra le due catene montuose varia da 140 a 250 miglia. L’area è probabilmente tre volte più vasta di quella della Partia e può essere stimata in ca. 7.000 miglia quadrate. La maggior parte del paese si pone a quote elevate, sopra il livello del mare, ha clima freddo e terreno non fertile; ma la parte più bassa della valle, specialmente la zona vicina all’antica capitale:Bactra, oggi Balkh, è molto produttiva e la regione tra l’Oxus ed il Paropamisus, la metà Sud della provincia, è la parte più ricca dell’Affghanistan Margiana, ovvero il distretto sul fiume Margus (Marg-ab) si trova, verso Occidente, in continuità con la Bactria e sebbene geograficamente riconosciuta come distinta, inizialmente dovett’essere un tutt’uno con la Bactria. Si tratta di un angusto corridoio chiuso da un lato dal deserto e dall’altro dal fiume: Margus, per una distanza di circa 200 miglia che va poi ad aprirsi in una verde oasi di grande fertilità, nota in antico ed anch’oggi chiamata: Merv. Distretto di grande importanza, di recente annesso alla Russia e congiunta con Ashkabad e Bokhara attraverso una strada ferrata. Aria si estende sul corso del fiume Ario, oggi Heri – Rud, che costeggia il lato Sud del Paropamisus a long. Est 67° e gira verso Ovest, prima attraverso le montagne e quindi sul loro fianco Sud sino a 61° di longitudine Est dove fa un giro ampio verso Nord e forzandosi attraverso la catena unisce Tejend al Pul-khatun, più o meno a latitudine 36°. Il corso del fiume, sino alla sua grande svolta verso Nord, misura ca. 270 – 280 miglia il chè lo pone come misura della intera lunghezza dell’Aria: da Est ad Ovest. La sua larghezza, tra il Paropamisus ed il territorio noto come: Drangiana o Sarangia è difficile da determinare; ma non fu certamente grande, mediamente può essere stato di 50 miglia sì che l’intera area coperta dal paese dovett’essere di ca. 13.000 miglia quadrate. Il terreno, bene irrigato, si presentava sufficientemente fertile; ma era posto ad una altezza eccessiva per essere almeno moderatamente produttivo. La capitale Aria, od Herat si trova a più di 3.000 piedi sul livello del mare ed il resto del paese è a quote ancor più elevate. Drangiana o Sarangia: Si congiunge all’Aria, verso Sud ed assieme costituiscono una regione di grande estenzione; ma di scarsa fertilità. Il paese è irrigato da fiumi che confluiscono, da Nord - Est a Nord, nello Hamun o lago di Seistan; ad Ovest declina verso il grande deserto iraniano e ne prende il carattere; ad Est si estende sino alla sorgente del fiume Kash. Difficile è determinarne esattamente l’estensione, ma al massimo dev’essere stata doppia, rispetto all’Aria, comunque non molto al di sotto delle 30.000 miglia quadrate. Sacastana o Seistan: Anche questo paese fu probabilmente assorbito dalla Partia e si trovava immediatamente a Sud di Hamun o Gran Lago Salato, in cui si versa il fiume Helmend; ad eccezione dei vasti banchi dell’Helmend il territorio era praticamente improduttivo e non in grado di ospitare alcun tipo di popolazione nomade. Alcune zone del territorio erano soggette alle inondazioni dell’Helmend ed in quell’occasione si poteva assistere all’insorgere di vasti canneti tra le aride zone desertiche. Valutarne l’estensione è vago ed indefinibile giacchè non ci sono confini naturali segnati a meno che non si voglia riconoscere come tali l’Helmend e l’Hamun a Nord mentre a Sud il paese si fonde con la Gedrosia e ad Ovest con il deserto Kerman. Il dominio su Sacastana e Sarangia porta quasi necessariamente alla sovranità sull’Arachosia. Arachosia: Prende nome dl fiume Arachotus (Argand-ab) un affluente dell’Helmend e costituisce il territorio montano attorno a Candahar oltre ad una parte del deserto adiacente oggi noto come Registan. Il paese è vasto; ma di non grande valore e si colloca sulla frontiera dell’impero dei Parti, verso Sud Est; chi detiene il potere su Hicarnia, Partia, Aria, e Sarangia lo ha di fatto anche sulla Sagartia che coincide con la parte Est e Nord – Est del Deserto Iraniano. I Sagartiani vagano liberi sulla maggior parte della regione centrale alla ricerca di una inadeguata sussistenza; il loro territorio era, a dispetto, molto esteso, ancorchè di scarso valore, essendo inadatto a qualsiasi tipo di coltivazione e privo di qualsiasi minerale che non fosse il sale. Corasmia: Un territorio similmente improduttivo ed invivibile, dalla parte opposta della catena di montagne della Partia e dell’Aria, viene comunemente considerato formare con la Bactria il limite del dominio dei Parti verso Nord, ad Est del Caspio; è questo il territorio della Corasmia, ovvero il paese dei Corasmiani, oggi noto come Deserto del Khorasan, che si estende dal fondo collinare della Bactria, Partria ed Hicarnia sino al vecchio corso dell’Oxus, dal suo ingresso nel deserto sino alla sua foce. Il territorio è vasto, non meno di 600 miglia in lunghezza e largo 300 miglia; ma il suo valore è eccezionalmente scarso giacchè, eccetto lungo il corso del fiume Oxus o moderno Amu Daria, non consente coltivazione alcuna. Grazie all’acquisizione di questi paesi e regioni la Partia raggiunse la sua più vasta estensione territoriale verso Est e Nord Est anche se era ancora in grado di fare ulteriori aggiunte ai suoi domini dalla parte opposta dell’impero, in particolare verso Nord Ovest. Mesopotamia: Nel periodo precedente il conflitto che la vide opposta all’Impero Romano, la Partia era diventata la prima potenza della grande e ricca regione della Mesopotamia che è il tratto compreso tra il Tigri e l’Eufrate che confina a Nord con l’Armenia ed a Sud con la pianura alluvionale di Babilonia. La lunghezza di questa regione, da Nord Ovest a Sud Est era di circa 350 miglia, mentre la larghezza, nel punto più largo era stimabile a non meno di 260 miglia tuttavia in qualche punto non si raggiungono le 50 miglia pertanto è probabile che l’intera area potesse essere valutata in 50.000 miglia quadrate. La maggior parte era improduttiva essendo costituita da una pianura priva di alberi, dimora degli asini selvatici, degli ottarda e delle gazzelle; ma verso Nord era più fertile ed il monte Masio, assieme al lembo Sud ed alla valle del Tigri a Nord era un territorio di una qualche considerevole ricchezza. Il Mansio produce abbondante legname assieme a manna (frassino) e nocciole ( cecidio); il pistacchio cresce incolto nel distretto tra Orfah e Diabekr; il tratto Sinjar delle colline è noto per la coltivazione dei fichi e l’intera regione a Nord è favorevole alla crescita degli alberi da frutto e produce: arance, noci, limoni, melograni, albicocche e gelsi. Durante il periodo di belligeranza con Roma i confini della Partia divennero estremamente fluttuanti, intere province vennero conquistate, perdute e riconquistate, larghe fette di territorio annesse e successivamente nuovamente perdute, interi paesi ceduti e dopo un po’ riconquistati; ma non è qui che possiamo parlare di tutte queste variazioni territoriali, limitiamoci solo all’estensione del territorio della Partia nel momento del suo più fulgido periodo, tuttavia è necessario completare il quadro con altri due distretti: la Media Atropatene e l’Armenia. Media Atropattene: Fu l’ultima ad essere acquisista dalla Partia e costituiva il territorio ad Ovest della parte bassa del Mar Caspio che si estendeva dall’Araxes (Aras) verso Nord, sino ai confini della Grande Media e della Media Rhegiana verso Sud; ad Est confina con l’Armenia con la quale fu talvolta politicamente connessa. Il confine Sud segue quasi pedissequamente la linea del 36° parallelo tanto che il territorio è molto simile ad un quadrato che si estende da Est ad Ovest per lo spazio di 240 miglia e da Nord a Sud per ca. 230 miglia. L’intera area non è meno di 50.000 miglia quadrate; i suoi fiumi principali sono: l’Aras ed il Sefid – Rud mentre sul suo territorio si pone il grande lago Urumiyeh. Il territorio è montagnoso; ma abbastanza fertile, con clima freddo nell’inverno; ma delizioso durante i mesi estivi; la regione è ricca e fu molto valorizzata dai suoi primi possessori: i Persiani. L’Armenia, ad Ovest del Caspio, confinava verso Nord con la Partia, quando l’impero ebbe raggiunto la sua massima estensione e si poneva a Nord Ovest e parzialmente a Nord dell’Atropathene, la sua estensione va dal Caspio alla foce dell’Aras, alla curva che fa l’Eufrate a 38° e 30’ di latitudine e 38° e 25’ di longitudine, una distanza di quasi 600 miglia e si estende dall’Iberia, a Nord sino al MonteNiphates a Sud; una distanza di ca 200 miglia. L’Armenia ha forma di losanga restringendosi gradatamente ad entrambe le estremità, per questo la sua superficie non eccede le 60.000 miglia quadrate. Il carattere della regione somiglia a quello dell’Atropatene anche se nel complesso gli è superiore essendo un territorio produttivo che esportava vino a Babilonia e commercializzava sui mercati della Fenicia con muli e cavalli. Nel momento della sua massima prosperità l’impero dei Parti dovette estendersi per 2.000 miglia da Est ad Ovest, tra il Pamir e l’Eufrate mentre la sua larghezza media era compresa tra 500 e 600 miglia, tra la frontiera Nord e quella Sud. La maggior parte del territorio Afgano, la Persia per intero e parte della Turchia, oltre a vaste regioni adesso in possesso della Russia, erano parte integrante della Partia e giacchè la Persia si estende per 500.000 miglia quadrate e l’Afganistan per 200.000 miglia quadrate, mentre le province in mano alla Russia e quelle Turche in possesso della Partia, erano stimate non meno di 100.000 miglia quadrate, l’intero territorio, in cluso l’impero dei Parti, alla sua massima espansione dovett’essere non meno di 800.000 miglia quadrate, l’equivalente cioè di: Francia, Germania, Austria e Turchia Europea messe assieme. I confini dell’impero erano a Nord: l’Iberia, il fiume Kus o Cyrus, Il Mar Caspio, l’Oxus, il sultanato Hazaret ed il territorio Hissar; all’Est: il Pamir, la catena Balor e la valle dell’Indo; al Sud: il Beludristan ed il Golfo Persico; ad Ovest: la Cappadocia e l’Eufrate. Ad Ovest dell’Eufrate si trovava il territorio in mano Romana, verso il Nord dell’Oxus c’erano le tribù degli: Scizi, Alani, Messageti, Yue-chi ed altri, sulla frontiera dell’Est c’erano gli Indo-Sciti: un popolo debole e diviso. Solamente due sembravano essere i popoli di maggior rilievo a da temere: Roma ad Occidente e le tribù Scizie al Nord ed a Nord – Est; con entrambe queste due popolazioni la Partia ebbe a scontrarsi in lunghe, devastanti e sanguinose guerre; la sua fine tuttavia non fu causata da nessuno dei due nemici; ma solo le rivolte interne al paese portarono alla distruzione della Partia il cui dominio venne alla fine sostituito dal secondo Impero Persiano: quello della Monarchia Sassanide.3 punti
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Riporto a galla questa discussione... domenica 14 settembre il Circolo Numismatico Parmense è aperto anche ai non tesserati, prevedo ci sarà un bel movimento :lol: Chiunque è il benvenuto!!!3 punti
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Grazie per i vostri commenti. Vi mostro altre due fotografie scattate con una luce più "dura" che crea più contrasto nel tentativo di catturare il lustro ma non so con quale risultato, sicuramente scarso. Vince3 punti
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eccolo qua il primo argento del 2014 :D ultimo acquisto di Riccione,come lo trovate? a me piace un sacco :D le piastre del primo tipo (come quelle del secondo) son sempre molto difficili,almeno per me da valutare...han subito infatti una coniazione che le rende diverse rispetto a quelle degli anni 40 e alle successive,soprattutto nei fondi ho notato che spesso risultano leggermente bombate ....ho detto una cavolata? secondo voi su che valore siamo per questa? ps:spero di aver fatto foto decenti grazie a tutti quelli che commenteranno e un saluto alla sezione ;) marco2 punti
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Ciao a tutti. Con piacere vi presento il mio ultimo acquisto fatto alcune settimane fa: 2 lire 1927. E' una moneta, per me, importante e molto rara che ho cercato a lungo, spero che l'apprezzerete. Ditemi cosa ne pensate. Fare le fotografie è stato difficilissimo ma molto interessante e istruttivo, ovviamente non sono soddisfatto del risultato ma mi accontento. Grazie per la vostra attenzione. Saluti. Vince2 punti
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Mi rendo conto che le circostanze dell'acquisizione possono legittimamente far sorgere dubbi sull'autenticità della moneta. Capisco anche che riconoscere con certezza un falso "fatto bene" da una moneta autentica da 3 foto fatte con il telefono, senza un riscontro di peso e una misurazione con il calibro, è quanto meno arduo per chiunque. Per questo non posterò altre foto con il telefono, data la qualità, infatti, non credo sarebbero comunque in grado di farvi giungere ad un responso definitivo. Ho deciso, quindi, che entro il fine settimana mi recherò presso un numismatico professionista, per vedere di avere una esperta valutazione sull'autenticità della moneta e, se questa risultasse "buona", la farò periziare, tanto in quel caso ne varrebbe la pena. Buona serata. ;) Ovviamente vi terrò informati del risultato... :good:2 punti
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Ciao Marco, mi avrebbe fatto piacere se l'avessi presa tu... pazienza! La tipologia, seppur catalogate come tipi differenti, son tutto sommato le stesse, il ritratto giovanile cambia praticamente quasi niente, solo la legenda più spaziata. In mano come la stimi di conservazione? Vorrei rivolgerLe una piccola domanda: Se quella di Gallo per Lei è FdC, e l'ultima postata è "ECZ", quella di mezzo cos'è? L'ECZ è da molti visto quasi come un grado di conservazione a se stante, ma non credo sia così. Io lo vedo come un rafforzativo, un aggettivo come completa uno stato di conservazione che, appunto, costituisce un'eccezione, cioè una cosa davvero inusuale. La conservazione rimane però quella: FdC (quello VERO, AUTENTICO, senza SE e senza MA).2 punti
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Non sono molto ferrato in questa monetazione, pertanto prendi le mie proposte solo come indicazione e per un inizio di ricerca. A mio parere si tratta di monetazione dei re Seleucidi- le immagini potrebbero essere: testa del Re elmato e al r/ Apollo laureato cito Seleuco II° Kallinikos 246-2262 punti
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Ciao Sanni, in effetti, come già accennato al post 39, potrai leggere il mio pensiero personale sull'imprevedibilità della formazione conformazione di una patina. L'omogeneità di questa è un pregio, quando invece appare maculata è un po' anti-estetica e spesso può derivare da precedenti puliture, ma .......... fa parte comunque della storia del tondello e come tutte le cose antiche........... va rispettata. Aggiungo, inoltre, che in alcuni casi una patinatura a "chiazze" o "maculata", nonostante sia anti-estetica, potrebbe celare eventuali difetti di conio superficiali o segnetti vari, ecco perchè prima di pulire una moneta da certe impurità andrebbe valutato bene quello che c'è sotto. :good:2 punti
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Oggi 8 settembre vorrei ricordare un personaggio contro cui la vita ha avuto un accanimento ostile, ma nonostante ciò ci ha lasciato eccelse opere: Carlo Gesualdo da Venosa, principe di Venosa, conte di Conza e signore di Gesualdo. Carlo Gesualdo, noto come Gesualdo da Venosa, principe di Venosa, conte di Conza e signore di Gesualdo, nacque, come testimoniato da due lettere custodite presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, a Venosa l'8 marzo 1566 da Fabrizio II della nobile famiglia napoletana dei Gesualdo e Geronima Borromeo, sorella di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, poi cardinale, canonizzato il 1° novembre 1610 da Papa Paolo V. Ma poi non abbiamo altre testimonianze dell’infanzia del principe, possiamo solo ricostruire l’ambiente nel quale crebbe: la famiglia Gesualdo viveva a Napoli in piazza S. Domenico Maggiore, nel palazzo di Torre Maggiore di proprietà del duca Francesco del Sangro. Il principe Fabrizio II Gesualdo, amante delle lettere e della musica e noto mecenate, molto legato ai Gesuiti, aveva istituito un cenacolo intellettuale e manteneva un gruppo di musici di casa, per cui il piccolo Carlo ebbe preziose occasioni di incontri con musici e compositori. Ma la forte religiosità della famiglia Gesualdo (in famiglia si ricorda che erano viventi due cardinali) si traduceva oltre che in opere di carità, in inflessibilità di costumi e in continue e severe pratiche devozionali: il giovane Carlo fu sicuramente educato secondo i codici spagnoli del blasone, dell'etichetta e dell'onore e una rigorosa formazione religiosa, essendo, in quanto secondogenito, destinato alla carriera ecclesiastica. Era molto attratto e portato per la musica e non mancava di genio compositivo, tant’è vero che all'età di diciannove anni pubblicò il primo mottetto "Ne reminiscaris Domine delicta nostra" ("Perdona, Signore, i nostri peccati"). Amava anche la caccia ed era amorevole verso i suoi sudditi. Ma i progetti vennero stravolti dagli eventi luttuosi del 1584 che colpì la famiglia Gesualdo: morirono il nonno Luigi, lo zio Carlo Borromeo, il primogenito Luigi, fratello maggiore di Carlo, al quale, pertanto bisognava trovargli a breve una moglie per assicurare la discendenza del casato. La scelta cadde sulla cugina Maria d'Avalos, figlia della zia Sveva Gesualdo e di Carlo d'Avalos, conte di Montesarchio Maria d'Avalos era più grande di Carlo di sei anni ed era stata già sposa di Federico Carafa, che morì dopo tre anni di matrimonio, per cui appena diciottenne, si ritrovò vedova, pertanto nel 1580 venne data in sposa ad Alfonso Gioieni, marchese di Giulianova, il quale morì nel 1586. La scelta cadde su Maria d'Avalos, descritta come una donna molto avvenente, perché, essendo vedova e madre era certamente fertile. Si ricorda che i Gesualdo e i d'Avalos erano tra i casati più potenti del vicereame. Il matrimonio avvenne a Napoli il 28 maggio del 1586 con dispensa del Papa Sisto V, nella chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli, che era situata vicino al palazzo dove abitava la famiglia Gesualdo. I novelli sposi (Carlo aveva vent'anni e Maria ventiquattro) disposero il loro alloggio nel palazzo napoletano di Torre Maggiore, mentre il padre Fabrizio e la madre Geronima si ritiravano nel loro feudo di Calitri. Dal matrimonio nacque Emanuele, ma l'unione tra i due sposi fu tormentata. Mentre Carlo si dedicava alla musica, alla caccia, ma anche a giovinetti e donne ambigue, Maria s'innamorò e intrecciò una relazione col duca di Andria e conte di Ruvo, Fabrizio Carafa, sposato con Maria Carafa e padre di 4 figli. Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa si incontravano, perfino nel palazzo Gesualdo e lo scandalo arrivò sulla bocca di tutti. Il principe Carlo Gesualdo era quasi indifferente alla voce, ma era incalzato dalle pressione esterne e soprattutto dallo zio Giulio e infine decise di vendicare il tradimento: Il 16 ottobre 1590 il principe avvertì la consorte infedele che, insieme ad alcuni suoi servi, sarebbe andato a caccia nel bosco degli Astroni per due giorni, ma nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590 tornato di nascosto col seguito di servitori sorprese i due amanti in flagrante adulterio nella camera da letto di Maria e li fece barbaramente uccidere dai servitori. I corpi nudi e straziati vennero mostrati alla città per salvare l'onore del Principe. La mattina del 17 il palazzo fu sottoposto a sequestro. Confessato il crimine al conte di Mirando, rappresentante del re di Spagna a Napoli, i giudici della Gran Corte della Vicaria istruirono il processo, ma il caso fu presto risolto ed archiviato come delitto d'onore sebbene quell'evento, che vedeva coinvolte persone di così alto lignaggio, avesse prodotto un gran rumore. Il conte di Mirando suggerì al Principe di rifugiarsi a Gesualdo per sfuggire all'ira delle famiglie d'Avalos e Carafa, che considerarono grave offesa il delitto compiuto per mano dei servitori. Furono probabilmente le delazioni che imponevano l'obbligo di "vendicare" col sangue l'offesa subita che spinsero il principe Carlo a far compiere la vendetta. Non è da escludere l'eventualità che quel delitto potesse essere anche la conseguenza di oscure trame ordite contro il casato Gesualdo, in quegli anni assai potente, ma mal visto dal corrotto mondo della nobiltà napoletana. Le circostanze lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo, tanto che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò immediatamente a dare notizia personalmente dell'accaduto, lo esortò ad allontanarsi da Napoli non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi. Carlo si allontanò da Napoli e si ritirò nel castello-fortezza di Gesualdo. Nel feudo irpino di Gesualdo, dati i propositi espiatori fece costruire, nel 1592, come si legge sulla lapide apposta sulla facciata dello stesso, un convento per i Cappuccini con la chiesa di S. Maria delle Grazie, a una sola navata, la cui facciata molto semplice e austera presenta sopra l'arco d’ingresso lo stemma del principe Carlo Gesualdo. In questo convento dei Cappuccini dal novembre al dicembre del 1909 soggiornò S. Pio da Pietrelcina, allora Padre Pio. Per il principe iniziò una nuova vita che si intrecciò con la famiglia d'Este. Gli estensi erano vassalli del papato, il che costituiva una minaccia costante per il ducato, e così il duca Cesare d’Este, per salvare il ducato dall’annessione allo Stato Pontificio diede in moglie, sua sorella Eleonora, al principe Carlo Gesualdo, nipote del cardinale Alfonso Gesualdo, Decano del Sacro Collegio. Dopo tre anni e quattro mesi dal duplice assassinio si recò, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino, conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio, il 21 febbraio 1594, con Eleonora d'Este, cugina del duca di Ferrara Alfonso. Eleonora donò al Principe un'armatura cavalleresca mirabilmente cesellata dal più grande maestro armaiolo dell'epoca, Pompeo della Casa, la quale oggi è esposta al museo di Konopiste, vicino a Praga. Da Ferrara gli sposi andarono a Venezia e da qui per mare raggiunsero a metà agosto Barletta, per rientrare a Gesualdo. Durante la sua dimora a Gesualdo il principe si occupava molto di caccia e di musica: nel 1594 compose libro primo (a 4 voci) e libro secundo dei Madrigali (a 5 voci). Nel dicembre dello stesso anno, poiché Eleonora era incinta, ritornarono a Ferrara dove rimasero per circa due anni. Nel 1595 Carlo Gesualdo compose il libro terzo (a 5 voci), tuttavia a Ferrara non riuscì a legare con l'Accademia musicale che non gli permise di recitare il ruolo di "primo attore" e così, dopo la morte del duca Alfonso II d'Este, decise di ritornare a Napoli, lasciando a Ferrara la moglie e il figlio Alfonsino, avuto dalle seconde nozze, ma che morirà in tenera età. Temendo, ancora la vendetta delle famiglie d'Avalos e Carafa, si ritirò definitivamente, nel mese di giugno del 1596, nel castello di Gesualdo, fatto ristrutturare tempo addietro e che perciò non aveva più il rude aspetto di fortezza, ma era divenuto un’accogliente dimora per ospitare, nel vago e inutile tentativo di emulare quella di Ferrara, una fastosa corte canora, costituita dai musicisti più famosi dell'epoca come Scipione Stella, Pomponio Nenna, Filippo Carafa, e uomini di cultura come Torquato Tasso, che scrisse nella "Gerusalemme conquistata" versi bellissimi per la famiglia Gesualdo. In quast’anno compose libro quarto (a 5 voci) dei Madrigali. Nel castello di Gesualdo, di origine longobarda e suo feudo il principe Carlo Gesualdo visse per diciassette anni, ma non trovò mai la serenità che aveva perso a causa del senso di colpa che lo attanagliava. Durante questo lungo periodo, il territorio di Gesualdo godette della magnificenza del principe che, alla ricerca della pace dell'anima e del perdono di Dio, curò il paese con zelo e amore: nel progetto urbanistico rinascimentale intrapreso da Carlo Gesualdo e poi abilmente completato dal suo successore, Niccolò Ludovisi, ogni rione fu dotato di fontane per l’approvvigionamento di acqua potabile. La più suggestiva è la fontana dei Putti del 1605 sita nella scalinata di via municipio con lo stemma di Gesualdo retto da due piccoli angeli, i Putti. Nel 1603 compose Sacrarum cantionum liber primus (21 Motetti a 5 voci) e Sacrarum cantionum liber secundus (20 Motetti a 6-7 voci). A tale periodo risale anche " il perdono di Carlo Gesualdo", olio su tela (cm 481 x cm 310), fatto eseguire nel 1609 da Giovanni Balducci da Firenze, detto il Cosci (dal nome dello zio paterno Raffaele Cosci, presso cui era stato allevato) e che si trova oggi nella Chiesa di S. Maria delle Grazie, gestita dai Padri Cappuccini. Nella tela si osserva l'immagine del principe che, sostenuto dallo zio Carlo Borromeo, chiede perdono per il duplice assassinio a Cristo giudicante con l'intercessione della Vergine, di S. Michele, di S. Francesco, di S. Domenico, di S. Caterina e della Maddalena. Di fronte al principe vi è la moglie Eleonora d'Este in atto di preghiera. Al centro è raffigurato, con le ali di un angioletto, il piccolo Alfonsino, morto nel 1600. È ritenuto dalla tradizione gotico-tenebrista l'icona del pentimento nella quale il principe avrebbe fatto trasportare per immagini la sua macerazione interiore per il duplice assassinio, ma più in generale è da ritenere che il dipinto votivo raffiguri la richiesta di perdono per tutta l'umanità peccatrice. Il dipinto solo dopo il restauro successivo al sisma del 1980 ha ripreso il vero aspetto: Eleonora d'Este era stata coperta con abito da monaca e la Maddalena era vestita con abito accollato; ora Eleonora è vestita "alla spagnola" e la Maddalena ha un vestito scollato (la “vestizione” delle due donne fu conseguenza del Concilio di Trento e della Controriforma che non consentiva di tenere nelle chiese figure poco riverenti al luogo sacro). Dal perdono fra il Principe Carlo Gesualdo ed il figlio Emanuele avvenuto il 2 Marzo 1609 trae origine il “Palio dell’alabarda” che rievoca, con la partecipazione di oltre 200 figuranti, lo storico perdono ricostruito sul sagrato del Cappellone: la tradizione narra che il principe Carlo per esprimere la sua gioia istituì il “Palio dell'Alabarda” che tutt'oggi è disputato Nel castello il principe si dedicò completamente alla musica, scrisse madrigali e mottetti e fece realizzare un teatro per la rappresentazione delle sue opere ed una stamperia, gestita dal tipografo Gian Giacomo Carlino, per la pubblicazione dei testi musicali, molti dei quali furono stampati nella tipografia installata nel castello. Nel 1611 compose libro quinto (a 5 voci), libro sesto (a 5 voci) dei Madrigali e Responsoria et alia ad Officium Hebdomadae Sanctae spectantia (a 6 voci) Nonostante il sereno ambiente in cui Carlo si dedicò alla musica e alla caccia le sue condizioni fisiche e psicologiche continuarono a deteriorarsi e preda di ossessioni religiose giunse a violente pratiche autopunitive. Il 20 giugno 1613 morì, cadendo da cavallo, anche il primogenito Emanuele, unico suo erede, e il principe Carlo si ritirò in una stanza del castello, dove morì l'8 settembre 1613, all'età di 47 anni. Fu sepolto nell’allora cappella di famiglia, oggi cappella di S. Ignazio della chiesa del Gesù Nuovo. Con lui si estinse il grande casato dei Gesualdo. Nel 1626 fu pubblicato postumo il libro settimo Madrigali (a 6 voci). La vita per Carlo Gesualdo fu certamente molto dura: intorno a lui, colpito da sofferenze fisiche e psichiche e da lutti molto dolorosi, come la morte dei due figli Alfonsino ed Emanuele, si creò una fama sinistra, tant è che oggi è ancora considerato come uno dei più inquietanti personaggi della storia della musica; così scriveva Igor Stravinsky "Don Carlo Gesualdo, principe di Venosa, Conte di Conza: un compositore tanto grande quanto inquietante". Mentre dovrebbe essere ricordato per la sua opera musicale, di cui la più nota è composta da sei libri di Madrigali, due di Sacrae Cantionis ed una di Responsori e quale autore di alcune musiche strumentali, e genio della polifonia (Giovanni Battista Doni, erudito e teorico musicale del Seicento, nel 1635 fu il primo a definirlo "un genio della musica"). Fu infatti il primo ad alterare di un semitono gli intervalli melodici, creando nelle armonie originali squilibri delle tonalità. Questa sorta di cacofonia musicale, unita ad un'intrinseca passionalità, lo portò a comporre le celebri polifonie dei madrigali a cinque voci, che hanno ispirato nei secoli musicisti come Stravinsky, ma anche la moderna dodecafonia e cantautori come Franco Battiato. A lui si è ispirato anche Wagner.2 punti
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Il Circolo Numismatico di Parma sarà aperto a tesserati e NON, la seconda domenica di ogni mese, anzichè la prima, a partire da ottobre (domenica 13). Siete tutti invitati, per passare una bella mezza giornata tra monete e chiacchiere numismatiche. Non mancherà il lieto fine davanti a un bel piatto di taglatelle al ragù di culatello.... che tanto successo aveva riscosso a luglio :drinks:1 punto
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Riporto parzialmente dalla versione online di PN: La quarantesima edizione delle Giornate Filateliche e Numismatiche Massesi che si terranno, come tradizione, a Ronchi, sabato 11 e domenica 12 ottobre 2014, vedranno un gradito ritorno. Il Consiglio direttivo del Circolo Massese ha infatti deciso di riprendere, dopo anni di silenzio, la tradizione di dare alle stampe un notiziario filatelico-numismatico. I Quaderni del Circolo Filatelico e Numismatico Massese-Nuova Serie verranno distribuiti nei locali del Convegno. L’occasione è dulplice, dato che in concomitanza si terranno le celebrazioni per il 350° anniversario dell’elevazione di Massa in Ducato e di Carrara in Principato (1664-2014), in onore dei quali verranno realizzati uno speciale annullo filatelico e una cartolina ispirati alla bella e rara medaglia di Alberico II Cybo Malaspina. Il volume, realizzato dal sodalizio guidato dal presidente Roberto Manzuoli, non è un semplice notiziario relativo alle attività del Circolo ma presenta diversi articoli dedicati alla filatelia, alla numismatica e alla cartofilia. La parte numismatica, dedicata in particolare agli studi malaspiniani, può pregiarsi della firma di Maurice Cammarano in una addenda al suo Corpus Luiginorum. Non mancano, poi, le segnalazioni di esemplari inediti della zecca di Massa di Lunigiana ed un aggiornamento sui leowenthaler di Carlo I Cybo Malaspina, inedite considerazioni sulle Sedi Vacanti e sulla circolazione monetaria in Lunigiana. Chiudono la pubblicazione una visita virtuale alla città di Massa e ai suoi monumenti attraverso le medaglie e alla principale piazza Aranci attraverso le cartoline.1 punto
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Vorrei raccontare un episodio che accadde negli anni ’30-40. C’era una famosa studiosa di monete romane, Lorenzina Cesano, che ebbe modo di esaminare sul mercato antiquario un sesterzio inedito di Otone (quando si sa che questo imperatore non coniò nessuna moneta di bronzo per la zecca di Roma, ma solo come emissioni provinciali ad Antiochia ed Alessandria). Nel suo lavoro poi pubblicato, di ben 25 pagine: Cesano S.L., Sesterzio unico e inedito dell’imperatore Ottone, Atti e Memorie dell’Istituto Italiano di Numismatica, vol. 6, Roma 1930, p. 117-133 cercò di confermare l’autenticità di questo inedito sesterzio: D/: IMP M OTHO CAESAR AVGVSTVS [TR P] Testa laureata di Otone a destra R/: VICTORIA AVG S C Vittoria a sinistra con corona e palma g. 21,80 mm. 33-34 Circa la provenienza della moneta, la studiosa ha appurato solo che veniva da Roma ed era stata rinvenuta in parte illeggibile per incrostazioni e che solo dopo una buona ripulitura si poté leggervi il nome di Otone. Lei era sicura della sua autenticità ed ecco come si esprimeva: “esso è … coperto di uniforme ed omogenea patina verde scuro, cristallina; scheggiato superficialmente nel segmento inferiore, sotto il collo del ritratto e al bordo, lascia intravvedere il metallo cristallizzato dell’interno. Il pezzo è stato ribattuto ai bordi, i quali si rialzano sensibilmente sui due piani del diritto e del rovescio, dando al pezzo una duplice leggera concavità che ne diminuisce il diametro, onde assume l’aspetto dei pezzi antichi a bordi ribattuti, ben noto ai numismatici.” Poi analizza i tipi. Per il diritto sostiene che un antico incisore ha inciso un nuovo conio per Otone, utilizzando un vecchio conio di Nerone imberbe e lo ha ritoccato esclusivamente nella capigliatura, eliminando soprattutto le lunghe ciocche sull’occipite e sul collo, per modificarla al fine di avvicinarsi alla nota parrucca di Otone. Per il rovescio il tipo è stato elaborato sulla base di noti aurei e denari d’argento di Otone con la Vittoria: da UBS 78/2008, 1536 Per il resto la Cesano fa solite disquisizioni accademiche, che qui non interessano, salvo che poi conclude che si è di fronte all’unica testimonianza di un reale sesterzio a nome di Otone, al di fuori delle numerose falsificazioni che furono perpetrate già dai tempi del Rinascimento, specialmente ad opera di Giovanni Cavino (detto il Padovano). Circa l’assenza di emissioni note di bronzo per la zecca di Roma sotto il regno di Otone, molto è stato discusso. Infatti a diversi studiosi è apparso strano che Otone, a differenza del suo predecessore Galba e del suo successore Vitellio, non avesse coniato a Roma alcuna moneta enea. Le ragioni probabilmente risiedono semplicemente nel fatto che al suo tempo ancora circolava una enorme quantità di bronzi emessi dai precedenti imperatori delle famiglie Giulia e Claudia. Questo rese al momento superflua, almeno nei soli 95 giorni del suo regno, la coniazione di sesterzi e di altri nominali di bronzo a nome di Otone, preferendo la coniazione di aurei e di denari che servivano alle sue fedeli truppe. Probabilmente, se fosse tornato a Roma da vincitore contro il nuovo avversario, Vitellio, avrebbe iniziato a coniare anche i bronzi. Un altro fattore da tenere conto è che la emissione di bronzi romani cade sotto la dipendenza del Senato romano e Otone era notoriamente inviso, almeno nei primi tempi, al Senato (come fanno capire chiaramente Plutarco e Tacito). Il suo potere era soprattutto in mano ai pretoriani (Svetonio fu esplicito a dichiarare che Otone spese circa un milione di sesterzi per corromperli: ogni pretoriano avrebbe ricevuto prima 10.000 sesterzi durante la congiura contro Galba e altri 50.000 sesterzi dopo la proclamazione a imperatore). Invece perse la guerra contro Vitellio e morì suicida nel 17 aprile 69 d.C., a 37 anni, a Brixellum (l’attuale Brescello, famoso per i film con Don Camillo e Peppone). Grazie alla comparsa di un successivo articolo: Albizzati C., Varietà di Museografia Numismatica, Numismatica, Santamaria Anno VII, Roma 1941, pag. 1-5. ho scoperto che la Cesano, dopo la pubblicazione del suo dotto articolo, fece acquistare il sesterzio di Otone dal Museo Nazionale Romano per la bella somma di 6000 lire (dell’epoca). “La buona fede del venditore era coperta dalla competenza di chi aveva deciso e autorizzato l’acquisto”. Albizzati rivela che Ludovico Laffranchi, noto studioso di numismatica imperiale romana, aveva mostrato seri dubbi sull’autenticità, sostenendo che la moneta “sarebbe semplicemente un gran bronzo di Galba, pasticciato da un cesellatore secondo la tecnica consueta di certi imbroglioni”. I principali indizi di frode erano: 1) Peso mancante: un peso di 21,80 è veramente scarso per un sesterzio d’epoca, che pesa di solito 27 gr. Trattandosi di un bronzo rilavorato, la diminuzione di peso diventa spiegabile, in quanto il bulino toglie e non aggiunge il peso). 2) Modellazione incongruente: il ritratto non è quello di Otone e la Cesano aveva giustificato come un conio di Nerone aggiustato per adattarlo al nuovo imperatore. La scusa appare modesta. “perché l’incisore “senatorio” avrebbe dovuto ridursi ad abborracciare uno sgorbio iconografico?.... Se l’incisore copiava un Nerone, come ha creduto la prof. Cesano, lo poteva copiare un po’ meglio. Qui, la mandibola e il mento hanno le forme tipiche dei ritratti di Servio Sulpicio, ed è assai più logico pensare a un Galba, ringiovanito per l’occasione da un cesellatore moderno: mi sembra ben difficile spiegare il fatto diversamente”. 3) Iscrizione sospetta, tanto nell’aspetto epigrafico quanto per la paleografia: “Sembra che all’incisore mancasse un criterio nel calcolare la distribuzione della formula epigrafica, pur tanto comune: non ha voluto rinunciare alle ultime cinque lettere di Augustus e gli è mancato lo spazio per la terminazione consueta di tre lettere, TR(ibunicia) P(otestas). La signorina [Cesano] le supplisce nella sua trascrizione, ma non vedo, sul metallo come mai ci potessero stare”. Inoltre “lo stile dei singoli segni, nell’epigrafe, è di una vacuità quasi infantile….. basta vedere quant’è incerto e mal condotto il cerchio dell’O e quanto meschino l’angolo dell’A , specialmente nel 1° del diritto, mancante della traversa, con aste ineguali e senza accenno di apice. Il modo poi d’appiccicar le lettere contro la testa, è semplicemente odioso e, per così dire, del tutto antiromano, ché il distacco tra figura e scritto, anche quando è minimo il solco, mette sempre in evidenza il senso profondo del chiaroscuro, peculiare all’arte di Roma, e rende maestosi anche i conii più rozzi”….. Resta interessante e istruttiva questa testimonianza su una vecchia contraffazione di Otone, che ha ingannato pure una studiosa del calibro della Cesano (della quale però dobbiamo dubitare circa le sue reali capacità di riconoscere vecchi falsi ed è noto il suo violento attacco, con argomentazioni basate solo sullo stile, contro l’unico aureo noto degli Italici, presente nel medagliere di Parigi, quando molto probabilmente è invece autentico….), fino a fare spendere dallo Stato una bella sommetta per averla nel Museo. Piuttosto sarebbe utile provare a capire come un moderno incisore abbia potuto ricavare un simile falso. Secondo il Laffranchi, ripreso da Albizzati, probabilmente era partito da un sesterzio di Galba come il seguente: Non so se la teoria della semplice rilavorazione di un sesterzio autentico di Galba possa spiegare tutto, ovviamente seguita da accurata ripatinatura (e siamo alla fine degli anni '20)…. Qualche parere?1 punto
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Vediamo se riesco a far andare di storto la cena a qualcuno a caso......con questo altro bel lato da visionare1 punto
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Sono contento dell'ottimo esito del primo incontro :) Ho soltanto lanciato un piccolo sassolino,e ripeto sono contento che l'idea vi sia piaciuta :) Attendiamo allora l'organizzazione del secondo incontro :)1 punto
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il DOC certamente Dumbarton Oaks collection vado a memoria: dovrebbe essere il quarto volume (diviso in due parti) a cura d Michael Hendy.1 punto
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Ciao! la S coricata che si vede a ore 9 della prima foto è quella di S. Marco e stà nella parte concava, mentre il nome del doge è sulla parte convessa; tra l'altro l'uso dei punzoni per formare la legenda non aiuta....1 punto
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vabbè cedo... ti posto anche la mia :) (variante senza simboli e/o lettere) non di conservazione eccelsa, ma sul fondo presenta le tipiche striature di conio dei soldini coevi.1 punto
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Dai Medusa, spero che con Agosto ce la farai a vincerlo un titolo mensile! ;) Comunque c'è stata grande lotta a Luglio!1 punto
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Eh...eh....@@francesco77 hai dimenticato un piccolo particolare che ho il piacere di raccontarVi...... :rofl: Quando andavo a scuola, alle superiori, a Caserta...spesso "marinavo" e sai dove passavo le giornate aspettando Pulman pieni di giovani "ragazze" della mia età che facevano gite scolastiche ? ........ nella Reggia di Caserta....... ahahah....ah I Leoni sono sempre rimasti nella mia memoria.....Francè Rappresentano la "potenza" ma anche la ragione, ma per ben governare era necessario anche il "Merito" che è stato riprodotto nella fig. 2 che hai postato.......sul capo logicamente la corona d'alloro, nella mano dx un libro e nella sx una spada....ma credo che il giovane (non conosco chi sia) stesse facendo anche altro....perchè per avere meriti è necessario anche oltrepassare enormi difficoltà. Carlo è tra le due perchè governa e controlla. :pleasantry:1 punto
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tranquilli che neanche per me è FDC :D non litigate per questo,sennò smetto di postare monete mie...:) per le foto a luce naturale vedo se riesco nel weekend...purtroppo arrivo a casa a quest'ora e già c'è una luce in casa mia che è na chiavica :D per fab :quella ex demicheli l'ha presa un mio amico ;) ...è sicuramente più forte ma non ho mai nutrito questo dubbio...è vero che son tipi monetali diversi ma le tue postate son più belle punto e basta ;) qualcuno si sbilancia sul quanto si doveva pagare? grazie a tutti marco1 punto
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80 euro la 2 lire 1907 in MB. Ok, a breve posterò qualche immagine a titolo di esempio del lavoro effettuato sulle monete per Napoli e Palermo, è stato effettuato un lungo lavoro di rettifiche tra il 2014 e 2015. Ciao1 punto
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La ditta citata da @@aemilianus253 .. è seria....... non credo che abbia bisogno di cercare il ...pollo di turno.... inoltre se non ci fai vedere la moneta , come puoi pensare che si possa dare una valutazione ??1 punto
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Year1964 Value Half Dollar = 50 Cents Metal Silver (.900) Weight 12.5 g Diameter 30.61 mm Questa è la scheda del Mezzo Dollaro Kennedy. Una curiosità: dopo l'uccisione di Kennedy fu subito considerata l'idea di coniare una moneta in memoria del presidente e si racconta che subito fu pensato al mezzo dollaro. C'era però un piccolo problema, la legge imponeva che il disegno di ogni moneta emessa per la circolazione fosse mantenuto uguale per almeno 25 anni e il mezzo dollaro Franklin era in circolazione da solo 15 anni. Ma dopo poche settimane il Congresso americano modificò la legislazione corrente e coniò i primi mezzi dollari in argento 900.1 punto
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Eccezzionale non mi sembra... Se questa di gallo è eccezionale (sempre con rispetto parlando), allora questa cos'è? (oltre che fdc VERO)?1 punto
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Bella moneta sicuramente, con un bellissimo ritratto senza strappi e debolezza, ma senza alcuna offesa ci mancherebbe, ma giusto a titolo di paragone, dalla foto non mi sembra meglio di questa (che per inciso non giudico FdC ma non circolata sicuramente). Il rilievo della guancia, giusto a titolo di paragone, ha perso notevole freschezza, che invece quest'altro esemplare mantiene ancora, come è chiaramente visibile dalla foto (scattata ai tempi che furono con una vetusta digitale). per cui, dalle foto, mi fermerei allo Spl+ (o tra Spl e qFdC al massimo) P.S per gallo: te la potevi prendere quando ne avevi occasione... :( aveva anche un bel pedegree1 punto
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Magari quella apparentemente contraddittoria? Cioè quella con Vittorio Emanuele II? Quindi Ricciardi 257? Anzi PROPRIO quella? Oggi, tra l'altro, è 8 settembre... :crazy:1 punto
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A me sembra buona, solo che non è nabatea... è un bronzetto commemorativo CONSTANTINOPOLIS / vittoria su propra della zecca di Antiochia, databile al 335-337 d.C. coniata da Costantino Magno. Sono monete piuttosto comuni, personalmente non la pagherei più di una dozzina di euro. Il valore dipende molto dalla conservazione, di seguito due esempi, la prima ha realizzato 120 sterline, la seconda è andata invenduta con una base d'asta di 5.1 punto
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E smettila che le Hawaii mi mancano :-D bellissima Sent from my GT-I9105P using Lamoneta.it Forum mobile app1 punto
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Degli esemplari del mezzo filippo Caracena conservati nelle CRNM uno è si e no un MB; è vero che gli altri 3 esemplari sono di bella conservazione, particolarmente i due riprodotti anche sul Crippa, ma a cercarne se ne vedono in genere abbastanza circolati. Poi sarà anche questione di fortuna o di esperienza personale: io ne ho viste sempre piuttoso bruttarelle, e per questo sono convinto che abbiano avuto regolare circolazione. Che sia un'emissione "speciale" credo ci siano pochi dubbi (il Crippa la mette tra le emissioni speciali, al pari di pezzi come i due ducatoni o i grandi multipli in oro). Anche l'uso di più di una coppia di conii dovrebbe documentare che vi sia stata una coniazione apprezzabile, difficilmente riservata ai soli omaggi alle autorità. Almeno questo è il mio pensiero. Un esemplare sotto il BB, per esempio, è passato alla Cronos 3, e anche l'esemplare passato nella Negrini 28 era parecchio "vissuto", nonostante la generosa valutazione di qSPL (personalmente a fatica l'avrei indicata BB - trovo più gradevole quello venduto da Crippa)1 punto
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@@numa numa il grosso mostrato da @@Ramossen fa parte della tipologia di quelli con stemmi delle famiglie dei senatori (li vedi sotto il leone anche se un po' pasticciati). @@adolfo saprà sivuramente dirci di più @@magdi i grossi di Brancaleone differiscono da quello postato. Hanno uno stile più curato e portano il suo nome. La differenza tra il primo ed il secondo incarico... non si sa. Se ricordo bene l'articolo di Grierson in merito, si suppone che le monete recanti il suo nome siano state coniate già durante il primo periodo. Molto probabilmente i grossi anonimi con la m di MVNDI in stile gotico sono stati coniati nel periodo immediatamente successivo. Mentre per quanto riguarda i grossi del secondo senatoriato - sempre se ricordo bene - pare che un'ipotesi sia quella che li identifica con le monete che hanno le colonnine del trono diseguali (una più alta l'altra più bassa), ma si tratta solo di una supposizione senza alcuna base documentale. Successivo a queste emissioni (e precedente le emissioni di Carlo d'Angiò) il grosso in allegato, con legenda contratta in CAP' MVNDI (anziché CAPUT e con la M "latina").1 punto
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Anche questo bellissimo disegno riportato da RobertoRomano e' una interessante dimostrazione di come l' antico muro perimetrale del Mausoleo sopravvisse in buona parte almeno fino al 1400 , forse furono aggiunti solo i merli in alto sul muro per migliorarlo nella sua funzione di "castellum"1 punto
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A parte che del regno non sono un grande intenditore, però 100 € per moneta, per un ragazzo che inizia e che non guadagna mi sembra di tutto rispetto, anche se per il FDC è un po' pochino per tutte le tipologie. Per me dovresti acquistare quelle in FDC che non superano il tuo limite di spesa (non so quante però si deve pur iniziare da qualche parte), poi acquistare quelle anche non FDC che non superino il tuo limite. Per ottimizzare il tuo capitale devi frequentare un po' di mercatini, andare nei negozi di numismatica (a Firenze c'è ad esempio Numismatica Fiorentina, un po' cara ma trovi sempre qualcosa, e li trovi anche sul web) e seguire anche le aste telematiche. Comunque non ti fissare mai su una moneta soltanto, perché più ti fissi su di lei più non riuscirai a trovarla, come da esperienza personale. Poi quando meno te lo aspetti salterà fuori.1 punto
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Vai dove ti dice il cuore. Se rinunci alla tua collezione per cosi' poco, forse non era amore :)1 punto
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Non credo proprio che la GDF possa sequestrare quel tondello... Se vergine da ambo lati, non può trattarsi di moneta con errore. È un tondello metallico e null'altro. Oggetto interessante per i "perversi" come noi, ma null'altro...1 punto
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Buona Domenica Anche per me è un soldino di Andrea Contarini. Il corno che sembra troncato non è un'eccezione, capita spesso, anche perché pure nei tipi meglio conservati si vede che la stoffa sopra il cerchio gemmato è appena pronunciata; all'epoca il tessuto era ancora floscio e non rialzato e rigido (e caratteristico) come lo sarà in futuro. Certamente si tratta di un difetto di coniazione. saluti luciano1 punto
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Salve. È sicuro che sia Torino, 1826 L. Se vedono bene la losanga (con L incusa, non visibile), e la testa d'aquila, in basso sul rovescio. Buona domenica.1 punto
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Certo, certo ci si può più o meno adattare. Ad esempio la raccomandata1 è forse il servizio delle poste che funziona meno peggio imho. Questo si potrebbe scegliere. O anche i servizi di ritiro online già citati che ormai si trovano a meno di €7. Anche se ormai, almeno dalle mie parti, bisogna stare attenti ed imparare a conoscere gli operatori della zona che a volte fanno delle enormi stupidaggini. Tipo lasciare il pacco sull'uscio di casa (firmano loro, cosa gravissima) o lasciare il pacco al "vicino" di turno e così via.1 punto
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Precisamente. Non possiamo inserire il nome del precedente proprietario, salvo che la moneta provenga da una vendita pubblica in cui la titolarità è citata( quindi, ad esempio, ex Coll.Rocca va bene, perché c'è stata un'asta pubblica così intitolata, ex Tizio no, perché Tizio magari non ha piacere di far sapere cosa ha venduto e a chi), ma resta il fatto che compilare un certificato di autenticità e provenienza significa che abbiamo un file in cui risulta l'acquisto , eseguito secondo le norme di legge, di quella moneta in cui vi sono i dati del cedente e la storiografia dei passaggi di mano fin dove possiamo umanamente arrivare. Altro non è legalmente richiesto dalla vigente normativa, quindi una volta seguite queste regole il possesso del bene è regolare, anche in caso che vi siano documentazioni mendaci tra quelle da noi legalmente esigibili nei confronti del venditore e da lui forniteci. Purtroppo, sempre in base alla normativa vigente per la privacy, non è possibile attuare ricerche ulteriori o chiedere informazioni parallelamente, per la questione della privacy e dei limiti di azione privata, ma nessuno avrà niente da ridire su acquisti effettuati seguendo queste regole anche nella remota eventualità ipotizzata e non avrà legalmente nulla da temere l'acquirente finale.1 punto
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Un ragionamento che fila ma che mal si concilia con la la tutela della privacy del precedente proprietario. Probabilmente il Professionista deve registrare questo dato in quanto potrebbe essere tenuto a risponderne, ma al collezionista dovrebbe essere sufficiente la garanzia di lecita provenienza offertagli dal venditore per evitare accuse... che poi la moneta gli possa essere comunque sequestrata è un altro paio di maniche ma la responsabilità ricadrebbe sul venditore professionale.1 punto
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