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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 08/12/12 in tutte le aree
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Penso che ogni tanto si debba anche ritornare su discussioni fatte tempo fa, se ci sono di mezzo due o tre anni la visuale può essere molto diversa, possono esserci nuovi utenti o possiamo avere dei riscontri diversi completamente. Recentemente è apparsa " Qual'è " che sostituisce " La moneta più bella " che feci tempo fa, il periodo ferragostano certo non aiuta, ma mi sembra già di poter dire che tra le due discussioni sopra citate ci siano delle grandi differenze, che se vorrete potremo anche vedere insieme. Ora " Desiderio numismatico " che sostituisce il sogno numismatico che feci tempo fa, anche in quel caso ci fu un indirizzo preciso e forte su cosa voleva l'appassionato di numismatica. Desiderio, sogno, è un qualche cosa che vorreste nella numismatica che oggi non c'è, e magari rimarrà solo un sogno, non si realizzerà mai ; vorrei che ci fosse possibilmente una risposta da parte dei giovani che sono il nostro futuro e che la risposta non fosse vorrei una bella moneta d'oro, questa la vorremmo tutti. Una risposta su mancanza di iniziative, eventi, libri, periodici, circoli, musei, catalogazione di monete non fatte nelle nostre strutture, digitalizzazione di contributi, esposizione di monete nei musei,leggi migliori e più chiare per la nostra numismatica,aste,perizie,tanti possono essere i sogni nel cassetto, grandi o piccoli che siano, facili o difficili da raggiungere, tutti ne abbiamo. Ne ho anch'io ovviamente, forse alcuni potrebbero avere luce, altri penso proprio di no, ma d'altronde a ferragosto si può prendersi una pausa e sognare, sognare non costa nulla... P.S. La discussione credo sia di quelle in cui tutti possono partecipare dall'esperto, a chi inizia coi primi passi nella numismatica, vediamo se ne esce qualcosa di nuovo a distanza di tempo. Nel frattempo auguro buon ferragosto a tutti in particolare a chi è solo o a chi si sente solo, d'altronde quante volte abbiamo detto che il numismatico è sognatore e solitario ? Forse lo siamo un pò tutti..... Mario1 punto
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E' un periodo propio brutto,ultimamente di Numismatica vera non si discute piu e quando ci si prova succede sempre qualcosa che devia la discussione. Forse è il momento di bloccare subito tutti i post HOT di chi sono sono,altrimenti non si finisce mai una discussione nel giusto modo. Almeno io su questo forum ho imparato molto anche se è accaduto specialmente nei primi anni ma ora non sento o meglio non leggo piu parole numismatiche..... conio ,virola,collare,battitura,fusione addirittura il Contorno ora è definito Bordo. Non è bello essere ripresi ma se nel giusto contesto e nel giusto modo solo uno stolto rifiuta d'imparare per migliorarsi. Speriamo che sia solo per via del mese Agosto.......... O forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa,non lo so, ma mi dispiace non leggere piu certi interventi costruttivi e sopratutto educativi numismaticamente. Buona serata a tutti,Fabio1 punto
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Si hai ragione su questo, ma la differenza con le tue inserzioni e che le tue possono trarre in inganno...tutto quì. Non ti conosco ma dal momento che ti sei fatto avanti , sono convinto che sei in buona fede.1 punto
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Come fai a comprare delle monete prima che siano uscianite ? Prima devi aspettare che le escano fuori dalle banche. :lollarge:1 punto
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In realtà molto pochi ci speculano... Ma come si è già detto più volte, la speculazione è alimentata dagli acquirenti spesso troppo frettolosi. Inutile lamentarsi della speculazione quando ogni volta che c'è un'emissione che qualcuno preannuncia "rara" si genera la gara per accaparrarsela.1 punto
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Io mi chiedo perchè un genovese ha comprato :D Per ciò che concerne il tuo Pierreale postato,diz.,debbo dire che non risultano Pierreali studiati con quel segno o altri segni accanto alle ali dell'aquila.Ho detto "non risultano" ma non che non esistono dal momento che il segno è presente sulla moneta del nostro catalogo ed è presente nella tua proprio allo stesso posto. Non vorrei sbagliarmi ,ma secondo me ,le due monete appartengono allo stesso conio perchè recano una mancanza di conio sulla croce ,ad ore 12,forse dovuta a conio stanco. Ad ogni modo non so dirti cosa rappresenti in termini figurativi quel segno che non di certo si tratta di un giglio dal momento che era simbolo della Francia e dei d'Angiò,ammenochè non sia proprio un giglio inserito come simbolo di rivalsa dallo zecchiere che teneva per gli angioini,ma non credo. Le iniziali del maestro di Zecca non sono poichè trattasi di Raimondo Romano. è di sicuro una moneta interessante!!! --odjob1 punto
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L'articolo di Arles è molto interessante in quanto descrive un procedimento di bianchitura complesso, con l'utilizzo di mezzi sia metallurgici/meccanici (i cicli ripetuti di martellamento e ricottura) sia chimici (la fase finale del trattamento con acidi). Mi sembra che questo procedimento avesse lo scopo di ottenere monete con l'aspetto esterno dell'argento puro (ottenuto dopo il trattamento chimico definitivo) partendo da lingotti di mistura che avessero già la giusta lega (come è detto esplicitamente nella descrizione degli "undici passi" del procedimento), cosa che ha evidenti vantaggi dal punto di vista della gestione della zecca. Evidentemente la fase di martellamento e ricottura ha lo scopo di indurre la migrazione dell'argento verso la superficie ottenendo uno strato esterno già arricchito, il che permette di limitare al minimo il trattamento chimico (questo, tra l'altro, ha il difetto di disperdere in soluzione anche una certa quantità, anche se piccola, d'argento). Probabilmente lo stesso effetto finale si potrebbe ottenere con il solo "decapaggio" con acidi (il "depletion silvering" nominato nella parte introduttiva dell'articolo e descritto anche, ad esempio, da Finetti nel suo noto manuale) ma, probabilmente, questo richiederebbe di rimuovere una quantità maggiore di rame e quindi di partire da una lega sensibilmente svilita rispetto a quella del prodotto finito (nei casi sperimentali descritti nell'articolo lo strato interessato dall'arricchimento di argento è di circa 10 micron, cioè 1/100mm, che su ciascuna faccia di una moneta spessa circa 1 mm fa una differenza piccola ma non trascurabile) e forse anche da trattare in modo meno controllabile. Spero di essermi capito :crazy:1 punto
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Ha ragione Caio. Dovrebbe essere il RIC IX 38 c variante 4 (e non la 2), BSISC dot in esergo.1 punto
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Salve,anche se è un errore comune a molti pezzi voglio segnalarlo Ducato 1684 La O di NON è ribattuta su una V.1 punto
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a mio giudizio....Non circolata con segnetti di contatto bellissima patina ...originale...1 punto
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Salve, su segnalazione di un amico.... giusto per puntualizzare..... la moneta e' periziata da me.....ma NON E' MESSA IN VENDITA DALLA NOSTRA DITTA.... scusate l'intervento....ma mi sembrava giusto puntualizzare1 punto
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Purtroppo no, io visto la bassa tiratura e il fatto dei soli 17.000 pezzi ( 15.ooo + 2000) speravo salisse un poco, invece niente, e ne ho 3 div fdc...ancora adesso spero, ma il prezzo non si muove Siamo su 2 pianeti completamenti diversi, da collezionista spero sempre che le monete non siano soggette a speculazione.1 punto
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Caro Adolfo...immaginavo :) : e grazie per avermi offerto il destro per dire certe cose, che spero in qualche modo utili a chi non conosce ancora certe cose, per cominciare a fare un poca di chiarezza (ma sul forum ci sono persone più esperte di me, come vince ad esempio) su dei temi che vanno al di là dei nostri cari denari lucchesi. A proposito dei quali: ma insomma cosa c'era scritto sul rovescio di quel denaro di Valerio ;) ? E gli altri quesiti di adolfos sulla bianchitura...? suvvia, che le olimpiadi sono quasi finite! Un caro saluto MB1 punto
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Chiedo scusa se non sono stato chiaro, Da cosa mi devo difendere se tutte le mie monete sono accompagnate da fattura o ricevuta? Perchè devo pagare un legale se non ho niente da nascondere e quindi non c'è niente da cui mi devo difendere?Maurizio1 punto
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Caro Adolfo e cari tutt*, effettivamente il discorso del grado di precisione di certe misurazioni e della tolleranza va sempre tenuto in considerazione, ma questo non inficia in sé e per sé il discorso delle possibili analisi archeometriche, che se ben progettate e mirate possono servire a definire la quantità di fino ovviamente nella media, ma anche altri importanti aspetti, come: la presenza di certi metalli in traccia che potrebbero aiutare - a seconda dei nominali, della tipologia e della ricorrenza negli esemplari analizzati - ad indicare la possibile fonte del metallo prezioso; oppure la presenza di mercurio o solfuri vari legati al processo produttivo che possono appunto aiutare a capire i vari passaggi tecnologici utilizzati durante la realizzazione del tondello e la coniazione. La cosa che volevo semplicemente sottolineare è che ogni metodica ha delle peculiarità e vanno conosciute bene, così come diversi nominali e diverse serie monetali hanno delle caratteristiche differenti, che magari per ottenere certi dati richiedono l'utilizzo di una tecnologia piuttosto che un'altra. Inoltre va valutata la condizione di conservazione e la rarità della moneta. Infine, ma non meno importante, molto dipende da quello che si vuole sapere, ovvero quali sono le domande alle quali con certe analisi si vuol cercare di dare una risposta. a) Se volessi accertare il contenuto di fino, almeno da quello che posso sapere io, si può usare tranquillamente l'XRF o PIXE sui grossi ad esempio, o sui denari del periodo ottoniano e gli Enriciani fino ad Enrico III, ma francamente per quelli del periodo successivo le accompagnerei o userei assolutamente anche altre metodiche, per i problemi già enunciati un paio di post or sono. b) D'altro canto le analisi per attivazione neutronica o protonica (DPAA: http://www.cultura-t.../act/act.00158/ ) hanno il problema della radioattività da gestire sia durante l'analisi, che dopo sul pezzo monetale (dopo un poco si normalizza tutto...), oltre che dei costi e della non portabilità del macchinario per l'analisi, mentre le analisi distruttive si possono fare solo su pochi pezzi. c) LIBS (http://en.wikipedia....wn_spectroscopy ) è una buona via di mezzo, perchè esistono dei macchinari piccoli e portatili, ed ha anche una certa capacità di penetrazione oltre la superficie del tondello se il fascio del laser è ben potenziato, ma lascia un piccolo forellino (microscopico ...ma appunto al microscopio si vede...) sul tondello. In genere per i denari et similia in lega d'argento sotto una certa quantità (e per tutte le misture, direi) se possibile è bene progettare campagne di analisi "scalari": ampie a livello di numero esemplari analizzati con l'XRF o PIXE, con verifiche a seconda delle monete e dei fondi a disposizione con metodiche a maggior penetrazione su un numero più limitato di esemplari (DPAA), e con riscontri con analisi distruttive su uno o due pezzi per raggruppamento individuato. Il problema è che spesso non si hanno denari e tempo, oppure tutti i materiali a disposizione per fare tutte queste cose, ed allora spesso se ne fa solo una parte, anche se secondo me se non si leggono bene i dati ottenuti e non si "relativizzano" (XRF e PIXE sono superficiali, DPAA e distruttive si possono fare su pochi pezzi e non si hanno numeri sufficienti per avere i dati della "media") c'è il rischio di lavorare su elementi non del tutto veritieri, fino a prendere anche delle "cantonate". Oggi quindi il rischio è quello della pseudoscientificità di certi dati che solo per essere stati ottenuti con certi procedimenti spesso sono presi per assolutamente per validi, ma per questo non si può rinunciare all'apporto che queste tecniche di analisi possono dare: bisogna solo cercare di essere informati e consapevoli dei vari aspetti sopra enunciati, come ho già detto per non perdere tempo, denaro e soprattutto avere e diffondere dati solo apparentemente solidi. Queste sono cose che i numismatici di professione sanno bene, e ve le riferisco perchè vedo che molti appassionati vi si stanno avvicinando, ma talvolta senza la necessaria informazione. (continua e finisce con le fonti scritte nel prossimo post...MB)1 punto
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Ringazio Visconte dell'attenzione. Per quanto riguarda IERANTO per IRNI la mia ipotesi si basa solo sul nome e sulla circostanza che gran parte dei ritrovamenti riguardano la penisola sorrentina (bisognerebbe forse localizzarli rispetto alla baia di IERANTO, che è vicinissima a Punta Campanella: Per quanto riguarda VELECHA, allego il resto dell'articolo di cui ho già inviato la prima parte al forum, dove ho sintetizzato la situazione delle emergenze archeologiche pre-romane nella valle del Sabato. Comunque ho molto altro materiale, che è a disposizione. Credo che un testo utilòe per inquadrare il fenomeno dell'urbanesimo antico (VI-V secolo) in Campania sia Cerchiai, I Campani, che posso mettere a disposizione di chiunque in formato digitale. Credo che con Velecha, Caudium, forse Maleventum e altri centri ci troviamo in presenza della cosiddetta Dodecapoli etrusca, sui cui centri sussistono non poche incertezze. Penso che proprio la numismatica potrà essere non poco di aiuto. A proposito, è statamai ipotizzata un'identificazione di MELES con MALES Maleventum Beneventum? Benevento, come Avellino, si trova sulla via naturale (Volturno-SCalore-Sabato-Picentino che collegava i due centri proto-etrusci della Campania (Capua e Pontecagnano) fra di loro. Per il momento, ecco la II parte del mio articolo: Era quindi Velecha il centro sul quale sarebbe poi sorta Abellinum? A questo punto è utile ripercorrere sia pur brevemente, a partire dagli insediamenti preromani, la vicenda storica della valle del Sabato e del suo centro capoluogo, sulla base delle inoppugnabili testimonianze archeologiche, seguendo principalmente gli studi di Gabriella Colucci Pescatori (Sellino, Storia dell’Irpinia). Non vi è accordo tra gli studiosi sul momento della nascita della colonia e sulle rifondazioni della stessa succedutesi nel tempo. Sulla base del Liber coloniarum e della titolatura della colonia attestata nell'iscrizione CIL X 1117 viene ritenuta da alcuni di età graccana (in paricolare Beloch 1926); altri pensano che si tratti di una colonia sillana, nonché augustea (Mommsen e da ultimo Camodeca). Le iscrizioni lapidee provenienti dalla colonia romana di Abellinum e dal suo territorio, ad eccezione delle poche inedite venute alla luce durante i lavori successivi al terremoto del 1980 o nel corso di più recenti scavi , sono state raccolte per la maggior parte nel vol. X del CIL. Il fiume Sabato era una grande via di penetrazione tra il Beneventano e il Salernitano nel periodo sannitico e in età arcaica, non meno che in quello romano e medievale. Il nome del fiume non appare nell’antica letteratura, tuttavia gli abitanti che risiedevano nella valle, come detto, erano chiamati Sabatini. Nel territorio della valle del Sabato in età sannitica l’occupazione del territorio appare diffusa e costituita da piccoli nuclei sparsi, il cui elemento di aggregazione e di collegamento è il fiume Sabato, polo di attrazione delle popolazioni che ne occupavano le due rive. Su di esse è testimoniato di una sorta di movimento pendolare tra insediamenti di collina e insediamenti di pianura, determinato da fattori difensivi e produttivi. Dati utili provengono per l’età arcaica (VI V secolo a.C.) soprattutto da materiali rinvenuti alla località Soprapiano di Capriglia e nell’area dell’ex Ospedale di Avellino, al viale Italia. In particolare Soprapiano poteva costituire uno dei centri fortificati della comunità paganica comprendente la valle. La stessa funzione poteva avere, sulla riva destra del fiume, Castelluccio di Santo Stefano del Sole, insediamento collinare da cui è possibile una vista a lungo raggio e quindi il controllo di tutta la zona sottostante, documentato da materiali ceramici, arcaici e sannitici, mentre tutta l’area posta ai piedi della collina di Santo Stefano era adibita a produzione agricola che poteva essere sfruttata a integrazione di un tipo di economia pastorale . Nel corso del IV secolo si regista un incremento quasi improvviso di testimonianze archeologiche, che documentano una occupazione stabile di alcune aree collinari poste in posizione di controllo di importanti nodi di viabilità naturale e delle pianure sottostanti. I materiali provengono da tombe risalenti ad un periodo che va dal pieno IV secolo agli inizi del secolo successivo, poste lungo la riva destra (Serino, Santo Stefano del Sole, Candida, Manocalzati e Pratola Serra) e la riva sinistra (Cesinali, Avellino, Capriglia e Altavilla Irpina) del fiume Sabato e documentano la presenza di genti di stirpe sannitica. È il segno dell’arrivo dei mamertini reduci dalle guerre di Sicilia ? Nasce Velecha ? Si consolida in questa fase la struttura abitativa paganico vicana con l’organizzazione del paesaggio rurale circostante in insediamenti sparsi, cui rimandano i recuperi di piccole necropoli. Tutta l’area comprendente le colline di Pratola Serra in località Santo Iorio e Serritiello, e Ponte Sabato in posizione di fondovalle, ha restituito un considerevole numero di tombe che testimoniano, tenuto conto anche delle caratteristiche topografiche differenti (Serritiello e Santo Iorio in collina, Ponte Sabato a valle), funzioni diversificate. Alcune tombe rinvenute aPonte Sabato, in prevalenza a cassa e addensate intorno a una a camera, fanno pensare a raggruppamenti familiari e alla presenza di un elemento gerarchicamente superiore in una comunità che dimostra articolazione sociale. Il rituale sembra prevedere la rottura e la bruciatura dei vasi, i cui frammenti sono deposti nella tomba del defunto di sesso maschile in onore del quale si era compiuta una libagione. Le forme ricostruibili dai numerosi frammenti appartengono a coppine, piatti, lekanai. Nelle tombe maschili sono attestate le cuspidi di lancia in ferro. L’insediamento di Ponte Sabato è connesso con la località Cesine di Candida, dove alcuni reperti indicano la presenza di un nucleo abitato di fine IV inizi III secolo a.C., e con Fontanelle di Manocalzati. Questi siti, che rispondono alle esigenze di probabili villaggi aperti verso la pianura, possono essere messi in rapporto ad altri nelle immediate vicinanze, che rispondevano a esigenze difensive, quale San Barbato di Manocalzati ed il moderno centro di Candida. Accanto ai villaggi aperti di pianura (vici), documentati da necropoli, erano situati i santuari, che rappresentavano i principali luoghi di aggregazione. In base alla tipologia e alla cronologia dei materiali rinvenuti, è possibile porre proprio a partire dal IV secolo l’utilizzo dell’area di Civita di Atripalda per questa funzione comunitaria. Il sito non è in posizione molto elevata, ma è tale da favorire i traffici e le relazioni, in quanto posto alla confluenza del rio Fenestrelle-Rigatore con il Sabato, all’incrocio di una importante direttrice viaria. L’area assolveva sia a una funzione sacrale, ovvero era identificabile come spazio di santuari, ove le comunità sannitiche svolgevano attività amministrative, politiche, religiose, ma era anche centro di mercati, costituendo una cerniera rispetto agli insediamenti limitrofi e non un confine tra questi. In base alle indagini archeologiche, a partire proprio dal III secolo a.C. il centro sulla Civita tende a svilupparsi sempre di più, ipotesi confermata dalla costruzione delle mura di difesa del luogo. Un tratto della fortificazione urbana (tre assise), che difendeva l’insediamento, si è rinvenuto sul lato settentrionale. Il muro era costruito in opera quadrata con blocchi di tufo parallelepipedi rettangolari. La tecnica edilizia certamente segna l’influenza dei centri più evoluti della Campania (Pompei) e le mura di difesa evocano momenti difficili, caratterizzati dalle guerre con Roma (IV III secolo a.C.). Cessa di esistere la sannita Velecha, la cui popolazione è deportata o ridotta in schiavitù ? Ne prende il posto la nuova colonia di Abellinum ? La tradizione storiografica attesta la deduzione di una colonia di età graccana, sulla base di un passo del Liber Colonarium: “Abellinum, muro ducta colonia, deducta lege Sempronia” (L. I, 229,16 18). Tale deduzione è ipotizzata dagli studiosi per il titolo di Veneria della colonia e la presenza di praetores duoviri quale magistratura suprema. Le informazioni contenute nel Liber hanno ricevuto parziali conferme dalle acquisizioni conseguite dalla ricerca archeologica. La deduzione della colonia dovette accentuare il processo di urbanizzazione, favorendo la concentrazione di interventi pubblici e privati nell’ambito del centro prescelto. A questo momento si possono far risalire alcune strutture murarie in opus incertum, ed alcuni elementi decorativi da monumenti funerari, pilastri d’anta ornati da capitelli figurati che trovano confronto con l’ambiente pompeiano. Werner Johannowsky in un’area pianeggiante nella zona di Serino ha individuato una divisione agraria (centuriazione) con la misura ricorrente di 13 actus, che potrebbe le assegnazioni graccane post annibaliche. In questo periodo è dimostrato l’utilizzo dell’agro pubblico, con numerose assegnazioni in Irpinia, dai rinvenimenti dei cippi graccani del 129 a.C. nel territorio tra Abellinum, Aeclanum e Compsa. La ricerca archeologica, iniziata nel 1975 nell’area urbana dell’antica città, ha permesso di individuare una doppia cinta muraria. La prima, in opus quadratum (grossi blocchi di tufo giallo), da riferire al III secolo a.C., porta all’identificazione dell’oppidum originario. L’altra, in opus reticulatum, di cui è possibile seguire l’intero circuito, con torri semicircolari allineate alla cinta, è da riportarsi della colonia romana di età tardo repubblicana. Il circuito delle mura delimita l’intera collina della Civita di Atripalda per una lunghezza di circa di 2 km, racchiudendo la città antica che occupa una superficie di circa 25 ettari. L’intervento edilizio del circuito murario attestava espressamente lo scopo difensivo, garantiva sicurezza alla colonia da attacchi esterni e forniva una cinta daziaria all’abitato che, sorto su una via di comunicazione importante, il raccordo tra l’Appia e la Capua Rhegium, doveva essere un centro di sicura rilevanza commerciale. L’impianto originale delle mura presenta una cortina rettilinea, dello spessore costante di circa 3 m alla base e di circa 2 m nella parte più alta, con tufelli di forma piramidale, con andamento abbastanza regolare; internamente sono visibili pilastri rettangolari, che ricordano la fortificazione pompeiana di età sannitica, con testate in tufelli, che si susseguono alla distanza regolare di 3,50 m. Sono riconoscibili lungo il circuito due torri a pianta semicircolare, mentre una, riferibile ad epoca più tarda, impostata su una più antica, è a pianta rettangolare; nell’angolo meridionale, alle spalle della chiesa della Maddalena, si conserva l’emplecton di una torre circolare. Tale disposizione, caratteristica di un tipo di fortificazione frequentemente adottato dagli architetti militari romani, trova riscontro nella cinta muraria di Aeclanum. Il sistema stradale interno è appena individuato con le due arterie principali, il cardo e il decumanus maximi. A nord di questo, nel settore orientale della città, un importante complesso residenziale si affaccia alla sommità delle mura e comprende un intero isolato della città: una domus di tipo pompeiano ad atrio e peristilio che, per il suo impianto definitivo, è riferibile cronologicamente agli inizi del principato. La domus mantenne certamente, almeno sino ad età severiana, il suo aspetto di dimora residenziale unitaria; viceversa, durante il tardo Impero, cadde in abbandono per gran parte della sua estensione, presumibilmente in conseguenza di un terremoto (346 d.C.), continuando a vivere attraverso il riutilizzo di determinati ambienti. Ad ovest della domus è ubicata l’area destinata agli edifici pubblici, con l’impianto termale che veniva a disporsi parallelamente al decumano. Recenti scavi hanno permesso di individuarne diverse fasi costruttive: la prima, costituita da strutture murarie in opus incertum, si riconduce alla cronologia alta della colonia, di età graccana, che precede quella in opus reticulatum di età tardo repubblicana. Non mancano rifacimenti tardo antichi, con presenza di tombe intra muros, obliterate da un’eruzione vesuviana ascrivibile tra il 472 e il 507 d.C., che testimoniano il periodo di abbandono del centro. Il rinvenimento di iscrizioni onorarie, basi di statue, vasti ambienti con mosaici policromi e la presenza dell’edificio termale confermano che il settore nord orientale della città è da identificarsi con il foro. Dell’edificio termale è visibile il sistema di riscaldamento ad ipocausto, con pavimento poggiante su pilastrini di mattoni (suspensurae). L’anfiteatro, ora ricostruito nella sua planimetria, era situato fuori le mura, nel settore meridionale della città, e sfruttava una depressione naturale. Il sistema stradale interno, da mettere in relazione con le porte della città, permette di ipotizzare un accesso nel settore meridionale. Nel 1983 una esplorazione archeologica nella necropoli meridionale (già individuata nel XIX secolo), lungo la direttiva che collegava Abellinum con la regione nocerina, ha restituito tombe tipologicamente differenziate recinti funerari con ipogei, tombe “alla cappuccina”, sia ad inumazione che ad incinerazione, con defunto in anfora, sarcofagi in terracotta e piombo con un arco cronologico dalla fine del I al V secolo d.C. Un altro ingresso alla città era ad est la cosiddetta Porta decumana da cui si dipartiva la via verso oriente (Aeclanum). La necropoli pagana, situata lungo tale arteria, esplorata dal 1986, ha confermato un utilizzo della stessa anche da parte della comunità cristiana. Preziose sono le informazioni su alcuni importanti edifici, le cui rovine, ora interrate e in parte scomparse, potevano osservarsi nel primo ventennio del presente secolo. Francesco Scandone scrive nel 1930: “Appena dieci anni or sono nel centro della Civita si vedevano due grandiose aree con avanzi di muri perimetrali, e con tracce di pavimentazione, il più ampio di questi fabbricati, che ritengo doveva essere la basilica, aveva i muri elevati su forti basamenti calcarei, e rivestiti con marmi alternati a mattoni triangolari o quadrati, la platea aveva traccia di pavimentazione a mosaico (opus settile) e conteneva numerosi avanzi di capitelli corinzi e di trabeazioni con architravi a trave o lisci oppure finemente lavorate a mensole e rosoni”. Lamenta lo storico: “tutto questo è stato asportato e tuttora continua la devastazione, perché è stata aperta una cava di tufo, proprio in mezzo al fabbricato, ed i muri a mattoni sono stati demoliti per liberare i grandi lastroni di marmo nel basamento. L’altro edificio, forse la Curia, è stato distrutto da un’altra cava di tufo, e sono rimasti in piedi alcuni tratti di muri a mattoni o a reticolato. Qui … potei scorgere alcune lastre marmoree, tolte al loro sito primiero. Il colono pretendeva che appartenesse ad una fontana monumentale, anch’essa distrutta”. Per Abellinum si coglie dalla documentazione archeologica una particolare fioritura in età augustea. A tale periodo infatti si riferisce l’impianto complessivo degli edifici pubblici, in opera reticolata, il quale, come abbiamo detto, costituì una tappa fondamentale dello sviluppo sociale ed economico di Abellinum, soprattutto per l’arrivo di genti nuove, connesso ad una febbrile attività edilizia. Investimenti assai remunerativi in imprese produttive, quali le industrie laterizie, sorsero numerose per far fronte alla simultanea e cospicua domanda di materiali da costruzione, secondo un processo destinato ad accentuarsi e a raggiungere il suo culmine tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. La presenza ad Abellinum di una tegola menzionante i magistrati eponimi (duoviri), fa ritenere non improbabile l’esistenza di una officina laterizia pubblica. Se per il periodo augusteo, a cui si riferisce anche la costruzione del grande acquedotto romano Fontis Augustei Aquaeductus posto nel territorio della colonia, si hanno numerose testimonianze, soprattutto per quanto attiene alla produzione di monumenti commemorativi e funerari, per quello successivo, sino alla metà del IV secolo a.C., sono scarse le informazioni. Una dedica all’imperatore Gordiano III del 240 d.C. testimonia una deduzione di coloni voluta da Alessandro Severo, che rientra probabilmente nell’ottica della politica agraria perseguita in Campania. A quest’epoca si riferiscono la costruzione della basilica e, presumibilmente, molti rifacimenti e restauri in opere di edilizia pubblica e privata che gli scavi ci hanno documentato. Nel corso del IV secolo l’opera più importante è il restauro, per volontà dell’imperatore Costantino, dell’acquedotto augusteo, il che dovette costituire un segno di vitalità per la stessa colonia. Le recenti ricerche archeologiche hanno permesso di attestare la sopravvivenza della città non solo all’evento sismico del 346 d.C. ma anche ad un’eruzione del Vesuvio della fine del V inizi del VI secolo d.C. Ma da questo momento si manifestano evidenti i segni, attraverso una radicale trasformazione dello spazio urbano e dei modi di occupazione del territorio, che ben collocano Abellinum, con Cimitile, Napoli e Capua, tra i centri più importanti della Campania antica. Qui inizia la grande storia di Abellinum cristiana e del suo vescovo Sabino. SAluti a tutti e grazie per l'attenzione.1 punto
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[EDIT: evitare di citare integralmente messaggi lunghi, rende le discussioni difficilmente leggibili] Premetto che è la mia prima volta che partecipo a un forum e non sono per niente pratico. Sto facendo una ricerca su VELECHIA. Sono arrivato a una conclusione che sottongo all'attanzione. Riporto uno stralcio di un articolo uscito a mia firma sul Corriere dell'Irpinia di domenica scorsa. Nella precedente puntata si è parlato delle monete riconducibili all’area osco-sabellica. Fra queste è ben nota una serie che fa riferimento a un centro che a tutt’oggi non è stato localizzato. Si tratta delle monete in bronzo che recano l’epigrafe VELECHA in caratteri greci. Le monete hanno al dritto una testa raggiante, simbolo del Sole, con luna e stelle, e al verso il busto di un cavallo o un elefante. Alcune monete sono ribattute su monete mamertine. Raffaele Garrucci (1812 –1885), insigne numismatico e archeologo, fa risalire la monetazione fusa di Velecha all’epoca di Pirro e quella coniata, che ha tipi africani, al tempo delle guerre puniche. La loro provenienza è assegnata dubitativamente alla Campania (Friedlander) o alla città di Volcei (odierna Buccino), a quest’ultima peraltro solo sulla base di una certa assonanza col nome e della vicinanza con Poseidonia-Paestum. Lo studioso, rilevato che nelle monete si usano sei globetti per indicarne il valore, le riconduce ai tipi in uso nella Sicilia agragantina, camerinese, misistratese, liparese e mamertina. Quest’ultima area (Messana-Messina) era stata occupata da mercenari sanniti di origine campana nel 472-475 (Polibio, XX) che si erano dati il nome di Mamertini dal nome del dio Mamers (corrispondente osco di Marte). Da qui lo studioso arriva alla suggestiva conclusione che Velecha identifichi un centro campano fondato da mercenari oschi reduci dalla Sicilia, dove avevano operato a servizio dei Cartaginesi per esserne poi ricacciati in patria da Pirro. Il nome dato al nuovo centro – VELECHA - evocherebbe in tal caso il nome del dio VELCANOS: Vulcano, il dio del mare particolarmente venerato nell’area siciliana fra Messina e Lipari. Dov’era la città fondata dai reduci di Messina tornati sconfitti in Campania? Dov’era l’antica Velecha, la città di Vulcano? Dov’era questa città, nota solo per il nome inciso sulle monete? Ne sono visibili i resti? C’è qualcosa che ne perpetua il ricordo? A queste domande non è stata data ancora risposta. Tuttavia alcune circostanze inducono a delle riflessioni, sulle quali è possibile forse azzardare una suggestiva ipotesi. E.T. Salmon (Il Sannio e i Sanniti, pag.98) ha osservato che le monete della nostra Veleha sono del tutto simili a quelle emesse da Capua, Atella e Calatia in un particolare periodo della loro storia. Ci deve essere quindi un filo che univa Velechia con quei tre centri campani. Tito Livio non cita mai Velechia, però nella sua Storia di Roma per ben due volte ricorrono, tragicamente uniti, i nomi delle tre città di Capua, Atella e Calatia (Livio XXVI 33.12; XXVI 34.6). In effetti dopo la fatale disfatta di Canne (216), molte comunità italiche, a cominciare da Capua e dai Sanniti irpini e caudini, avevano defezionato da Roma, passando con Annibale. Ben presto però il dominio cartaginese sulla Campania era stato spezzato, e nel 211 Capua, seguita da Atella e Calatia, si arrendeva ai romani. Salmon annota che subito dopo si arrendevano anche i Sabatini, ovvero gli abitanti della valle del Sabato, che occupavano il territorio a sud di Benevento (Salmon, pag. 316). Agli abitanti delle tre città campane e ai Sabatini Roma avrebbe poi riservato la sorte delle deportazione in massa e limitazione dei diritti civili; alle rispettive classi dirigenti quella della confisca dei beni e della riduzione in schiavitù. Salmon, partendo proprio dall’osservazione che Capua, Atella, Calatia e i Sabatini nel corso della seconda guerra punica erano uniti in una sorta di lega contro Roma e che Capua, Atella, Calatia e Velecha in quel preciso momento storico battevano monete dello stesso tipo, arriva alla ovvia conclusione che Velecha fosse una città dei Sabatini (Salmon, pag. 347), presumibilmente eminente, se non la capitale. Salmon non formula alcuna ipotesi per la localizzazione di Velecha, ma si limita acriticamente a riportare l’opinione di R. Thomsen (Early Roman Coinage), che la fa corrispondere a Volcei. Eppure proprio Salmon, come detto, aveva localizzato i Sabatini nella valle del Sabato, ben lungi da Volcei! I Sabatini,occupavano verosimilmente l’area dell’alto e medio Sabato, vale a dire la conca di Avellino, il Serinese e la valle fra Prata e la stretta di Barba, comprese le alture circostanti. Non è da escludere che il loro territorio si proiettasse, oltre il valico di Monteforte, fino al limite della pianura nolana; in tal modo il massiccio del Partenio forse restava tutto all’interno del loro territorio, costituendo l’ultimo inespugnabile rifugio della tribù in caso di necessità, secondo il ben noto schema attestato per i Pentri col massiccio del Matese e i Caudini col Taburno. Come che sia, al centro del territorio dei Sabatini, in posizione strategica, è situata la collina della Civita (nel territorio dell’odierna Atripalda), presso cui confluiscono nel fiume Sabato il rio Fenestrelle (già Schiti) – Rigatore da Ovest e il Salzola da Est. Ed è proprio sulla collina della Civita, oggi solo in parte esplorata, che è stato localizzata la città romana di Abellinum. È forse qui da localizzare la misteriosa Velecha, l’antica capitale dei Sabatini, deportati dai romani nel 221 insieme agli abitanti delle tre città campane? Era quindi Velecha il centro sul quale sarebbe poi sorta Abellinum? contina in sintesi ci sono ad Abellinum varie testimonianze materiali in linea con l'ipotesi di una fondazione pre-romana. Poiché non sono né numismatico né archeologo, ma un semplice appassionato-divulgatore di storia, sarei molto grato a chi potesse fornirmi notizie e immagini sulla monetazione di velecha, capua, ecc oltre che un'opinione su quanto ho ipotizzato. grazie gerardo troncone [EDIT: sconsigliato inserire in chiaro il proprio indirizzo email (attira spam), utilizzare i MP del forum]1 punto
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Prima di procedere con qualsiasi inibitore di corrosione occorre sgrassare bene la moneta con dell' alcool e poi acetone per rimuovere cere e protettivi vari. in secondo luogo puoi procedere con una serie di bagni in acqua demineralizzata che volendo puoi far bollire insieme alla moneta per almeno un' ora facendo attenzione che vi sia sempre acqua. solo dopo puoi ricorrere agli inibitori come il benzotriazolo o i protettivi come le cere microcristalline1 punto
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