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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 08/03/12 in tutte le aree
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Salute come per la discussione da me aperta "Regno di Napoli:::le monete"apro questa con lo stesso intendo che è quello di inserirvi notizie storiche e numismatiche con il fine di portare sempre più collezionisti ad appassionarsi a queste tipologie monetali. Le monete degli Aragonesi in Sicilia vanno da Pietro a Ferdinando il Cattolico ed è questa la tipologia monetale che si andrà ad illustrare in questa discussione.L'arco di tempo è compreso fra il 1282 ed il 1516 Vedremo che in meno di 200 anni ,in Sicilia,si ebbero profondi cambiamenti di carattere storico e culturale. Come per la discussione sulla monetazione napoletana invito tutto il forum a contribuire in questa discussione postando monete e notizie attinenti al periodo storico indicato ed alla monetazione degli Aragonesi in Sicilia. La prima moneta che posto è:::::: Pierreale:PIETRO E COSTANZA D'ARAGONA(1282-1285)Zecca di Messina Argento D/+P.DEI.GRA.ARAGON.SICIL.REX.Stemma aragonese in cornice di archetti,con o senza corona,anche affiancato da rosette R/+COSTA.DEI GRAT.ARAG.SICIL.REGIA Aquila ad ali spiegate volta a destra in cornice di archetti Riferimenti:MAUGERI 2;SPAHR 20;MIR 173 La moneta è presente in una collezione privata Le varianti conosciute per i Pierreali di Pietro e Costanza sono circa 20 COSTANZA di Svevia, regina d'Aragona e di Sicilia. - Nacque nel 1249 a Catania , da Manfredi, figlio naturale di Federico II e da Beatrice di Savoia, che il giovane principe aveva sposato tra la fine del 1248 e l'inizio del 1249. Le fu imposto un nome carico di significato: quello della bisnonna normanna, figlia di Ruggero II e moglie dell'imperatore Enrico VI tramite la quale il Regno di Sicilia era passato alla dinastia sveva. E come la bisnonna aveva costituito l'anello dinastico che aveva reso possibile l'acquisto della Sicilia da parte degli Svevi, così Costanza avrebbe permesso agli Aragonesi di assumere l'eredità sveva nell'Italia meridionale. Come nutrice di Costanza fu scelta una giovane nobildonna siciliana, Bella d'Amico, moglie di un piccolo feudatario calabrese, che insieme a Costanza allattava il proprio figlio Ruggiero di Lauria, più tardi uno dei più famosi ammiragli del tempo. Bella rimase a fianco di Costanza finché visse e le fece da madre a confidente dopo la morte di Beatrice di Savoia, avvenuta verso il 1258. Manfredi era stato designato nel testamento imperiale reggente del Regno di Sicilia per il legittimo erede Corrado IV, suo fratellastro, ancora in Germania; ma dopo la sua morte il 21 maggio 1254 a Lavello, il principe di Taranto (era questo il titolo assegnato a Manfredi nel testamento paterno) ambiva egli stesso alla corona, probabilmente nella consapevolezza che solo così il Regno potesse restare agli Svevi. Costanza venne fatta oggetto di trattative matrimoniali. In cambio del proprio appoggio Bertoldo di Hohenburg, il potente feudatario tedesco trapiantato nel Regno già al tempo di Federico II e nominato da Corrado IV reggente in Sicilia per il figlio Corradino, chiese la sua mano per il nipote Ganarro. Tuttavia, il rapido consolidarsi della propria posizione permise a Manfredi di rifiutare la proposta e di sbarazzarsi di lì a poco di un avversario pericoloso. Con la sua incoronazione a re di Sicilia nell'agosto del 1258 si aprirono a Costanza ben altre prospettive matrimoniali. Essa rimasta figlia unica,dopo la morte di sua madre,avvenuta immediatamente dopo l'avvento al trono di Manfredi. Poteva essere quindi considerata, con buone ragioni, l'erede del Regno, se si passava sopra i diritti del piccolo figlio di Corrado IV, che veniva allevato nella lontana Germania. Per Manfredi Costanza costituiva dunque un pegno importante per conquistarsi degli alleati e per ottenere un riconoscimento internazionale del suo Regno, sul quale continuava a gravare l'ombra della usurpazione, tanto più che il Papato gli negava la sua sanzione e lo avversava furiosamente; si trattava di trovare un marito che offrisse garanzie di questo tipo. La scelta cadde sul re d'Aragona al quale Manfredi offrì la mano di Costanza al primogenito ed crede al trono Pietro. Interessi comuni facilitarono l'accordo: proprio allora il conte di Provenza Carlo d'Angiò, antagonista degli Aragonesi nella Francia meridionale, al quale il papa già nel 1252 aveva offerto la corona siciliana, fece le sue prime conquiste nell'Italia settentrionale. Inoltre Alfonso X di Castiglia, l'aspirante alla corona imperiale, preoccupava sia l'Aragonese sia Manfredi. Non si conoscono le fasi delle trattative che il 28 luglio 1260 portarono alla firma degli accordi matrimoniali da parte degli ambasciatori di Manfredi a Barcellona, Giraldo de Porta, Maior de Iovenacio, lacopo Mustacci, socii del re, e del magister Stefano da Monopoli, giudice della Magna Curia. Manfredi si impegnava di dare alla figlia una dote di 50.000 once d'oro, pagabili in oro, argento e pietre preziose; le nozze si dovevano celebrare prima del 10 maggio 1261 a Montpellier. Da parte sua l'infante Pietro promise di trattare C. come una regina, e di restituire a Manfredi la dote se C. fosse morta senza figli. Come dotario sarebbero stati assegnati a C. la città di Girona e il castello di Cottliure. Nel caso che Pietro le fosse premorto, C. avrebbe esercitato la reggenza fino al ventesimo anno dei figli. Difficoltà di vario genere ritardarono tuttavia la celebrazione delle nozze. Un ostacolo non trascurabile era costituito dalla dote: per Manfredi non era tanto facile mettere insieme entro breve tempo una somma così cospicua. Le tasse gravose imposte a tale scopo provocarono l'aperto malumore della popolazione. Ramon Gaucelm, signore di Lunel, che nel settembre 1260 fu mandato alla corte siciliana, tornò a mani vuote. Può darsi che anche il nuovo matrimonio di Manfredi con Elena di Epiro, che poteva ledere i diritti di Costanza se ne fosse nato un erede di sesso maschile, suscitasse qualche perplessità negli Aragonesi. Nell'aprile del 1261 si trasferì a Napoli, dove fu accolto con tutti gli onori, il figlio naturale di Giacomo I, Ferran Xancis, con l'incarico di condurre Costanza in Spagna. Ma il principe dovette aspettare parecchio tempo prima che gli fosse consegnata la sposa. Nel frattempo la notizia del matrimonio tra la figlia dello scomunicato re di Sicilia e l'crede al trono aragonese aveva provocato reazioni violente anche sul piano internazionale. Alfonso X di Castiglia, che Giacomo I aveva informato personalmente, espresse il suo aperto dissenso. Né era possibile ottenere il consenso della Curia romana, benché Giacomo a tale proposito vi avesse mandato ben due ambascerie: nel 1261 il vescovo di Girona e nel 1262 il maestro dei templari, Guglielmo de Pontons. Il 26 apr. 1262 Urbano IV lo invitò a desistere dal progetto per non disonorare la sua casa. Altre difficoltà venivano dalla Francia, e per non fare fallire il matrimonio concordato di sua figlia Isabella con l'erede francese, Giacomo dovette promettere a Luigi IX di non aiutare Manfredi nella lotta contro il Papato e di non sostenere il nobile provenzale ribelle Bonifacio di Castellane contro Carlo d'Angiò (6 luglio 1262). Ma Giacomo non desistette dai suoi piani. Il 13 giugno 1262 furono celebrate a Montpellier, nella chiesa di S.te Marie des Tables, le nozze tra Costanza e Pietro d'Aragona, di una diecina d'anni più vecchio della giovanissima principessa. Avevano accompagnato Costanza nella Francia meridionale il conte Bonifacio d'Anglano, zio del padre, Riccardo Filangieri e Roberto de Morra, nonché la nutrice Bella e alcuni giovani nobili coetanei di C. come Ruggiero e Margherita di Lauria, figli di Bella, Corrado e Manfredi Lancia, lontani cugini della principessa, che sarebbero rimasti con lei in Aragona ed educati a corte. Il giorno del matrimonio Pietro concesse a Costanza, come aveva promesso, Girona e Cottliure come dotario, mentre Bonifacio d'Anglano consegnò la metà della dote pattuita. Non dovette essere facile per Costanza, cresciuta nel noto sfarzo dei palazzi e dei castelli paterni, adattarsi al clima austero della corte aragonese. Il dislivello era evidente. Assai indicativo, a questo proposito, il racconto secondo il quale Elena di Epiro, la giovane matrigna di Costanza visti gli ambasciatori aragonesi venuti a Napoli così male in arnese, si era opposta alle nozze della figliastra. Ma sembra che Manfredi avesse posto precise condizioni per assicurare alla figlia uno stile di vita conforme alle sue abitudini, garantendo in cambio i suoi diritti alla successione in Sicilia. Dai libri di conti della corte degli infanti risulta infatti che il re e l'infante fecero tutto il possibile per soddisfare le esigenze di Costanza. Sono registrate molte spese per prodotti voluttuari e per oggetti di lusso (frutta, stoffe preziose, perle, penne, legna per riscaldare stanze ed acqua ecc.). Ben presto le entrate del dotario non bastarono più a fronteggiare tutte queste spese. Già nel 1263, al posto di Girona e di Cottliure, fu assegnata a Costanza una pensione annua di 30.000 soldi di reali di Valencia, che anch'essi si rivelarono insufficienti. Costanza non solo fu trattata come una regina, ma ebbe anche il titolo di regina che non le spettava di sicuro. Ma, se da un lato l'attribuzione del titolo regale esprimeva i riguardi particolari che gli Aragonesi si erano impegnati ad usare nei confronti di Costanza, lo stesso titolo poteva anche servire a sottolineare i diritti di Costanza alla successione in Sicilia, soprattutto quando la loro realizzazione sembrava sempre più lontana. Ma se Costanza riuscì ad introdurre nella corte uno stile di vita più raffinato, non poté invece introdurvi la lingua materna e la cultura letteraria e filosofica che aveva contraddistinto le corti del nonno e del padre. In verità nulla sappiamo dell'istruzione ricevuta da C. in patria. È noto invece che il suo seguito di giovani nobili italiani, e verosimilmente anche Costanza stessa, venivano scrupolosamente istruiti nella lingua catalana. Ruggiero di Lauria, fratello di latte di Costanza, si sentiva ed era considerato, non a torto, un cavaliere catalano. Dopo la morte di Manfredi nella battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266 in cui combatterono anche alcuni contingenti catalani,per la conquista del Regno di Sicilia da parte di Carlo d'Angiò, la corte di Costanza e di Pietro diventò un centro di raccolta per gli esuli ghibellini italiani. Vi trovarono rifugio altri lontani parenti di Costanza fra i quali Bertrando, Guglielmo e Alberto da Canelli, piemontesi, e anche sua zia Costanza, ex imperatrice di Bisanzio che era sfuggita alla cattura angioina; infine, tra il 1274 e il 1275, Giovanni da Procida, medico di Federico II e abile politico, che avrebbe avuto una parte importante nella politica siciliana di Pietro d'Aragona. Tutti guardavano a Costanza come all'erede legittima degli Svevi nel Mezzogiorno d'Italia; gli esuli del Regno la consideravano addirittura la loro "naturalis domina", cioè la loro signora feudale. Costanza si vide quindi sempre più circondata da italiani. La morte di Corradino sul patibolo a Napoli nel 1268 aveva ulteriormente rafforzato i suoi diritti. Non pare infatti che dal secondo matrimonio di Manfredi fosse nato un erede maschio. I tre figli maschi di cui si ha notizia erano con tutta probabilità bastardi. Rimaneva solo la figlia Beatrice, tenuta prigioniera da Carlo d'Angiò. Costanza esercitò pressioni sul marito per indurlo a vendicare la morte del padre. La realizzazione dei suoi diritti, affermati anche pubblicamente, continuava comunque ad essere uno degli obiettivi perseguiti con maggiore tenacia dalla politica aragonese. I vent'anni passati da Costanza in Aragona, come infante prima, e dopo l'avvento al trono di Pietro nel 1276, come regina, furono certamente i più sereni della sua vita. Con il marito Costanza era legata da un rapporto di profondo affetto Il primogenito di Costanzae Pietro, si chiamò Alfonso, nacque il 4 novembre 1265 a Valencia, il secondogenito Giacomo il 10 agosto 1267, nella stessa città. Nacquero inoltre due altri figli maschi, Federico e Pietro, e due femmine, Isabella e Violante. La prima nel 1281 sposò il re di Portogallo Dionigi e venne proclamata santa, dopo una vita matrimoniale infelice e piena di umiliazioni; Violante nel 1297 andò sposa a Roberto d'Angiò duca di Calabria, com'era stato stabilito nella pace di Anagni che riconsegnava la Sicilia agli Angioini, ma morì già nel 1300. Solo nel 1282, con la rivolta dei Siciliani contro il dominio angioino, la possibilità di accedere all'eredità diventò per Costanza una realtà concreta. Alla partenza per Collo nell'Africa settentrionale, da dove sarebbe passato in Sicilia, Pietro nominò Costanza, insieme al primogenito Alfonso, reggente del regno d'Aragona, per il tempo della sua assenza. Ma presto, appena preso possesso dell'isola, chiamò presso di sé la moglie e tre dei suoi figli, Giacomo, Federico e Violante. Il 28 ottobre 1282 mandò in Catalogna una nave per condurli in Sicilia. Quando nella primavera del 1283 Costanza sbarcò a Trapani, fu accolta calorosamente dalla popolazione Il 16 aprile, a Messina, poté riabbracciare il marito, di ritorno dalla vittoriosa campagna in Calabria. Il loro incontro durò poco - appena tre giorni - e fu anche l'ultimo. Pietro sarebbe morto l'11 novembre 1285 in Catalogna, senza aver rivisto Costanza e il regno appena conquistato. Nel Parlamento celebrato il 19 aprile a Messina, il re, in partenza per Bordeaux, dove avrebbe dovuto misurarsi nel duello con Carlo d'Angiò, affidò a Costanza ed al figlio Giacomo la reggenza, affiancando loro nel governo Giovanni da Procida come cancelliere e Alaimo da Lentini come maestro giustiziere, mentre Ruggiero di Lauria fu nominato ammiraglio di Sicilia e d'Aragona. Il compito di Costanza non fu facile. Gli isolani avevano chiamato Pietro d'Aragona perché marito della legittima erede del Regno. Ma è anche vero che la rivolta del Vespro aveva svegliato forti tendenze autonomistiche sia nelle città sia nella nobiltà. Gli uomini che avevano combattuto gli Angioini e costituito la "comunitas iculorum" non erano tanto disposti a sottomettersi di nuovo al potere monarchico e già nel 1283 scoppiò la prima rivolta antiaragonese capeggiata da Guaitieri da Caltagirone. Pietro dal canto suo aveva subito agito con energia: l'amministrazione dei castelli era in mano di catalani e aragonesi ed anche i due vicari generali del Regno "citra et ultra flumen Salsum", Guglielmo Calcerando de Cartellà e Pietro Queralt, nominati prima della partenza del re, erano venuti dalla Spagna. Nel governo centrale l'elemento siciliano era rappresentato solo da Alaimo da Lentini, antico fautore degli Angioini e capitano di Messina al tempo della comunitas, il più autorevole esponente delle aspirazioni particolaristiche siciliane. Pietro pensò bene quindi di raccomandare proprio a lui Costanza e i figli.Per Costanza si trattò quindi soprattutto di attenuare le gravi tensioni che la convivenza tra isolani, aragonesi e fuorusciti ghibellini creava necessariamente. Proprio in questi primissimi anni della dominazione aragonese in Sicilia la presenza di Costanza fu un importante fattore di equilibrio, grazie soprattutto al suo carattere amabile e sereno su cui concordano tutti i cronisti. Oltre alle difficoltà interne Costanza dovette affrontare la guerra contro gli Angioini, mentre, ad aggravare ulteriormente la situazione, s'aggiungeva l'interdetto lanciato contro la Sicilia da Martino IV che doveva risultare particolarmente gravoso per Costanza, donna profondamente religiosa. Pare che Costanza si sia interessata personalmente agli armamenti. Ma quando nel 1284 Ruggiero di Lauria riuscì a catturare l'erede al trono angioino, Carlo principe di Salerno, e a portarlo a Messina, fu proprio Costanza a sottrarlo al linciaggio della folla. Il suo gesto fu tanto più apprezzato in quanto dimostrava la generosità della regina che non aveva voluto ripagare la morte del padre con un'altra morte. Nella fortunata spedizione nel golfo di Napoli il Lauria aveva anche potuto liberare la sorellastra di Costanza, Beatrice, figlia di Manfredi e di Elena di Epiro. Costanza si preoccupò con grande sollecitudine della sua sorte e combinò il suo matrimonio con Manfredi di Saluzzo, celebrato nell'ottobre dei 1286 a Messina. Ma al momento delle nozze Beatrice, cui Costanza aveva dato una dote di 8.000 once d'oro, rinunciò ufficialmente a tutti i suoi eventuali diritti sul Regno di Sicilia. Dopo la morte nel 1285 del marito, che aveva continuato dalla Spagna a dirigere gli affari siciliani, come dimostra la fitta corrispondenza con la moglie, Costanza affiancò nel governo il figlio Giacomo, diciottenne, incoronato re di Sicilia nel febbraio del 1286, dato che gli accordi matrimoniali del lontano 1260 le avevano assegnato la reggenza fino al compimento del ventesimo anno di età dei figli. Ma pare che ben presto si sia ritirata dalla vita pubblica. Nel 1290 mandò truppe a San Giovanni d'Acri per la difesa della città "pro anima vivi sui et pro subsidio Terre Sancte", che tuttavia furono rimandati indietro perché i Siciliani erano scomunicati e sottoposti all'interdetto. La morte nel 1291 del primogenito Alfonso, che era successo al padre sul trono d'Aragona e che Costanza non aveva più rivisto da quando aveva lasciato la Catalogna, la indusse a ritirarsi definitivamente e ad entrare nel monastero delle clarisse da lei fondato a Messina. Prendeva così in Costanza il sopravvento un tratto della sua personalità che si era maturato nel clima della corte aragonese permeato da un profondo senso religioso. Le idee di S. Francesco vi avevano trovato un terreno fertile, come dimostra la presenza a corte di Ramon Lull e di Arnaldo di Villanova. Pietro stesso, in punto di morte, aveva chiamato un frate minore per confessarsi. Costanza, dal canto suo, già verso il 1265 aveva fondato e dotato nella piccola città di Huesca, regalata da Giacomo I al figlio al momento delle sue nozze con C., un monastero di clarisse, che sottopose alla sua speciale protezione. Altre manifestazioni della sua religiosità sono le visite ai santuari famosi in occasioni particolarmente importanti della sua vita, come nel 1267 dopo la nascita di Giacomo, nel 1283 prima della partenza per la Sicilia. Frequenti anche le elargizioni a favore di religiosi e di monasteri. Tutto ciò contribuiva a rendere il suo ritiro - una scelta quasi obbligata per una vedova, madre di figli ormai maggiorenni - particolarmente drastico. Costanza rimase sempre devota all'autorità pontificia. Questa sua sostanziale sottomissione ai dettami della Chiesa dovette causarle non pochi scrupoli di coscienza se si considera che il Papato aveva sempre denunciato come usurpato il dominio aragonese in Sicilia e in conseguenza inflitto la scomunica ai regnanti. Il permesso di potersi scegliere un confessore che la assolvesse quotidianamente dai suoi peccati nonostante l'interdetto che gravava sull'isola, ottenuto nel 1292 dal cardinale vescovo di Porto Matteo, dovette quindi rivestire per lei particolare importanza. Quando poi nel 1295 Giacomo II venne ad un accordo con Bonifacio VIII, il cui prezzo era la cessione della Sicilia agli Angioini, Costanza non se la sentì di rimanere a fianco del figlio Federico, il quale, in dispregio dei patti, decise di difendere l'eredità materna, e si fece incoronare re di Sicilia nel marzo del 1296. Sottoposta a precise pressioni da parte degli emissari pontifici, il vescovo di Urgel e Bonifacio da Calamandrana, che le ricordavano che non poteva restare in Sicilia "sine peccato", accettò di abbandonare per sempre il suo regno. Accompagnata da Giovanni da Procida e da Ruggiero di Lauria, i due uomini che le erano stati particolarmente vicini durante il suo governo in Sicilia, nel febbraio del 1297 si trasferì a Roma, dove furono celebrate le nozze della figlia più giovane Violante con Roberto d'Angiò. Nonostante papa Bonifacio VIII si fosse impegnato di provvedere al suo sostentamento a Roma, Costanza ben presto fu costretta a lamentarsi con il figlio Giacomo delle difficoltà economiche in cui si trovava. Nel 1299 tornò in Catalogna. Morì a Barcellona l'8 aprile 1300 e fu sepolta nella chiesa del locale convento dei francescani, da dove solo nel 1852 le sue spoglie furono traslate in una cappella del chiostro della cattedrale. La Chiesa la proclamò beata. Nel testamento, dettato il 1º febbraio 1299, aveva istituito tra l'altro due ospedali per i poveri, a Barcellona e a Valencia. Aveva però sottoposto il piccolo legato a favore del figlio Federico al vincolo che egli vi potesse accedere solo dopo aver fatto la pace con la Chiesa, rispettando così una clausola del trattato di Anagni del 1295 tra Giacomo II d'Aragona e Carlo II d'Angiò. Il suo sigillo la rappresenta all'impiedi, in mezzo a un tempietto gotico, vestita con tunica e manto e con la corona in testa. Nella mano destra tiene lo scettro sormontato dal giglio, nella sinistra il pomo sormontato dalla croce. Dante ricorda Costanza nel terzo canto del Purgatorio, in occasione del suo incontro con Manfredi, il quale prega il poeta di portare la notizia della sua salvezza alla sua "bella" e "buona" figlia, "genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona" (vv. 127-129, 143). Pietro III d'Aragona figlio di Giacomo il Conquistatore,re d'Aragona,Valencia e Maiorca,conte di Barcellona,Gerona ,Osona,Besalù,Cerdanya e di Rossiglione,Signore di Montpellier e Carlades;e di Violante o Iolanda d'Ungheria,figlia di Andrea II Re d'Ungheria e della principessa di Costantinopoli Iolanda De Courtenay.Egli nacque a Valencia nel 1239 ed era figlio primogenito e nel 1262 ereditò molte signorie e contee,ma anche il Regno d'Aragona.Nel 1262 a Montpellier sposò Costanza,figlia di Manfredi di Svevia,Re di Sicilia, e di Beatrice di Savoia. Nel 1282, durante i Vespri Siciliani, dopo che i siciliani avevano inutilmente offerto al Papa la loro confederazione repubblicana di liberi comuni in feudo , inviarono una delegazione in Nordafrica che offrì a Pietro l'ambita corona del Regno di Sicilia, in quanto marito di Costanza, legittima erede del regno normanno; Pietro accettò ed il 31 agosto sbarcò a Trapani, con 600 armigeri, tra loro anche le fedeli famiglie dei Cossines e 8.000 almugaveri che era una fanteria da guerriglia che sarebbe divenuta famosa per coraggio e crudeltà. Carlo I d'Angiò, che il 25 luglio aveva messo l'assedio alla città di Messina, dopo lo sbarco aragonese tentò un ultimo vano assalto a Messina e poi si ritirò.Il 2 agosto 1282 Pietro entrò trionfalmente a Messina ;la città fu considerata dagli Aragonesi "fedelissima"ottenendo ricompense politiche ed economiche.Di lì a poco il nuovo Re aragonese occupò tutto il resto dell'isola ed il 26 settembre sbarcò in Calabria, dove gli almugaveri ed anche siciliani, fecero solo azioni di guerriglia senza reali conquiste territoriali. Alla fine dell'anno si era determinato uno spaccamento del Regno di Sicilia in due parti, l'isola di Sicilia in mano agli aragonesi ed il resto del regno,la parte continentale agli Angioini. Nel novembre dello stesso anno, fu scomunicato dal papa Martino IV, che non lo riconobbe re di Sicilia, anzi lo dichiarò decaduto anche dal regno d' Aragona ed offrì il tutto a Carlo terzogenito (secondogenito vivente) del re di Francia, Filippo l'Ardito e futuro conte di Valois. Nel 1284, papa Martino IV, diede una consistente somma di denaro a Carlo I d'Angiò che preparò una flotta in Provenza che avrebbe dovuto unirsi a parte della flotta che l'attendeva nel porto di Napoli e poi incontrarsi ad Ustica con il resto della flotta composto da trenta galere con l'armata italo-angioina, proveniente da Brindisi. Ma il 5 giugno la flotta siciliano-aragonese, sotto il comando del Lauria si presentò dinanzi al porto di Napoli e il principe di Salerno, il figlio di Carlo I, Carlo lo Zoppo, disobbedendo all'ordine del padre di non muoversi, prima del suo arrivo dalla Provenza, uscì dal porto con la sua flotta napoletana, per combattere il Lauria che lo sconfisse e fece prigioniero lui e parecchi nobili napoletani. Quando Carlo I arrivò a Gaeta e seppe della sconfitta maledì il figlio, ma dovette rinunciare all'invasione della Sicilia, assediò invano Reggio e poi, per riorganizzarsi, si ritirò in Puglia dove, a Foggia, il 7 gennaio 1285, morì. Pietro III morì a Vilafranca del Penedès, l'11 novembre 1285,lo stesso anno del suo avversario Carlo I d'Angiò Uploaded with ImageShack.us --Vi esorto a postare le vostre monete aragonesi di Sicilia e vi ringrazio anticipatamente del vostro contributo per far diventare "grande" e seguita anche questa discussione --odjob4 punti
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FDC, ma siccome la moneta era dentro un oblò da molto tempo, forse anni, si era formato uno strato di sporco sulla plastica che rendeva opaca la moneta, appena l'ho tolta dall'oblò è uscita una moneta brillante come poche. Però non avevo notato i segnetti, per questo avevo paura che da FDC passasse a qFDC. non devi aver paura di niente....sia nel primo che nel secondo caso è una moneta eccezionale :)2 punti
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Nemmeno io ho il testo di riferimento del Cagiati, però ho provato ha fare una ricerca incrociata con il volume della Travaini sulla monetazione dell'Italia Normanna. Abbiamo su questo volume le tavole delle concordanze e troviamo che i n° 26 e 27 del Cagiati corrispondono al n°13 della Travaini che sarebbe il follaro a nome di Gisulfo II D/ +GISVLFUS PRINCEPS, Busto frontale con berretto e scettro, nel campo a dx, stella. R/ +OPVLENTA SALERNV, veduta delle fortificazioni sul mare. Che quindi corrisponde anche al Cappelli 21-24 - CNI 2-8, d'Andrea/Contreras n°26, etc.. Sempre su queste tavole apprendiamo che i n°28-29 del Cagiati corrispondono al n°14 della Travaini che è un follaro sempre a nome di Gisulfo II. D/ GISVLFV SPRICES, il principe in piedi con corona a pendenti, labaro e globo crugigero. R/ Nel campo su quattro righe + / OPVLE / NTASA / LERNO Cappelli 25-26, CNI 9-14, d'Andrea/Contreras 27, etc... Da questi dati ora è noto il tipo riportato dal Cagiati ai n° 27 e 29, ma credo che per conoscere l'esatta variante corrispondente al numero occorra recuperare una copia del volume del Cagiati. Spero sia stato utile.2 punti
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si fa riferimento al celeberrimo Tesoro di Via Alessandrina, che venne alla luce come ricordato giustamente da NUmizmo nella demolizione di una delle abitazioni fatte allo scopo di creare via dei fori imperiali a Roma . DEl tesoro fu fatta anche una celebre perizia (nonche successivamnete una pubblicazione ) che ogni buon giurista interessato alla numismatica dovrebbe conoscere. ecco un sunto della storia: Il 22 febbraio del 1933, nel corso della demolizione di un caseggiato al civico 101 di via Alessandrina, un manovale fece cadere a terra una lastra di ferro coperta da una doppia fila di mattoni: dall’apertura fuoriuscì una cascata di monete d’oro e di gioielli. Era il tesoro privato di un antiquario romano, Francesco Martinetti, che aveva vissuto in quell’appartamento dal 1865 fino al giorno della sua morte nel 1895. Come si può immaginare il rinvenimento del tesoro suscitò un immediato interesse per il valore economico complessivo e, soprattutto, per le circostanze del ritrovamento che ben si prestava ad avvalorare ulteriormente il programma urbanistico in svolgimento nell’area dei fori. Le cronache dei giornali dell’epoca avevano riportato con dovizia di particolari le vicende relative al ritrovamento e la gustosa notizia, successiva di una settimana, della diffusa vincita al lotto, avvenuta nei quartieri più popolari della città, di oltre un milione di lire. Sulla ruota di Roma era, infatti, uscito un terno secco coi numeri 74, 62, 24 che la “Smorfia” indicava rispettivamente come “monete”, “anelli d’oro” e “muratore”. Tesoro chiama tesoro, avevano titolato nell’occasione i giornali. Solo otto anni dopo la raccolta entrava a far parte delle collezioni del Medagliere Capitolino, al termine della risoluzione di lunghe controversie legali sorte tra gli eredi del Martinetti, il Governatorato di Roma proprietario dello stabile espropriato e gli operai scopritori. Il Regio Tribunale di Roma dopo aver nominato un collegio peritale per accertare la consistenza e la composizione del tesoro e stimarne il valore commerciale per l’attribuzione del compenso agli operai autori della scoperta, aveva prodotto una perizia a stampa con la stima patrimoniale del valore effettivo della raccolta che finalmente entrava a far parte definitivamente delle collezioni capitoline. Il tesoro di via Alessandrina comprende 2529 monete d’oro antiche, medioevali, moderne e ottocentesche, 81 tra oggetti di oreficeria e gemme, molte delle quali, in seguito riconosciute provenire da una delle collezioni di glittica più preziose del XVII secolo, la Collezione Boncompagni Ludovisi, di cui si era persa ogni traccia fino ad oggi. La raccolta consisteva per un verso dal denaro accumulato dal Martinetti con la vendita di reperti antichi e dall’altro da materiale d’antiquariato, una sorta di “riserva” a cui il commerciante poteva di volta in volta attingere, a seconda delle necessità. I materiali del Tesoro di Via Alessandrina (Collezione Martinetti) sono esposti al Medagliere Capitolino.2 punti
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Dopo aver visto innumerevoli volte le due croci di San Maurizio e San Lazzaro sulle monete e medaglie sabaude ho voluto aggiungere in collezione anche l' onorificenza da cavaliere L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è un ordine cavalleresco di Casa Savoia nato dalla fusione dell'Ordine Cavalleresco e Religioso di san Maurizio e dell'Ordine per l'Assistenza ai Lebbrosi di san Lazzaro. Storia L'ordine più antico, quello di San Lazzaro, fu fondato come ordine militare religioso al tempo del Regno Latino di Gerusalemmeverso l'anno 1090.L'ordine era concepito per la cura dei lebbrosi, e molti suoi membri erano lebbrosi guariti divenuti cavalieri. Con la caduta di Acri nel 1291 i cavalieri di San Lazzaro lasciarono la Terra Santa e l'Egitto per trasferirsi prima in Francia, e poi, nel 1311, a Napoli. L'Ordine di San Maurizio, invece, venne fondato nel 1434 da Amedeo VIII di Savoia, in seguito divenuto l'antipapa Felice V. L'unificazione dei due ordini avvenne il 22 gennaio 1573 per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoiatramite Magistrali Patenti[1]. Nelle costituzioni del nuovo ordine i cavalieri dovevano possedere quattro quarti di nobiltà e dovevano vivere in convento per almeno cinque anni. Carlo Alberto aprì l'ordine anche ai non nobili e Vittorio Emanuele II lo ridusse a Ordine dinastico onorifico con i cinque gradi tradizionali: cavaliere di gran croce, grande ufficiale, commendatore, cavaliere ufficiale, cavaliere. In base alla XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana il 1º gennaio 1948, l'Ordine Mauriziano è conservato nel suolo dello Stato italiano riconducendolo all'esclusivo e originario compito di ente ospedaliero. Con la legge del 3 marzo 1951, nr.178, all'art.9, lo Stato italiano ha cessato il conferimento dell'ordine, consentendo comunque l'uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie. Trattandosi tuttavia di un Ordine Dinastico e non statuale, il conferimento è legittimamente proseguito in modo autonomo da parte della Casa di Savoia[2]. L'attuale Ordine Mauriziano (Repubblica Italiana) [modifica] Con legge n. 4 del 21 gennaio 2005 L'Ordine Mauriziano diviene ufficialmente un ente ospedaliero italiano costituito dai presìdi ospedalieri Umberto I di Torino e l'Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo, permettendo in tal modo di continuare l'operato nell'ambito medico che la Repubblica Italiana ha stabilito per esso fin dal 1948. Sono compresi nel patrimonio immobiliare dell'Ente Statale la Palazzina di caccia di Stupinigi, il complesso monasticocistercense di Sant'Antonio di Ranverso, il complesso monastico cistercense antoniano dell'Abbazia di Staffarda. La gestione della fondazione è affidata ad un comitato costituito da cinque membri di cui: uno nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri, con funzioni di presidente del comitato; uno nominato dal ministro dell'interno; uno nominato dal ministro per i beni e le attività culturali; uno nominato dalla regione Piemonte; uno nominato dall'Ordinario diocesano di Torino. Gli eventuali oneri per il funzionamento di detto comitato sono a carico della gestione dell'Ente Ordine Mauriziano. Il comitato presenta una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei ministri, il quale provvede alla trasmissione alle competenti commissioni parlamentari. Attualmente solo la Fondazione Ordine Mauriziano si preoccupa del mantenimento degli edifici e dei beni storici esistenti; gli ospedali, dopo una disastrosa gestione, sono oggi affidati alla Regione Piemonte ed ai servizi sanitari nazionali. L'attuale Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (Casa di Savoia) [modifica] L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è un'associazione senza fini di lucro a scopo benefico. Agli aspiranti cavalieri sono, per statuto, richieste le doti di onestà, fedeltà, comprensione, generosità e perdono. L'ordine conta oggi circa 4 000 membri, fra cavalieri (associati maschi) e dame (associati femmine), distribuiti in 33 paesi e divisi in delegazioni nazionali e regionali. Normalmente vengono tenute due cerimonie ufficiali all'anno, durante le quali tutti gli associati sono invitati a partecipare. La prima viene celebrata in Francia, nell'Abbazia di Altacomba, e rappresenta la commemorazione dei membri deceduti di Casa Savoia. La seconda rappresenta il Capitolo Generale dell'Ordine e viene tenuta nell'abbazia svizzera di San Maurizio di Agauno, presso Martigny. Nell'occasione vengono introdotti i nuovi associati e ha luogo un ballo di beneficenza. L'accesso all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è riservato a tutti i membri della nobiltà italiana ed europea, oltre a coloro i quali, esentati con decreto magistrale, facciano parte del mondo delle scienze, dell'arte, della letteratura, dell'industria e degli affari, col presupposto che godano di ottima reputazione tra i loro pari e che condividano come obiettivo le finalità umanitarie dell'ordine stesso. Per antica consuetudine, l'insignito del cavalierato gode della nobiltà personale. L'ammissione in via di giustizia è prova del titolo primordiale di nobiltà per l'Ordine di Malta, come recita il Massimario Nobiliare del Magistrale Collegio dei Consultori Araldici dello SMOM. Dopo il 7 luglio 2006 il gran magistero dell'ordine è conteso tra Amedeo di Savoia-Aosta e Vittorio Emanuele di Savoia. La vicenda è tuttora oggetto di controversie tra le due opposte fazioni, che sostengono altrettanto opposte tesi. (Wikipedia)1 punto
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Buongiorno Gli farebbe bene un breve bagnetto in acqua demineralizzata al Mezzo ducato di Filippo V per sciogliere il terriccio nella piccola parte screpolata del rovescio? Grazie ps ... il colore della moneta è quello che vedete in foto.1 punto
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Classificavo questa moneta: solitamente per far prima prendo il MIR, da li i riferimenti per il CNI, controllo che siano corretti, e poi a seconda della moneta da classificare un paio di altri testi, generalmente uno specifico sulla zecca ed uno più generale per tipologia, infine do sempre o quasi un'occhiata al nostro sito nella sezione cataloghi per vedere se la moneta è già illustrata e con quale classificazione. Come spesso accade la classificazione fa via liscia, ma in questo caso ho trovato l'intoppo in prima battuta. il MIR classifica la lira con la Madonna delle Ghiaie al 783 FRA I MVT REG E C DVX VIII 1657 busto corazzato a destra, e sotto sigle. 783/1 esemplari con sigle IT CNI 289/296 783/2 esemplari con sigle BS CNI 297/298 783/3 esemplari con sigle GFM CNI 299/304 (corretto) Se ho ben classificato la moneta c'è più di una inesattezza 1. le monete con la Madonna delle Ghiaie non sono datate, la data 1657 compare sul tipo con il busto a sinistra QVEM GENVIT ADORAVIT 2. i tipi CNI 289 e 290 non hanno le sigle dell'incisore 3. sono solo i tipi 291 al 296 ad essere siglate IT. Ho controllato sul CNI ed effettivamente le da tra le monete non datate, poi sono passato al Ravegnani Morosini (fondamentale in qualsiasi biblioteca di numismatico, infinita fonte di notizie), non ho aggiunto altro sto aspettando che Bellesia produca l'immane sforzo dell'opera su Modena. Sul nostro sito è riportata pari pari la classificazione del MIR, quindi se è quella corretta io non ho classificato la moneta propriamente. Ducato di Modena Reggio e Mirandola Francesco I d'Este (1629 - 1651) Lira sd Modena Argento gr. 4,695 diametro mm 29,23 D/ FRAN: I : MVT: REG : ET: C: DVX : VIII busto a destra, corazzato, con ampio colletto. Rv: •:• AVERTISTI • IRAM • INDIGNACIONIS la Beata Vergine seduta, in atto di adorare il Bambino, nimbato, alla sua destra. Taglio liscio → Conservazione Bellissima; Moneta molto Rara Riferimenti: Ravegnani Morosini 48, MIR 783, CNI 290, Crespellani pag. 112, 97 Alcuni cenni: Le prime emissioni di questa moneta sono probabilmente state emesse durante la pestilenza del 1630. Il Duca stesso era devoto alla Madonna delle Ghiaie (che si venera a Reggio) che Le attribuiva il miracolo di averlo salvato dall'epidemia che fece strage negli stati estensi l'anno successivo alla salita al trono. Il moto al rovescio non fa che confermarne la devozione "allontanasti il furore dello sdegno". (Da R.M. vol I pag 214 e succ. )1 punto
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http://img221.imageshack.us/img221/7563/dsc183.jpg http://img52.imageshack.us/img52/6784/dsc1841y.jpg http://img401.imageshack.us/img401/1890/dsc203.jpg http://img7.imageshack.us/img7/1313/dsc204.jpg1 punto
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Buona giornata http://numismatica-italiana.lamoneta.it/docs/le_monete_di_pavia.pdf Saluti luciano1 punto
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Quel poco di inglese che conosco l'ho imparato cercando di rimorchiare turiste tedesche, inglesi, olandesi etc. quando andavo in ferie all'estero, prima di conoscere mia moglie ovviamente........... se puoi scrivimi un fac simile della domanda in inglese, poi la copio e gliela rimando, Grazie Marco A suo tempo avevo già postato un fac simile in inglese per presentare la richiesta. La trovi (e la trovate) a pagina 3 di questa stessa discussione.1 punto
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Come scritto sopra, Denaro di Pavia per Enrico II (1039 - 1125) allego un estratto dal bel lavoro di Limido e Fusconi disponibile integralmente in pdf fra le opere pubblicate gratuitamente dal forum Il tuo esemplare e' molto simile all'esemplare di destra. ciao Mario1 punto
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Il primo esemplare, come hanno giustamente detto altri, ha problemi al bordo, ed al dritto, oltre al vistoso segno al R/. L'impressione che ho, dalle foto del primo esemplare, é che ci sia poco lustro, e la moneta mi sembrerebbe lavata. Il secondo esemplare é giá migliore, ma le foto anche a me sembrano un po troppo piccole per una piú obiettiva valutazione. Mi sembra peró che la punta del baffo abbia un po di usura, mentre nel terzo esemplare, oltre ad avere una bella patina omogenea, ha anche un bel baffo, senza vistosi segni al D/ (che é il lato della moneta maggiormente esposto a segnarsi) ed un bel bordo. Il R/ mi sembra che abbia una piccola schiacciatura sul seno dell'Italia, con leggerissimi segnetti di contatto sulle pieghe della veste. Bell'esemplare, ma certamente solo la visione in mano consente una valutazione corretta al 100%. Posto per confronto un bell'esemplare con lustro integro sotto una bella patina originale. Come giá osservato da altri, moneta estremamente difficile da trovare senza segni di contatto, data sia la mole ed il peso che contraddistinguono questo tondello, oltre che dalla tipologia di conio soprattutto del D/, che ha un conio molto basso, che lo rende assai delicato. Un saluto, F.1 punto
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Aggiunti al mio sito: - Attilio Portioli, la Zecca di Mantova, Mantova 1879 - Benedetto Giovanelli, intorno all'antica zecca Trentina, Trento 18121 punto
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Sul Dritto la Vezzali e sul rovescio tutte e quattro le ragazze...se la meriterebbero una moneta,grandi !!!!!!! Viva le donne :give_rose: ....scusate il fuori tema ma non resistevo..... beppe1 punto
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salve in totale sono 4331 monete senza doppioni, senza contare asia,e affrica penso con tutte le monete siamo a torno a 5600 senza argenti1 punto
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Buon pomeriggio si Michele, c'è da aspettarselo. Forse torneranno in auge gli occhiali che reclamizzavano sui giornalini tipo Diabolik o Kriminal....nelle ultime pagine, insieme alle creme per diventare come Maciste.....anni 65 - 75, ma si......quelli con le lenti a raggi x, quelle che ti facevano vedere le donne nude ;) :) :rofl: :rofl: :rofl: Solo che adesso scriveranno: "occhiali che ti permetteranno di individuare i tesori riposti nei muri o nelle intercapedini del tetto della tua casa". :) :) :crazy: :crazy: saluti luciano1 punto
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Ragazzi, carta canta...... Ora che so che tutto quello che trovo nel muro di casa é mio stasera comincio a far buchi :crazy:1 punto
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Cagiati 23: follaro MENSEOCTUBR, Cappelli 52, Bellizia 48, MEC14 31-32, Travaini 26, CNI p.305 n.7-11 Cagiati 33: follaro LAS DEO/GLORIA, Cappelli 31, MEC14 27, Bellizia 45, Travaini 21, CNI p.310 n.11 punto
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Questa moneta mi lascia alcuanto dubbioso. Infatti , sebbene la legenda induca a pensare che si tratti di Agrippina maggiore, madre di Caligola, cui il figlio dedicò il memorabile sesterzio con il carpetum dalla legenda AGRIPPINA M F MAT C CAESARIS AVGVSTI, la moneta in oggetto , sebbene veramente malridotta, presenta le caratteristiche del sesterzio di Agrippina minore, moglie di Claudio. Questo sesterzio ha la caratteristica di avere la legenda diversa (AGRIPPINA AVG GERMANICI F CAESARIS AVG ) e manca della scritta a rovescio, oltre ad essere crudo per esecuzione stilistica. Questi sono gli elementi che mi fanno pensare all zecca trace: il ritratto è brutto, molto brutto, lo si capisce anche se la moneta è ridotta ai minini termini. Inoltre è decentrato, cosa questa che mai ho osservato nelle emissioni delloa zecca di Roma per queto periodo. Più si confà invece alle emissioni di zecche periferiche come quella trace. A rovescio anche se usurata, dovrebbe vedersi traccia della legenda MEMORIAE AGRIPPINAE, ed invece il campo è completamente piatto dove dovrebbe esserci la scritta. Oltretutto le mule sono allungate, caratteristica stilistica delle emissioni traci. Rimane la legenda, che sembra appartenere al sesterzio di Agrippina maggiore.... ma a questo punto la leggenda potrebbe benissimo essere stata rifatta artigianalmente in sede di restauro... Inutile dire che un sesterzio di Agrippina minore è molto più raro di un sesterzio di Agrippina maggiore, sebbene la conservazione di questa moneta non la renda eleggibile per entrare in collezione.1 punto
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