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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 10/18/11 in tutte le aree
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Nell’antica Roma le corone erano dei premi assegnati a chi compiva azioni che richiedevano un grande coraggio unito ad un alto valore morale. Ogni azione eroica veniva riconosciuta pubblicamente mediante un tipo specifico di corona. La CORONA CLAUSTRALE veniva tributata al soldato che entrava per primo nel campo nemico scavalcandone lo steccato. Questa corona era guarnita di punte che simulavano le difese degli accampamenti. La CORONA CIVICA era la ricompensa assegnata al legionario che salvava la vita di un camerata che stava per cadere in mano nemica. L’assalitore doveva essere ucciso ed il soldato salvato doveva testimoniare il valore del suo salvatore perché il riconoscimento venisse tributato. Tale corona era composta da due rami di quercia. Questo riconoscimento venne tributato ad Augusto nel 24 a. C. La CORONA GRAMINALE O OSSIDIONALE veniva attribuita ai soldati a capo di una legione che salvavano, con il loro coraggio, i commilitoni da un disastro gravissimo ed imminente. Essa venica composta intrecciando fili d'erba o fiori raccolti nel campo nemico La CORONA MURALE veniva posta sul capo di chi, per primo, avesse scavalcato le mura di una città assediata. Aveva la forma e la struttura che ricalcava le mura e le torri di un'antica città fortificata. La CORONA ROSTRALE apparteneva a chi entrava per primo in collisione con una nave nemica dando una svolta vincente alla battaglia. Tale tipologia di corona veniva detta “rostrale o rostrata” perché era ornata da un becco che ricalcava il rostro delle navi che altro non era che uno sperone in bronzo collocato sulla parte anteriore delle navi da guerra e serviva ad arpionare le navi nemiche. Famosi, a Roma, erano i rostri collocati nel Foro e che provenivano dalla battaglia di Anzio, dove Agrippa aveva sconfitto la flotta di Antonio e Cleopatra nel 31 a. C. In questa moneta (RIC I 158) troviamo i ritratti di Augusto ed Agrippa. Augusto indossa la corona civica con rami di quercia, mentre Agrippa presenta la corona rostrata. In questo denario (RIC 414) con l'indicazione del monetario Cossus Cn. F. Lentulo, vediamo Agrippa sia con la corona rostrata che con quella murale. La CORONA TRIONFALE era costituita da due rami di alloro e simboleggiava la vittoria. Nel periodo repubblicano era la ricompensa per i generali vittoriosi, mentre durante l’Impero era il simbolo inscindibile del titolo di imperatore. Essa divenne così un attributo del principe e segnava il suo potere supremo. La CORONA RADIATA simboleggiava il sole e venne assegnata ad Augusto, dal Senato, dopo la di lui morte. A partire dal 66 d. C., durante l’impero di Nerone, tale corona distingueva il dupondio dall’asse mentre da Caracalla in poi divenne la caratteristica iconografica principale dei nuovi pezzi coniati dall’imperatore: gli antoniniani che valevano due denarii. In questo tipo di moneta, l’effigie dell’imperatrice è collocata su un crescente lunare in modo che la coppia imperiale viene ad essere assimilata al Sole ed alla Luna. Sempre la corona radiata, dall’imperatore Decio, venne incisa ad indicare il doppio sesterzio. Ho aggiunto a queste brevi note le immagini della colonna rostrata che compare nel ritratto di Agrippa e che è la corona che mi piace di più; lascio a voi la composizione di una galleria di ritratti con altri tipi di corona :P Enrico :)2 punti
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Ciao Enrico, un argomento molto interessante da trattare. Complimenti per l'originalissima idea. Aggiungo l' "immancabile" e celeberrimo (grazie alla perugina :P ) denario di Faustus Cornelius Sulla.1 punto
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comozione.....si vede ancora l'usuro che il ditto a lasciato dopo tanti e tanti uso...... :)1 punto
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Grazie, Rapax, per questo interessante file :) Aggiungo una piccola curiosità circa l'impiego degli elefanti come "macchine da guerra". Tali animali avevano scosso molto i soldati romani che li vedevano per la prima volta, ma furono molto abili a trovare il modo per sconfiggerli. I romani avevano notato infatti che gli elefanti non tolleravano i rumori assordanti ed impiegarono così delle trombe squillanti che facevano suonare all'impazzata mentre molti soldati urlavano in contemporanea. Tale frastuono faceva imbizzarrire le bestie che poi si rivoltavano contro i soldati stessi che li guidavano. Enrico :)1 punto
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Grazie Minerva per questo splendido studio. E' interessantissimo, scorrevole ed estremamente utile. Complimenti. :)1 punto
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Una lettura affascinate, grazie Enrico. :) Il mito della fenice, quello si che è immortale... :rolleyes:1 punto
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C’è un simbolo che ha valicato il succedersi del tempo ed i confini di ogni cultura volando nell’arte figurativa e posandosi nella poesia come nella prosa, splendendo di chiaro significato fino ai giorni nostri. Tanta universalità proviene dal suo esprimere una speranza propria di ogni uomo e che è quella dell’immortalità; prospettiva “che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa”. Il simbolo in questione è quello della fenice. Il mito della fenice è nato ad Heliopolis in Egitto, la città dedicata al culto del Sole. Le sue forme ed il suo significato non sono altro che una manifestazione propria della cultura dell’antico Egitto che fin dai tempi più remoti si è posta il problema di come far giungere l’uomo all’immortalità. Non è un caso, quindi, se nelle narrazioni legate alla fenice si rintracciano elementi propri dell’arte della mummificazione o del culto della divinità solare. La Fenice, secondo la mitologia, viveva più di mille anni (Esiodo) e trascorreva la maggior parte del suo tempo in Etiopia. Il suo aspetto era meraviglioso: grande il doppio di un’aquila e con le piume iridescenti. Il suo petto aveva i colori dell’arcobaleno, ma si illuminava brillando di riflessi purpurei quando veniva accarezzato dai raggi del sole; le zampe erano di colore ocra, sul collo aveva trecce di colore zafferano mentre gli occhi splendevano d’ambra. Era l’unico della sua specie (unica avis) e quando si accorgeva che stava per giungere il momento della morte, volava lungo tutto il mondo per raccogliere rametti e resine profumate che utilizzava per costruirsi un nido che intrecciava con nardo, incenso, cassia e cardamomo. Costruiva questo grande nido in Arabia, vi si adagiava orientandosi verso il sole e battendo le ali per alimentare le fiamme che venivano a crearsi perché la fenice bruciasse. Passavano tre giorni durante i quali la fenice giaceva morta ed incenerita, tre giorni seguiti da tre notti senza luna, ma al terzo succedeva il giorno in cui nel nido compariva un nuovo pulcino che componeva un uovo di mirra nel quale racchiudeva le ceneri rimaste della vecchia fenice e si metteva in volo verso Eliopoli affinchè l’uovo di mirra venisse bruciato sull’altare del Sole, dai sacerdoti del dio. Giunto il momento del rito, un sacerdote usciva dal tempio per confrontare l’aspetto della giovane fenice con un disegno che lo rappresentava nei testi sacri e solo dopo questa verifica veniva deposta la cenere della vecchia fenice sull’altare del Sole (Erodoto di Alicarnasso ed Ecateo di Mileto). Terminata la cerimonia, la nuova fenice ripartiva per l’Etiopia dove viveva nutrendosi di perle d’incenso e rugiada. Il suo luogo abituale era nei pressi di un oscuro pozzo ricco di acqua gelida presso la quale, prima dell’alba, la fenice faceva il bagno cantando una melodia tanto bella che anche il sole di fermava ad ascoltarla prima di sorgere per il nuovo giorno (Tacito). Il canto della fenice dava coraggio all’uomo con il cuore puro e paura a chi aveva un’indole cattiva, le sue lacrime guarivano da ogni ferita e malattia mentre le sue piume e la sua cenere potevano riportare in vita i morti. Il nome “fenice” deriva dal greco “foinix” ed indica il colore rosso porpora o cremisi che richiama quello del sole al tramonto o negli istanti dell’aurora. Dei cicli del sole, la fenice riprende non solo i colori, ma anche la ciclicità rimarcando con la sua vita il susseguirsi del giorno e della notte in una costante resurrezione che si rinnova e rigenera. La fenice come simbolo, infatti, esprime proprio questa ossimorica coesistenza di morte e nascita mediante la rigenerazione che la destina all’eternità. Il mito della fenice trovò origine nell’antico Egitto, ad Eliopoli, dove ben si adattava al culto del sole ed alle cicliche inondazioni del Nilo che producevano la rigenerazione della natura. Passò poi ai Fenici che si definivano “figli della fenice” e da lì il mito si estese all’India ed all’estremo Oriente. Questo emblema di rinascita lo si rintraccia anche nella mitologia greca e leggiamo della fenice sia nelle opere di Erodoto che di Esiodo. Per quanto riguarda l’antica Roma, Plinio il Vecchio scrive che “il primo tra i Romani ed in maniera molto accurata ne ha data notizia (della fenice) Manilio, senatore famoso, rinomato per il suo grande sapere ed autodidatta”. Manilio era un poeta erudito dell’epoca sillana e viene citato da Varrone. Sempre Plinio scrive che la fenice “venne portata a Roma durante la censura dell’imperatore Claudio, nell’anno 800 della città (47 d. C.) e venne esposta nel comizio, il che è attestato dagli Atti, ma nessuno esita a definire quell’uccello un falso”. Gli scritti di Plinio il Vecchio ci fanno scoprire che l’immagine della fenice giunse a Roma di pari passo con i fermenti culturali che accompagnarono l’avvio del I secolo a. C. e si consolidò durante il periodo augusteo, quando Ottaviano volle il trasporto degli obelischi di Eliopoli a Roma. La simbologia dell’eternità sottesa all’immagine della fenice ben si adattava al motivo dell’eterna vita di Roma per la virtù del suo princeps. Parafrasando Claudiano (Carm. Min. 27), il Sole concede al princeps la luce necessaria a far brillare i “saecula aurea” così come accade alla fenice che vola verso Eliopoli con il suo innumerevole corteggio di uccelli. La fenice risorge a nuova vita dalle sue stesse ceneri e tale immagine calzava alla perfezione se si consideravano le origini leggendarie di Roma che sorge dalle ceneri di Troia. Il pio Enea che raggiunge le coste italiche curandosi dell’anziano padre, ben si adattava all’immagine della fenice che raggiungeva Eliopoli trasportando l’uovo di mirra contenente le ceneri dell’avo; troviamo tale tematica nelle Metamorfosi di Ovidio (XII, 53.1). Le stesse consuetudini funerarie dell’antica Roma, quelle della cremazione, proponevano analogie perfette con il mito e con il simbolo che si prestava ad essere emblema non solo di rinascita, ciclicità e rigenerazione, ma anche di pietas filiale. Marziale (epigrammi 5.7) dedica formalmente un epigramma a Domiziano e scrive un’invocazione al dio Vulcano perché risparmi Roma dal fuoco. Tale opera letteraria fa comparire la fenice come emblema di Roma che, grazie al programma edilizio di Domiziano, rinasceva dopo essere stata sfigurata dagli incendi (in particolare quello dell’80 d. C.) e risorgeva più bella di prima, sulle vecchie ceneri. Il simbolo della fenice non è presente solo nella letteratura e nella poesia dell’antica Roma, ma diviene molto spesso il tema di raffigurazioni figurative con mosaici, affreschi ed incisioni. Spesso la si ritrova raffigurata con delle rose e questo per un abbinamento simbolico con la festa delle rose che i romani appellavano “Rosalia”. Tale celebrazione era legata al culto dei morti ed a quella pietas che prevedeva che si portassero delle rose presso le tombe degli avi. Le rose indicavano il ristoro ed il ricordo dei vivi per gli antenati. Il simbolo è presente anche sulle monete dell’Impero Romano nelle quali troviamo raffigurata la fenice con il capo coronato di raggi ad indicare l’eternità di Roma e degli imperatori che sono collocati tra gli dei immortali. La fenice si trova spesso adagiata su una montagnola o su un globo nelle mani dell'imperatore. L’imperatore Adriano collocherà una fenice ad indicare la successione da Traiano; il simbolo viene utilizzato per indicare che il nuovo imperatore non è altro che la continuazione del precedente. La ritroviamo, poi, su monete di Faustina e Costantino I. Con le monete di Costante tale simbolo è accompagnato dalla legenda FEL TEMP REPARATIO che richiama la ritrovata felicità per opera e virtù del princeps. Enrico :)1 punto
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io oltre alle ricevute ebay e paypall, comprerei solo da soggetti che sono in grado loro in primis di fare una ricevuta fiscale. il fatto che sia ebay il canale di acquisto viene in un secondo momento, come prima cosa valuterei questo: il venditore X è in grado di farmi una ricevuta fiscale? sì. ottimo, allora compro da lui. vado in negozio o prendo da ebay visto che il soggetto pera in entrambi i canali? qui vado dove mi è più comodo. io opererei così. poi tranquilli non si può mai stare... ma mal che vada nessuno può contestare un reato di ricettazione... se sei in grado di dimostrare che hai acquistato tutto alla luce del sole! la rogna è che comunque sia, dovesse mai succedere, è cmq una enorme seccatura oltre che una vessazione. ma su questo si potrebbe parlare per ore!1 punto
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Molte volte mi sono domandato quali siano gli obblighi morali di un commerciante di monete o numsmatico nella trattativa commerciale; quanto sia lecito pagare una moneta in rapporto al valore commerciale della medesima ed a quanto sia opportuno venderla senza approffittare della buona fede altrui. Non sono pratico della materia, ricordo solo, e forse a torto che mi dissero che per un commerciante non era etico acquistare una moneta a meno del 60% del valore comunemente ritenuto tale per la stessa moneta. In buona sostanza una moneta stimata 100 euro il commerciante non dovrebbe pagarla meno di 60. Non so se questo sia vero, oppure frutto di una mia fantasia. Non ricordo invece nulla quanto al ricarico da applicare alla moneta. Questo, dato che verrebbe in teoria proposta a persone competenti, dovrebbe essere l'acquirente stesso a poterne giudicare il reale valore, e quindi decidere se procedere o meno all'acquisto. Molte volte in asta si vedono cifre folli per monete che in un differente contesto con ogni probabilità spunterebbero meno della metà. Si sa che l'asta è fortemente emotiva e ciò porta ad una manifestazione di esaltazione personale, che talvolta si paga cara e salata. Detto questo, parteciparvi è un atto di assoluta liberalità, e chi vi partecipa è generalmente una persona competente, che conscia della propria follia non esita a pagare 2 ciò che vale 1. Il problema mi è nato ieri, mentre in aereo ho sbirciato sulla copia de La Stampa che il mio vicino stava leggendo. Sono rimasto così impressionato che alla fine mi sono fatto dale la pagina pubblicitaria che promuoveva l'acquisto di due marenghi per celebrare il 150mo dell'unità d'Italia. Ho letto e riletto tre o quattro volte l'annuncio e sono rimasto costernato di come si possa fare della numismatica un perfetto mezzo per carpire la buonafede altrui e trarre vantaggio dalla rivalutazione dell'oro e da un evento storico ed irripetibile un eccellente mezzo di profitto. L'annuncio è di una Azienda ben nota in Italia ed all'estero con numerosi dipendenti ed interessi in più o meno tutte le propaggini del collezionismo d'arte. In poche parole viene pubblicizzata la vendita di due marenghi per 925 euro, senza spese aggiuntive per la spedizione ed anche in comode rate mensili. Il prezzo rimane tale, fatto salvo l'adeguamento del prezzo di vendita sull'agio dell'oro; evidentemente devono essere piuttosto stretti con il margine. La pubblicità è ingannevole (e sono pienamente responsabile di ciò che scrivo), vengono pubblicate due monete una da 20 lire 1853 Genova in conservazione BB di V.E. II Regno di Sardegna datata 1853 ed un 10 lire 1863 Torino in BB, chiamando tutte e due le monete "marenghi". Non viene specificato l'anno, la zecca, e la conservazione della moneta che verrà fornita al momento dell'acquisto. Le due monete vengono garantite autentiche e "Conservate in perfetto stato di conservazione" e questa è la frase più sibillina; cosa significa : CONSERVATE IN PERFETTO STATO DI CONSERVAZIONE ? chiaramente tutto corredato di un elegante cofanetto. Ammesso e non concesso che siano effettivamente le monete illustrate a venire vendute; una stima di 200 euro per il 20 lire e di 120 euro per il 10 lire sarebbe fin tanto generosa. A questo aggiungo ben 10 euro per il certificato ed altrettanti 10 ... ma anche 20 euro per l'elegante cofanetto in plastica telata o raso. In tutto non arriviamo a 350 euro. E' giusto guadagnare, ci sono spese di comunicazione, marketing, costi fissi etc. etc.. Considerato che opera dal 1890 devono essere ben bravi, 50% di utile lordo: arriviamo a 525 / 550 euro. Gli altri 400 euro chiesti per l'incredibile dittico sono al limite ed oltre del carpire la buona fede altrui. E' vero che nessuno è obbligato all'acquisto dell'incredibile dittico ... ma questo tipo di comunicazione non fa che danneggiare la numismatica. Mi auguro solo che chi acquista il dittico non abbia mai bisogno di rientrare in possesso del proprio denaro, o sperare che l'oro varrà 5.000 $ l'oncia1 punto
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Io non ho parlato di puntare il dito contro nessuno però... semplicemente credo si possa esporre un fatto... io ho comprato questa moneta da tizio che mel' ha venduta al doppio del suo prezzo, io ho visto sul giornale che tizio tenta di vendere una moneta al triplo del prezzo reale... qualcuno tirerà le somme.... non è un giudizio... forse però è una lista è nera... Secondo me c'è troppa chiusura verso l' argomento... quando Cigoi vendeva i suoi falsi per il mondo, in molti se ne erano accorti, ma nessuno prendeva parte contro di lui perchè era un' autorità del tempo e perchè non si poteva parlare male di Luigi Cigoi tra brave persone, una persona l' ha fatto ed è grazie a Kunz se oggi i falsi Cigoiani sono un numero decentemente ridotto.... credo che se c'è una comunità numismatica, quella debba lavorare proprio per tutelarsi... e sta a chi ha le capacità, secondo me, mettere in guardia tutti gli altri... questo non vuol dire assolutamente che oggi debba nascere una discussione con il titolo "non comprate più da tizio"... ma almeno fare presente che tizio ha cercato di imbrogliarmi! e se proprio il nome di tizio non si può fare (credo che comunque si possa), almeno capiamoci, come in questa discussione in cui il nome dell' impresa non è scritto in lettere ma è palese... così si cresce insieme e ci si tutela a vicenda, perchè nello specifico, se lui ha fregato una persona, adesso non fregherà più nessuno di questo forum credo!1 punto
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Condivido il grido d'allarme e le recriminazioni lanciate da Magdi Oltretutto è giusto e doveroso, certamente entro i limiti della correttezza e la buona educazione s'intende, commentare e discorrere dei casi ove vengono date , a prospettici clienti, informazioni non corrette o se vogliamo incomplete. Questo sito, un forum , è di per sé un'arena di discussione libera tra i cui compiti, che si è data, comprende anche quello di segnalare possibili disfunzionamenti o eventualità che possono recare pregiudizio ai collezionisti. Pr le opportune segnalazioni del caso, ove ricorressero i termini, esistono istituzioni preposte a tale scopo. Abbiamo ricordato sopra l'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, la quale ha, proprio tra i suoi compiti specifici casi analogi a quello segnalato in questa discussione. Lasciamo quindi ai canali ufficiali perseguire, previa opportuna denuncia - se ci sarà - , se il caso rivesta o meno interesse giuridico. Ad ogni buon conto più che giusto, evitando certamente di pronunciare condanne a priori, segnalare l'anomalia e chiedere pareri agli altri amici/colleghi del Forum per verificare il consenso su questioni come questa. I dibattiti sul Forum servono anche (anche se non solo) a questo :)1 punto
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salve a tutti inoltre a le monete postate prima agiungo anche queste Stato Pontificio doppio giulio del III tipo (busto) 1778 Doppiogiulio o Quinto di scudo 1774 5 baiocchi 1853 Variante ANN.VII. 2 baiocchi romani (PIO VI 1775-1779) 2 baiocchi 1849 R 1 baiocco Rom. Bened.XIV baiocco 1801 X2 III tipo baioco 1835 1 baiocco 1851 R m.baiocco 1816 B mezzo baiocco 1825 variante 1/2 baiocco 1851 B variante senza firma 1/2 soldo 1867 XXII 2, 1/2 cent 1 soldo da 5 cent 1867 data piccola 1 soldo da 5 cent 1866 X4 grosso 5 baiochi 1777 R2 quattrino 1605-1621 II tipo paolo V quattrino ravenna 1740-1758 quattrino ravenna 1740-1758 con i fiori centesimo 1867 variante punto sotto 1 Sicilia e Napoli 10 tornesi 1833 10 tornesi 1825 8 tornesi 1797 un grano cavalli A.12.P. 1792 un grano cavalli C.12.C. 1790 2 tornesi 1842,1843 1 tornese 1817 mezzo tornese 1853 variante inoltre agiungo anche queste 1 quattrino 1792 Massa di Lunigiana quattrino 1740 Bologna quattrino 1858 Toscana 1 soldo 1862 Vienna Lomb.Veneto quattrino Ascoli XIII-XIV ponte Regno di Sardegna 5 centesimi 1826 Torino P e testa d'aquila 5 centesimi 1826 Torino L e testa d'aquila 3 centesimi 1826 Genova P e ancoretta 3 centesimi 1826 Torino L e testa d'aquila X2 1 centesimo 1826 Torino P e testa d'aquila X2 Genova 2 soldi 1814 X2 Austria 2 kreuzer 1848 A 1 kreuzer 1816 A x2 1 kreuzer 1816 B 6 kreuzer 1800 B 3 kreuzer 1800 G 1 kreuzer 1800 A 1 centesimo 1812 V1 punto
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