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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 10/24/11 in tutte le aree
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Una corona per chi, in battaglia, saliva per primo sul muro di una fortezza era composta da un cerchio merlato d’oro e si chiamava murale. Un esempio di tale tipologia di corona lo vediamo su questo AE Orichalcum Hexachalkon di Vespasiano coniato ad Antiochia. Al rovescio vediamo Tyche velata e drappeggiata con una corona murale (McAlee 374). Chi si distingueva in una flotta navale veniva decorato, invece, con una corona rostrata che abbiamo osservato nelle monete con il ritratto di Agrippa una delle quali ci riporta non solo la corona navale, ma anche quella murale. La corona vallare o castrense era sormontata da pezzi simili ai paletti di uno steccato degli accampamenti nemici ed era il premio di chi li sormontava per primo. La corona di pioppo era riservata ai giovani romani che si distinguevano nell’esercizio delle virtù e questo perché i rami di questa pianta decoravano il capo di Ercole. La caratteristica delle foglie del pioppo è quella di essere chiare nella pagina inferiore e scure in quella superiore “folia quia sunt viridia, et alba, minimoque impulsa vento”. Scrive Servio che le foglie di questa pianta hanno questa caratteristica perché Ercole indossava una corona di rami di pioppo anche quando scese agli inferi. Un lato di queste foglie toccava la fronte dell’eroe, ne assorbiva il sudore e diventava bianco; l’altro lato, invece, era avvolto dalle tenebre infernali e si scurì. Possiamo osservare in questo medaglione di Lucio Vero, al rovescio, Ercole che raccoglie dei rami di pioppo per cingersi il capo (Gn. 27). La corona d’ulivo, fin dall’antica Grecia, veniva indossata dagli atleti che riuscivano a vincere ai giochi olimpici. Qui vediamo il busto bronzeo, trovato nella Villa dei Papiri ad Ercolano, che raffigura un giovane con corona d’ulivo. I Romani conservarono questa tradizione, ma riservarono all’ulivo anche il significato di pianta della pace al punto che si intrecciarono corone con le foglie ed i rami di questa pianta per premiare quei soldati che contribuivano all’edificazione della pace. Segno di pace è anche il ramoscello d’ulivo che si può vedere in diversi esemplari numismatici sia della Repubblica Romana antica che del periodo Imperiale. Vediamo qui un denario fatto coniare da A. Plauzio che raffigura al dritto il ritratto di Cibele con corona murale. Al rovescio vi è Bacchius che si inginocchia porgendo un ramo d’olivo con la mano, al lato di un cammello (Cr. 431/1). Altra antica corona usata dai greci e riservata agli atleti era quella di pino e con questo serto si incoronavano gli sportivi che vincevano i giochi di Isthmia. Il pino cingeva anche il capo dei fauni ed era una pianta che si caratterizzava per il suo legno adatto alla costruzione delle navi al punto che le sue foglie avranno l’onore di poter decorare il capo del dio Nettuno. Nel seguente denario di Iunius Silanus vediamo al dritto la testa di un sileno con corona di pino, al rovescio D SILANVS LF in esergo e vittoria in biga con la frusta ed un ramo di palma in mano (Cr. 337/1a). Una statua marmorea di fauno con corona di pino. Il ritratto marmoreo di Antinoo con corona di pino. Collegata al culto delle divinità rurali come Demetra si rintraccia spesso, sia nel mondo greco che in quello romano, la corona di spighe di cereali. Ritroviamo tale ornamento del capo anche in relazione all’iniziazione ai Misteri Eleusini e ne rintracciamo un segno anche in monete auree di Gallieno come quella che segue sul dritto del quale vediamo il ritratto dell’imperatore rivolto a sinistra e coronato da una corona di spighe. La legenda riporta GALLIEN VS PF AVG. Al rovescio troviamo VICTORIA AVG e Gallieno in abiti militari in piedi, a sinistra, mentre regge un globo, uno scettro ed una lancia. Alla sua destra c’è la Vittoria che lo incorona mentre regge in mano una palma (RIC 81). Altri aurei di Gallieno con questa caratteristica della corona di spighe sono tutt’oggi un mistero in quanto recano al dritto una legenda al femminile (GALLIENAE AVGUSTAE). La corona di spighe, se si fa eccezione dei riti definiti “cerealia” che erano tipici delle classi sociali più umili, erano in effetti una prerogativa delle donne. L’iconografia specifica dei lari prevedeva che tali divinità tutelari del focolare domestico venissero raffigurate con corone di rami di rosmarino e di noce; richiamo che si evocava nel giorno delle nozze quando gli sposi venivano incoronati con corone che invocavano la protezione di questi numi che venivano venerati con edicole votive sia in prossimità della porta della casa, che nella cucina, nei pressi del focolare domestico.3 punti
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Tanta sincera e grata riconoscenza per gli ottimi contributi che voi tutti i partecipanti alla discussione avete apportato rendendo il lavoro ricco di preziosi riferimenti e notizie. :) Li collego tutti in un’unica raccolta fornendo, per quanto possibile, una sequenza di ritratti coronati nelle diverse modalità proprie dell’età classica. I tipi di corone riservate alle divinità sono diverse, ma alcune di esse sono state utilizzate anche per distinguere delle personalità illustri per meriti di valore civico, morale, bellico, artistico ed atletico. Qui focalizziamo la ricerca solo su quei tipi di serti che furono riservati non solo agli dei, ma anche agli uomini. Notiamo che le corone più remote sono quelle che appartenevano esclusivamente agli dei ed erano delle bende o delle fasce poste sulla testa, prima singole e poi doppie. Successivamente si utilizzeranno rami e steli raccolti dalle piante che verranno impiegati per decorare anche il capo degli esseri umani. Polidoro scrive che il primo ad indossare la corona, nella mitologia greca, fu Libero Padre che cinse attorno al suo capo uno stelo d’edera. Il mito racconta che vi era un bambino di nome Cisso che era solito danzare allegramente per onorare Dioniso; un giorno, però, mentre il piccolo onorava il dio con acrobazie, morì all’improvviso. Tale morte prematura impietosì la dea Gea che trasformò il giovane corpo esanime in una pianta d’edera. Da questo racconto gli antichi ritennero che una corona d’edera bastasse a limitare gli effetti del vino. Vediamo il capo di Bacco cinto di una corona d’edera sul dritto di questo denario della Repubblica Romana. Al rovescio è incisa una pantera rampante su di un altare che reca appoggiati al suo piano una maschera ed al suo lato un tirso. VIBIVS C in esergo, VARVS a destra (Cr. 494/36). La corona d’edera era propria anche della musa della commedia Talia ed è per questo motivo che anche i commediografi dell’antichità venivano decorati ed onorati con gli steli della stessa pianta. Bacco però era anche il dio dell’ebbrezza e del vino, è per questo che lo si può rintracciare spesso coronato con delle foglie di vite che venivano indossate anche dai fedeli a Bacco in occasione delle ricorrenze festive dedicate alla divinità. Anche gli antichissimi re dell’Egitto indossavano una corona che aveva la forma di un aspide. I sovrani della più remota antichità erano, però, soliti cingere il loro capo con un diadema che distingueva la loro autorità. Esso era un nastro tessuto in lana, seta o lino e poteva essere bianco, porpora o dorato. Sia i greci che i romani utilizzavano spesso delle corone di fiori sia per addobbare il capo delle divinità femminili che quello delle fanciulle. Ci riporta Plinio che sia le corone floreali che quelle vegetali vennero create la prima volta a Sicione dove esisteva, di tale tipo di composizioni, una vera e propria tradizione che ne produceva di così eccezionali da risultare il centro fornitore più raffinato di tutta l’antichità. In questa stampa che riprende un affresco di Pompei possiamo vedere una scena che richiama proprio tale arte di composizione di corone floreali. Nel seguente denario della Repubblica Romana fatto coniare da C. Servilio, vediamo al dritto il ritratto di Flora con una corona di fiori e dietro un lituus. La legenda riporta FLORA PRIMVS. Al rovescio troviamo due soldati collocati di fronte che presentano le spade, in esergo C SERVEIL (B. 15). Gli imperatori romani usarono diversi tipi di corone la più consueta delle quali era quella d’alloro che vediamo in questo asse dell’imperatore Adriano con incisa, nel rovescio, Minerva che avanza a destra tenendo in mano un giavellotto ed uno scudo (RIC II 664 var.). L’altra radiata. Veniva utilizzata anch'essa già nell’antica Grecia e la vediamo molto spesso incisa sulle monete dell’impero romano. Questo sesterzio è dell’imperatore Adriano ed al rovescio presenta la Pietà che è in piedi, rivolta a destra mentre indirizza verso l’altare le mani alzate. Sull’altare arde una fiamma (RIC II 601 C). Altro tipo è il diadema; esso era già presente nelle monete greche ed in quelle della Repubblica Romana, ma lo ritroveremo presente nel Basso Impero. Lo osserviamo nel seguente solido di Valentiniano I dove il ritratto dell’imperatore è diademato, drappeggiato e corazzato. Al rovescio vi sono Valentiniano e Valente seduti di fronte . Sopra una Vittoria (RIC-4 a.1). Ed una a guisa di berretta che venne privilegiata da Giustiniano nel periodo bizantino. Solido coniato a Costantinopoli con al dritto il busto dell’imperatore con elmo, lancia e scudo. Al rovescio angelo con globo e croce (Sear 137).2 punti
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Descrizione: Roma, Gregorio XIII (1572-1585). Testone senza data. Muntoni 27, C.N.I manca. D:/ Busto a destra con piviale con S. Pietro – (s): • GREGORIVS • XIII • PONT • M • R:/ Gesù a destra, consegna le chiavi a S. Pietro inginocchiato -(s): • ET • TIBI • DABO • _ • CLAVES, in basso a destra segno di zecca 69. All’esergo: • ROMA • T:/ Liscio. Note: è l’esemplare delle collezione Muntoni (illustrato in Tavola 51, Munt vol. 2) e classificato dal Muntoni stesso come “inedito”. Considerazioni: Durante l’anno giubilare 1575 (anno di coniazione della moneta in questione), sono stati richiamati a Roma, al fine sopperire alle aumentate richieste di moneta legate al flusso di pellegrini, innumerevoli artisti ed incisori. Il Martinori riporta: “Nel 1575 altri artisti furono chiamati alla Zecca per preparare le monete e le medaglie che in gran copia vi si coniavano per l’occasione della grande solennità del Giubileo. Tra questi troviamo uno che firmò una medaglia di Gregorio XIII con M . B . R . F . che il Milanesi legge MICHAEL BALLA ROMANUS FECIT. Un altro medaglista, di nome Pietro Paolo Galeotti, detto Il Romano, che firmava le sue medaglie PP . R . ovvero P . P . , lavorò nel 1575 come incisore di conii alla Zecca Papale. Era pesatore Cortese Baccino. Da una lettera del Marini all’Affò veniamo a conoscere come ai 10 di maggio del 1575 Leoni Ludovico fu levato dall’impiego e sostituito dal Galeotti, ed ai 12 dicembre dello stesso anno, il Leoni fu reintegrato nell’officio di “compressore ed intagliatore delle stampe” unitamente al Fragni.” Questa nota rende l’idea di come fossero concitate le attività in Zecca durante questo periodo. Per la tipologia in esame esistono diverse varianti (censite dal Munt 19 al 27): - Nell’accoppiamento dei conii (stemma o busto del pontefice al D/ e raffigurazione al R/). - Nelle legende del D/ e del R/ (ad esempio in alcune TIBI DABO viene invertito diventando DABO TIBI etc…) - Nella punteggiatura - Nei segni di zecca (classificati dal Munt ai numeri 67, 68 e 69) I segni di zecca che si possono trovare, come detto, sono 3: - n° 67: simbolo della zecca di Roma (Muntoni 19). Il Martinori riporta: “Una innovazione avvenne nella Zecca durante l’anno terzo del pontificato di Gregorio XIII, quello cioè di apporre alle monete coniate in economia dalla Zecca stessa, uno stemmetto che vediamo riprodotto in molte fogge differenti, e che denota la gestione della Zecca e le chiavi con le quali si chiudeva il cassone, contenente il numerario coniato, che erano custodite dagli officiali a ciò designati.” - n° 68: (Muntoni 24). Il Martinori riporta “Troviamo sopra alcuni Testoni e Giuli del 1575 e sopra altri senza data la cifra (68) che, non essendo attribuibile ad alcun altro zecchiere del tempo, potrebbe essere quella del D’Alessandri. - n° 69: Non viene riportata alcuna nota specifica (Muntoni 27) Il Munt 27 in particolare, è identico al Munt 24 ad eccezione del solo segno di zecca, che nel caso del Munt 24 è il 68, mentre nel Munt 27 è il 69. Lo stemma 67 rappresenta uno scudo con 2 piccole chiavi all’interno, mentre il 68 è forse riconducibile al D’Alessandri. Il Martinori non indica alcuna informazione per il 69. Si può quindi dire che, pur essendo coniate tutte nel 1575, le monete con i simboli 68 e 69 siano precedenti a quella con simbolo 67, infatti il simbolo che raffigura le chiavi (67) è stato introdotto sostituendo i simboli a monogramma precedentemente presenti sulle monete. Segni di zecca a confronto: - Nelle tavole del Muntoni i due simboli (68 e 69) sono rappresentati IDENTICI ma specchiati orizzontalmente. - Confrontando il Munt 24 con il 27 emerge che in realtà i due simboli sono diversi anche nella forma: il 68 più rotondeggiante e con la con la parte alta più prominente, il 69 più schiacciato e largo. Il fatto quindi che il simbolo di zecca 69 sia diverso e non ruotato rispetto al 68 implica la preparazione di un punzone apposito. Simbolo di zecca 69: Al fine di trovare ulteriore riscontro documentale al simbolo di zecca 69, abbiamo cercato nel Muntoni altre monete che portassero questo simbolo. Alla luce delle nostre ricerche risulta che solo il Munt. 28 (tipo diverso dal testone in oggetto) ha lo stesso simbolo di zecca del Munt 27. Le due monete sono state entrambe coniate durante l’anno giubilare 1575. Ipotesi: - Lo zecchiere che ha coniato i Munt 27 ha lavorato solo per questa coniazione e per il testone al Munt 28. - I Munt 27 sono stati gli ultimi testoni prima del passaggio agli stemmi (vedi nota Martinori), quindi coniati (in poche unità) con un simbolo che poi non è stato più utilizzato in quanto soppiantato dagli stemmi con le chiavi. Rarità Il fatto che la moneta non sia stata censita da altri oltre al Muntoni è attribuibile a due fattori: - Rarità oggettiva del pezzo. - Mancata distinzione tra i simboli di Zecca 68 e 69. È più probabile comunque che l’aspetto legato alla rarità sia di maggiore rilievo, infatti: - L’esemplare qui presentato è quello appartenuto al Muntoni stesso. Nel nostro archivio di passaggi d’asta non abbiamo rilevato nessun’altra apparizione, ad eccezione di un listino online in cui è presente un esemplare in conservazione molto bassa considerato solo “R”. - Il Muntoni 28 (unica altra moneta con simbolo di zecca 69) è stata catalogata anche dal CNI al numero 59. Il Muntoni 24 (con simbolo di Zecca 68) è stato classificato al C.N.I. 281. L’esistenza del simbolo 69 era nota dunque anche ai compilatori del C.N.I. Riteniamo quindi che la moneta sia realmente molto rara e che questa rarità sia dovuta alla presenza di un simbolo di Zecca utilizzato sulle monete di Gregorio XIII per un tempo brevissimo nell’anno 1575. Creando una struttura di verosimile successione temporale delle emissioni, possiamo dire: - Coniazione dei Munt 24 (con simbolo 68) (moneta R-RR) - Coniazione dei Munt 27 (con simbolo 69) (in contemporanea anche alla coniazione del Munt 28 con simbolo 69) --- sostituzione dei vecchi simboli con gli stemmi con le chiavi dei forzieri --- - Coniazione dei Munt 19 (con simbolo 67) (moneta R) Anche le rarità dei Munt 24 e 19 sembrano coerenti con la struttura proposta. Il “picco” di rarità del Munt 27 è quindi attribuibile ad un’interruzione di coniazione quasi immediata per sostituire il punzone del simbolo 69 con lo stemma 67.1 punto
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Buonasera a tutti, posto la lista di monete che vorrei scambiare, comprende Italiane, anche qualche pre-unitaria, Vaticano, San Marino e Mondiali. In cambio cerco euro in condizioni FDC, posto le due liste. Nella Manco-lista Euro sono anche riportate le tirature delle monete mancanti, per chiarimenti contattatemi senza problemi via MP. Nelle liste troverete anche la conservazione ed il valore che ho dato alle monete, gradirei avere liste strutturate nello stesso modo per abbreviare i tempi di scambio. Farò fotografie delle monete a richiesta. Dato che sarò a Verona per la Fiera ad Ottobre eventuali scambi volendo si potranno effettuare di persona in quella sede. Grazie a tutti, Giò Liste aggiornate il 05/09/2012, Giò Manco-lista Euro 2.zip coins-x-scambi.zip1 punto
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Salve Gianfranco. Complimenti per il bell'esemplare, di grande interesse storico e in buono stato di conservazione per il tipo. In effetti di Annibaliano si sa pochissimo: figlio di Flavio Delmazio e nipote di Costantino I, fu educato a Tolosa dal retore Exuperio. Nel 335, Annibaliano sposò la figlia di Costantino, Costantina, e fu elevato al rango di nobilissimus. In occasione della preparazione della campagna militare di Costantino contro i Sasanidi (337), Annibaliano fu nominato Rex Regum et Ponticarum Gentium, "Re dei Re e delle Genti Pontiche". Tale titolo fa supporre che Costantino intendesse porre Annibaliano sul trono del Ponto, dopo la sconfitta dei Sasanidi. La campagna non ebbe luogo, in quanto Costantino morì nel maggio del 337, succeduto dai suoi tre figli. Annibaliano fu ucciso, assieme al fratello, nella purga che colpì i membri maschili della famiglia imperiale e che tolse di mezzo molti pretendenti al trono. E' vero che dal punto di vista monetale sono note solo queste due tipologie: purtroppo, la foto non si trova facilmente. Ho, però, la descrizione dell'AR siliqua: D/ FL. ANNIBALIANO REGI, busto nudo, drappeggiato e corazzato a destra. R/ FELICITAS PVBLICA, il Fiume, seminudo, coricato a sinistra, regge nella destra un pesce e nella sinistra un timone, in secondo piano un canneto; in esergo CONS. Rif.: C. 1; RIC 100. Rarità: R3. Le monete di Annibaliano, emesse tutte a Costantinopoli, non ci restituiscono un ritratto veritiero e personale del regnante: esso è eseguito nello stile classicheggiante e giovanile del periodo costantiniano. Dalla sua immagine, però, spira un senso di giovanile freschezza che è favorita da un'incisione morbida e sfumata, quindi anche molto sensibile alla consunzione e all'usura.1 punto
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Cambia, cambia e comprati qualcosa ;) Le 50.000 Bernini rosse circolate, già prescritte da tempo, al convegno di Verona le vendevano a 8 euro.1 punto
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Il Senato ed il Popolo Romani concedevano diverse corone come premio al valore e questo sia nell’era repubblicana che in quella imperiale. Una di queste era la corona trionfale, composta d’alloro, che distingueva il valore della vittoria degna del Trionfo. Nel seguente denario di Pompeo vediamo il suo ritratto al dritto con la legenda IMP CN. MAGN mentre al rovescio vi è una vera e propria scena allegorica nella quale si vede al centro il figlio di Pompeo Magno, Cnaeus Pompeus jr., tra il genio della Spagna che è a destra e reca in mano un caduceo; indossa anche una tunica corta ed una corona turrita e la personificazione di Cordoba che è a sinistra e reca sulla spalla un trofeo mentre colloca sulla testa di Pompeo una corona d’alloro. Nel campo a sinistra si legge PR. Q, in esergo M. MINAT SABIN (Cr. 470/1 c). Un’altra era quella ovale di mirto riservata a chi avesse conquistato qualche città con poco spargimento di sangue. Il mirto era una delle piante simboliche più care all’antica Roma ed è Tito Livio che ci fa sapere che l’Urbe era sorta nel punto in cui era cresciuto il mirto. Tale affermazione non va colta solo alla lettera visto che gli antichi avevano osservato che il mirto, per crescere, scacciava qualsiasi altra pianta. Tale esuberanza vegetale divenne il simbolo della supremazia ed è così che gli odorosi rami di mortella potevano sostituire l’alloro nell’incoronazione dei combattenti valorosi più per diplomazia che per violenza. Tale pianta era anche sacra ad Afrodite ed è per questo che giunse a rappresentare anche l’amore. I poeti che avevano cantato d’amore nei loro versi, venivano quindi incoronati con il mirto. Nel seguente denario della Repubblica Romana fatto coniare da Man. Emilio Lepido, vediamo la corona di mirto sul capo di Roma che presenta anche un diadema ed un ritratto drappeggiato, rivolto a destra; dietro *. Al rovescio vi è una statua equestre su arco di trionfo e legenda M AEMILIO LEP (Cr. 291/1). Altra corona era quella ossidionale concessa a chi si distingueva per valore salvando il proprio esercito dall’oppressione nemica. La vediamo nel dritto di questo denario di Giulio Cesare, sul suo ritratto rivolto a destra. Dietro sono incisi un lituus ed un culullus, davanti la legenda CAESAR IMP. Al rovescio la legenda M METTIVS e Venere in piedi e rivolta a sinistra mentre tiene la Vittoria nella mano destra ed uno scettro nella sinistra. Il gomito sinistro di Venere è appoggiato su uno scudo e nel campo a sinistra vi è una G (Cr. 480/3). In questo denario si può notare una novità che per due secoli Roma aveva evitato e cioè quella di incidere sulle monete il ritratto di un sovrano e Cesare era stato da poco nominato dittatore per la quarta volta ed era questo un tempo senza precedenti. La possibilità di apporre questo ritratto era stato concesso dal Senato, ma ciò non evitò di instillare in molti romani il timore che Cesare ambisse a diventare re di Roma tanto che di lì a poco si giungerà alla congiura delle Idi di Marzo. C’era poi la corona civica: una ghirlanda di rami di quercia che distingueva chi salvava un proprio concittadino dalla morte imminente sopprimendo l’assalitore. Rivediamo questo tipo di corona nel rovescio di questo denario di Augusto circondata dalla legenda: OB CIVES SERVATOS. Al centro vi è poi lo scudo sul quale si legge: S.P.Q.R CL(ipeus) V(irtuti). (RIC 79). Chi indossava tale tipo di corona era oggetto di molti riguardi. Quando appariva in pubblico tutti si alzavano in piedi ed aveva un posto d’onore riservato tra i Senatori oltre ad essere perpetuamente dispensato da tutti gli obblighi di servizio allo Stato. Il Senato concesse ad Augusto un onore speciale senza precedenti e che consisteva nella possibilità di issare la corona civica sul proprio palazzo. Nel corso delle calende di marzo, poi, a partire da quelle del 27 a. C., il Senato donava ad Augusto una corona di quercia in oro come riconoscenza per aver salvato la vita dei cittadini romani restaurando la pace nell’impero. Vediamo Augusto con la corona civica in questo busto marmoreo. Chi era insignito di tale serto veniva appellato “uomo di quercia” intendo così simbolizzarne la forza.1 punto
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Vi posto il mio personale punto di vista sulle Fiere Numismatiche...non è proprio una poesia, almeno non una delle mie classiche ma esprime bene i miei sentimenti e le mie sensazioni al riguardo... Per tutti Voi... :) Fiera Il salone gremito di gente il vocio, la confusione ed i colori il croccante frusciar delle banconote... lo scintillio tintinnante delle monete, il tempo passato in allegria con gli amici che condividono la grande passione, l'entusiasmo che prende la mano ed aver la voglia di farsi un regalo, cercar sui banchi la preferita... portarla a casa con delicatezza e riporla con cura tra le sue sorelle per poterla ammirare, sfiorare e catalogare ...con calma, senza che nessuno disturbi il piacere che regala quel dischetto fino a poco prima anonimo e che ora ci parla infondendo in noi una profonda curiosità per la sua storia. Tutto questo è Fiera, il luogo dove il collezionista si ricrea. Giovanna Riccione 21/08/20081 punto
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Confermo la datazione al XVII (prima metà),e identifico il R/ si tratta di una bellissima raffigurazione di Santa Teresa D'Avila, monaca carmelitana e grande mistica,bellisimo l'angelo che tiene la freccia in mano,suo attributo (in riferimento al rapimento mistico durante il quale l'angelo divino la trafisse al cuore),fu canonizzata il 12 marzo 1622,da papa Gregorio XV. Paolo VI la proclamò,Dottore della Chiesa,è protettrice della Spagna e dell'Ordine Carmelitano. Complimenti!!!! Ciao Borgho.1 punto
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Mi permetto di aggiungere che l'ipotesi di un'altra moneta da 2 euro pressata su questa avrebbe prodotto un'immagine speculare di quella originale. Quindi si tratta di una doppia coniatura sfuggita alla zecca. Saluti Andrea1 punto
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