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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 10/17/11 in tutte le aree

  1. C’è un simbolo che ha valicato il succedersi del tempo ed i confini di ogni cultura volando nell’arte figurativa e posandosi nella poesia come nella prosa, splendendo di chiaro significato fino ai giorni nostri. Tanta universalità proviene dal suo esprimere una speranza propria di ogni uomo e che è quella dell’immortalità; prospettiva “che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa”. Il simbolo in questione è quello della fenice. Il mito della fenice è nato ad Heliopolis in Egitto, la città dedicata al culto del Sole. Le sue forme ed il suo significato non sono altro che una manifestazione propria della cultura dell’antico Egitto che fin dai tempi più remoti si è posta il problema di come far giungere l’uomo all’immortalità. Non è un caso, quindi, se nelle narrazioni legate alla fenice si rintracciano elementi propri dell’arte della mummificazione o del culto della divinità solare. La Fenice, secondo la mitologia, viveva più di mille anni (Esiodo) e trascorreva la maggior parte del suo tempo in Etiopia. Il suo aspetto era meraviglioso: grande il doppio di un’aquila e con le piume iridescenti. Il suo petto aveva i colori dell’arcobaleno, ma si illuminava brillando di riflessi purpurei quando veniva accarezzato dai raggi del sole; le zampe erano di colore ocra, sul collo aveva trecce di colore zafferano mentre gli occhi splendevano d’ambra. Era l’unico della sua specie (unica avis) e quando si accorgeva che stava per giungere il momento della morte, volava lungo tutto il mondo per raccogliere rametti e resine profumate che utilizzava per costruirsi un nido che intrecciava con nardo, incenso, cassia e cardamomo. Costruiva questo grande nido in Arabia, vi si adagiava orientandosi verso il sole e battendo le ali per alimentare le fiamme che venivano a crearsi perché la fenice bruciasse. Passavano tre giorni durante i quali la fenice giaceva morta ed incenerita, tre giorni seguiti da tre notti senza luna, ma al terzo succedeva il giorno in cui nel nido compariva un nuovo pulcino che componeva un uovo di mirra nel quale racchiudeva le ceneri rimaste della vecchia fenice e si metteva in volo verso Eliopoli affinchè l’uovo di mirra venisse bruciato sull’altare del Sole, dai sacerdoti del dio. Giunto il momento del rito, un sacerdote usciva dal tempio per confrontare l’aspetto della giovane fenice con un disegno che lo rappresentava nei testi sacri e solo dopo questa verifica veniva deposta la cenere della vecchia fenice sull’altare del Sole (Erodoto di Alicarnasso ed Ecateo di Mileto). Terminata la cerimonia, la nuova fenice ripartiva per l’Etiopia dove viveva nutrendosi di perle d’incenso e rugiada. Il suo luogo abituale era nei pressi di un oscuro pozzo ricco di acqua gelida presso la quale, prima dell’alba, la fenice faceva il bagno cantando una melodia tanto bella che anche il sole di fermava ad ascoltarla prima di sorgere per il nuovo giorno (Tacito). Il canto della fenice dava coraggio all’uomo con il cuore puro e paura a chi aveva un’indole cattiva, le sue lacrime guarivano da ogni ferita e malattia mentre le sue piume e la sua cenere potevano riportare in vita i morti. Il nome “fenice” deriva dal greco “foinix” ed indica il colore rosso porpora o cremisi che richiama quello del sole al tramonto o negli istanti dell’aurora. Dei cicli del sole, la fenice riprende non solo i colori, ma anche la ciclicità rimarcando con la sua vita il susseguirsi del giorno e della notte in una costante resurrezione che si rinnova e rigenera. La fenice come simbolo, infatti, esprime proprio questa ossimorica coesistenza di morte e nascita mediante la rigenerazione che la destina all’eternità. Il mito della fenice trovò origine nell’antico Egitto, ad Eliopoli, dove ben si adattava al culto del sole ed alle cicliche inondazioni del Nilo che producevano la rigenerazione della natura. Passò poi ai Fenici che si definivano “figli della fenice” e da lì il mito si estese all’India ed all’estremo Oriente. Questo emblema di rinascita lo si rintraccia anche nella mitologia greca e leggiamo della fenice sia nelle opere di Erodoto che di Esiodo. Per quanto riguarda l’antica Roma, Plinio il Vecchio scrive che “il primo tra i Romani ed in maniera molto accurata ne ha data notizia (della fenice) Manilio, senatore famoso, rinomato per il suo grande sapere ed autodidatta”. Manilio era un poeta erudito dell’epoca sillana e viene citato da Varrone. Sempre Plinio scrive che la fenice “venne portata a Roma durante la censura dell’imperatore Claudio, nell’anno 800 della città (47 d. C.) e venne esposta nel comizio, il che è attestato dagli Atti, ma nessuno esita a definire quell’uccello un falso”. Gli scritti di Plinio il Vecchio ci fanno scoprire che l’immagine della fenice giunse a Roma di pari passo con i fermenti culturali che accompagnarono l’avvio del I secolo a. C. e si consolidò durante il periodo augusteo, quando Ottaviano volle il trasporto degli obelischi di Eliopoli a Roma. La simbologia dell’eternità sottesa all’immagine della fenice ben si adattava al motivo dell’eterna vita di Roma per la virtù del suo princeps. Parafrasando Claudiano (Carm. Min. 27), il Sole concede al princeps la luce necessaria a far brillare i “saecula aurea” così come accade alla fenice che vola verso Eliopoli con il suo innumerevole corteggio di uccelli. La fenice risorge a nuova vita dalle sue stesse ceneri e tale immagine calzava alla perfezione se si consideravano le origini leggendarie di Roma che sorge dalle ceneri di Troia. Il pio Enea che raggiunge le coste italiche curandosi dell’anziano padre, ben si adattava all’immagine della fenice che raggiungeva Eliopoli trasportando l’uovo di mirra contenente le ceneri dell’avo; troviamo tale tematica nelle Metamorfosi di Ovidio (XII, 53.1). Le stesse consuetudini funerarie dell’antica Roma, quelle della cremazione, proponevano analogie perfette con il mito e con il simbolo che si prestava ad essere emblema non solo di rinascita, ciclicità e rigenerazione, ma anche di pietas filiale. Marziale (epigrammi 5.7) dedica formalmente un epigramma a Domiziano e scrive un’invocazione al dio Vulcano perché risparmi Roma dal fuoco. Tale opera letteraria fa comparire la fenice come emblema di Roma che, grazie al programma edilizio di Domiziano, rinasceva dopo essere stata sfigurata dagli incendi (in particolare quello dell’80 d. C.) e risorgeva più bella di prima, sulle vecchie ceneri. Il simbolo della fenice non è presente solo nella letteratura e nella poesia dell’antica Roma, ma diviene molto spesso il tema di raffigurazioni figurative con mosaici, affreschi ed incisioni. Spesso la si ritrova raffigurata con delle rose e questo per un abbinamento simbolico con la festa delle rose che i romani appellavano “Rosalia”. Tale celebrazione era legata al culto dei morti ed a quella pietas che prevedeva che si portassero delle rose presso le tombe degli avi. Le rose indicavano il ristoro ed il ricordo dei vivi per gli antenati. Il simbolo è presente anche sulle monete dell’Impero Romano nelle quali troviamo raffigurata la fenice con il capo coronato di raggi ad indicare l’eternità di Roma e degli imperatori che sono collocati tra gli dei immortali. La fenice si trova spesso adagiata su una montagnola o su un globo nelle mani dell'imperatore. L’imperatore Adriano collocherà una fenice ad indicare la successione da Traiano; il simbolo viene utilizzato per indicare che il nuovo imperatore non è altro che la continuazione del precedente. La ritroviamo, poi, su monete di Faustina e Costantino I. Con le monete di Costante tale simbolo è accompagnato dalla legenda FEL TEMP REPARATIO che richiama la ritrovata felicità per opera e virtù del princeps. Enrico :)
    4 punti
  2. DE GREGE EPICURI Addomesticato, ma mai interamente. Capace di aggressività improvvisa e di rabbia omicida. Dotato di memoria stupefacente, dettagliata e a volte maligna.Imponente e massiccio più di ogni altro animale terrestre vivente. Longevo in modo leggendario, tanto da diventare simbolo di eternità. Coinvolto dall'uomo come macchina da guerra viva, addirittura dal 1000 a.C. (così alcuni documenti in sanscrito). La prima battaglia importante ricordata in Occidente con la presenza di elefanti (da parte persiana) fu quella di Gaugamela, del 331 a.C.: ma Alessandro ebbe la meglio nonostante i pachidermi; lo stesso Alessandro ricordò poi i suoi scontri col Re Poro (seguiti, pare, da sincera amicizia) con una moneta d'argento raffigurante un elefante da battaglia. Troviamo poi numerosi elefanti nella battaglia di Eraclea (280 a.C.), vinta dai tarantino-epiroti di Pirro contro i romani, che ancora non conoscevano le modalità di difesa da questi "carri armati dell'antichità" L'elefante ha sempre colpito la fantasia degli antichi; per greci e romani era comunque un animale esotico, conosciuto tardi e circonfuso da un'aria di mistero. La sua rappresentazione sulle monete è stata riferita in prevalenza al ruolo bellico, ma nelle coniazioni di area greca la sua presenza è rara: oltre alla moneta di Alessandro, ricordo quella di bronzo in territorio etrusco (Arezzo: testa di africano/elefante), e le numerose monete puniche di Cartagine, di cui purtroppo non ho immagini: qualcuno è in grado di postarle? A Roma, l'elefante appare sulle monete a grande distanza dalle guerre puniche, ma in riferimento ad esse. Si dice che Annibale ne avesse fatti transitare 37 dalle Alpi, ma morirono tutti di freddo tranne uno solo. I Metelli della Gens Caecilia utilizzarono poi l'immagine dell'elefante per ricordare l'antenato Metello che aveva combattuto i cartaginesi ed era stato vittorioso in Sicilia nel 251 a.C. I denari repubblicani in questione sono due: uno del 81 a.C. per Q.Caec. Metellus, ed uno del 47-46 a.C. per Q.Caec. Metellus Pius Scipio, che vi mostro.
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  3. Allora credo sia un bell'esercizio trovare la fonte che ha ispirato lo zecchiere, ecco il quadro da cui è stata ricavata la Madonna delle monete Genovesi.
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  4. Salve a tutti. Come anticipato dalla descrizione che accompagna il titolo di questa discussione, vorrei trattare di un noto personaggio della prima dinastia imperiale romana, una delle mie preferite, dal punto di vista storico, soprattutto. Gaio Asinio Gallo era figlio di uno degli uomini politici più importanti e in vista della Res Publica che rispondeva al nome di Gaio Asinio Pollione. Lo ritroviamo con Cesare, Marco Antonio e, infine, riuscì ad ottenere una buona posizione sotto il suo rivale, Ottaviano Augusto. Grazie alla sua capacità di arrampicatore sociale riuscì ad approfittare della situazione politica travagliata di questo periodo per riuscire a ritagliarsi un posto quantomeno indipendente nel nuovo assetto governativo di Roma: il Principato di Augusto. Pollione fu ricordato in particolar modo come oratore e autore di carmi e poesiole che, in primo momento, attirarono critiche fortemente negative da parte del famosissimo Virgilio. Ma, in un secondo momento, il poeta latino lodò l'attività letteraria di Asinio Pollione. Perché questo cambiamento di opinioni da parte di uno dei più famosi scrittori della classicità? Semplice: Virgilio possedeva degli appezzamenti di terreno nei pressi della sua città natale, nelle campagne di Mantova, a cui era molto legato (sembra che fosse l'eredità paterna). Pollione fu incaricato dallo stesso Augusto di provvedere al congedo dei veterani che avevano combattuto per lui nella recente guerra civile. La questione dei veterani era un problema serio che affliggeva Roma fin dai tempi di Cesare e di Gaio Mario, il grande riformatore delle legioni, nonchè zio dello stesso Giulio Cesare. Ebbene, Pollione doveva sgomberare i vasti territori della pianura nei pressi di Mantova e dintorni per frazionarli e consegnarli come dono di congedo ai veterani. Naturalmente questa situazione non era favorevole per Virgilio che, per tenersi le sue proprietà, strinse amicizia con l'inviato di Augusto, riuscendo nel suo intento. Il successo, tuttavia, era solo apparente: una seconda ondata di congedi non risparmiò i terreni di Virgilio che gli furono strappati assieme al loro carico di ricordi. Quindi, il padre del nostro Gallo, fu un politico, un militare e un letterato di grande spessore, nonostante venga dipinto come un uomo poco disponibile e tutt'altro che ben disposto nei confronti dei suoi sottoposti. Sulle orme del genitore, anche Asinio Gallo, di cui non si conosce la data precisa (alcuni propendono per l'anno 41 a.C.) nè il luogo di nascita, intraprese la carriera politica e, conseguentemente, oratorio-letteraria. Infatti, ci rimane la notizia che fu l'autore di un libro dal titolo "De comparatione patris et Ciceronis", in cui dava la palma oratoria al padre, come se si fosse trattato di una gara di eloquenza tra il padre, che, a quanto pare, teneva in grande considerazione, e Cicerone, l'altro grande politico, primo oratore nell'Urbe, unico ostacolo per la carriera oratoria di Asinio Pollione. Con quest'opera, anadata perduta, suo figlio Gallo tenta quasi di riscattarlo mettendolo al di sopra del suo "concorrente" e facendolo uscire vincitore dalla disputa - cosa che nella realtà storica sarebbe stato un po' difficile credere. Entrato, così, in Senato, Gallo, intorno all'11 a.C., sposa Vipsania Agrippina, figlia del celebre Marco Vipsanio Agrippa e prima moglie di Tiberio Claudio Nerone, futuro figlio adottivo del Princeps, nonchè Imperatore a sua volta, a cui, si dice, fosse molto affezionato. Il divorzio forzato fu una triste delusione per entrambi, ma solo in questo modo il nostro Gallo riuscì ad entrare negli ambienti che circondavano la dinastia Giulio-Caludia. Percorrendo con velocità le tappe del Cursus Honorum, venne nominato console nell'8 a.C. e proconsole in Asia tra il 6 e il 5 a.C. Fu l'incarico più prestigioso che ricoprì. Proprio in questo periodo furono coniate le monete recanti al sua effige, unico materiale che ci fornisce, oggi, il suo ritratto. Il suo astro iniziò a calare quando provò a conquistare le attenzioni della vedova di Germanico, Agrippina. Tiberio non vedeva di buon occhio il suo comportamento nei confronti della parente e, nel 30, indusse il Senato a dichiararlo nemico pubblico e detenuto in condizioni davvero ostili. Lo si capisce dalle parole dello storico Cassio Dione (58.3): <<Non aveva compagni o servi con lui, non parlava con nessuno e non vedeva nessuno, eccetto quando qualcuno doveva portargli del cibo, di scarsa qualità e quantità, tanto che non gli dava nessuna forza o soddisfazione da portarlo alla morte>>. La sua fine è alquanto dubbia, ma grazie alle testimonianze di storici come Tacito, possiamo affermare che morì di fame in prigionia intorno al 33 d.C. Agrippina, la vedova da lui corteggiata, morì nello stesso anno, nel mese di ottobre. Questa coincidenza indusse l'Imperatore Tiberio ad accusarla, nonostante fosse deceduta, di immoralità e adulterio. Per questo subì la damnatio memoriae, ma solo marginalmente, sotto il regno di Tiberio: dopo la morte dell'Imperatore, infatti, questa pratica nei suoi confronti fu ritirata. Si conclude così la vicenda storica e biografica di uno dei personaggi più importanti del Principato di Augusto. Non potevano mancare le monete coniate a suo nome, prima di tutte quelle emesse durante il suo governatorato in Siria (tratte dal web): 1) Bronzo AE 16, zecca di Temnus, in Aeolis. Battuta intorno al 6-5 a.C. Al D/ si trova la legenda greca ACINIOC GALLOC AGNOC che accompagna la testa nuda rivolta a destra di Gallo; al R/ AROLLAC QAINIOU TAMNITAN circonda la testa coronata di edera di Dioniso verso destra. Rif.: RPC 2447. Segue la serie di esemplari coniati per Augusto: 2) AE Sesterzio coniato nella zecca di Roma intorno al 16 a.C., quando Asinio Gallo era monetiere di Augusto. Al D/ OB-CIVIS-SERVATOS, dove CIVIS sta in uan corona di foglie di quercia, OB al di sopra e SERVATOS al di sotto, con ai finachi due rami di lauro; al R/ C ASINIVS C F GALLVS III VIR A A A F F , intorno a S-C larghi, nel campo. Rif.: RIC I 370; BMCRE 157 = BMCRR Rome 4594. 3) Dupondio in oricalco della zecca di Roma, datato al 16 a.C. Al D/ AVGVSTVS TRIBVNIC POTEST in una corona di quercia; al R/ CASINIVSGALLVSIIIVIRAAAFF intorno a S-C larghi, nel campo. Rif.: RIC 372. 4) AE Asse in bronzo della zecca di Roma datato al 16 a.C. Al D/ CAESAR AVGVSTVS TRIBVNIC POTEST, testa di Augusto nuda rivolta a destra; al R/ C ASINIVS GALLVS III VIR AAAFF che circonda S-C nel campo. Rif.: RIC I 373; Cohen 369; BMCRE 161.
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  6. Invece secondo me si tratta di uno dei pochi casi dove si può tranquillamente fare di tutt'erba un fascio senza cadere in errore. E' come dire, non tutti i boia sono malvagi, uccidono perchè è il loro lavoro, bene ma sempre dei boia restano.
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  7. Un altro, sul web se ne trovano tantissimi :) A mio avviso Virgilio è egregiamente riuscito nel suo intento, ossia innalzare il tono e lo stile rispetto allo standard bucolico. Sicuramente la materia cantata, ossia la profezia della venuta di un “puer” ha fortemente influito sull’innalzamento del tono, che assume quindi un valore profetico. Sin dall’inizio Virgilio quasi impone alle “Sicelides Musae” di innalzare il tono della poesia, per farla divenire degna anche di un console. Egli evidenzia l’umiltà della poesia bucolica anche nella scelta lessicale di “humilesque myricae”, indicandone la bassezza e l’umiltà. Successivamente Virgilio, sempre col fine di elevare la sua poesia, riprende la profezia della Sibilla cumana, riallacciandosi quindi alla teoria neopitagorica che vedeva le vicende del genere umano scandite in grandi cicli composti da un gran numero di secoli ciascuno. Quindi egli si rifà alla “Teogonia”, alla generazione degli dei, ed in questo suo riallacciamento all’ambito divino è implicito un innalzamento del tono. Inoltre anche nell’esposizione della sua profezia, attraversata da figure retoriche quali l’anafora, ed anche nella disposizione stessa delle parole viene sottolineata l’importanza della stessa. Egli parla del ritorno di una “Virgo” (poi in chiave cristiana, soprattutto durante il medioevo, interpretata come la Vergine Maria), del ritorno dei regni di Saturno, colui che nella prima età dell’oro aveva regnato, di una nuova progenie divina inviata direttamente dal cielo. Questa è un’importantissima e solennissima profezia… Virgilio crede fermamente che sotto il consolato e la guida di Asinio Pollione prima, e del figlio successivamente “incipient magni procedere menses”. Infatti grazie a loro saranno cancellate le scelleratezze dei predecessori e inizierà un nuova età dell’oro, durante la quale il “puer” potrà vedere ed essere visto dagli dei, e “pacatumque reget patriis virtutibus orbem”. La numerosità e la densità delle figure retoriche, sia di significato che di suono, è sicuramente spia di un innalzamento del tono. A consolidare tutto ciò vi è anche l’utilizzo di un ricercato, vasto e specifico lessico, riscontrabile quando l’autore ci descrive la reazione della natura che, “nullo cultu”, produce per il “puer” fiori a profusione come “prima munuscula”: hederas, baccare, colocasia, acantho e Assyrium amomum. Una serie di reazioni della natura, impensabili in condizioni normali, sono per l’appunto spia di un cambiamento epocale di estrema ed universale rilevanza; tutto questo solo per “tibi”, ossia per il puer… A partire da qui poi il poeta si rivolge direttamente al “puer”, senza mai però scendere ad un livello di parlata colloquiale. Virgilio rimarca ancora una volta la rinascita di una nuova età dell’oro, mettendo come condizione indispensabile la venuta di una nuova Argo e di un nuovo Achille. Lo stile raggiunge qui uno dei suoi massimi all’interno dell’egloga, grazie anche alla presenza di due metonimie affiancate l’una all’altra, ma grazie soprattutto alla scelta ed alla disposizione lessicale. Anche la ripresa dell’appellativo “magnus” per Achille, in ricordo di quello omerico “” (grande, immenso, gigantesco) è significativa di un tentativo di collegamento all’epos omerico, e quindi a quell’esempio di perfezione stilistico-formale propria di Omero. Questa crescita del giovane, che da “puer” è divenuto prima “adulescens” e poi “virum” viaggia parallela alla produzione della Terra, che arriverà a tal punto che “omnis feret omnia tellus”, quando tutto sarà spontaneo e non saranno più necessari i trasporti per mare: è l’età dell’oro. L’uomo rivivrà in simbiosi con la natura, ma dal canto suo la terra non sopporterà più di essere soggiogata e sottomessa. Questa situazione è perfettamente resa dal poeta quando dice “patietur”, una sofferenza fisica ma anche interiore, che riprende tutto il filone semantico del  ; e quando la terra viene sollevata da questa sottomissione Virgilio dice “solvet”, ad indicare quasi la liberazione da un giogo. A partire da questo momento gli elementi naturali offriranno spontaneamente tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno e anche qualcosa in più senza che l’uomo si debba sforzare. Anche il riferimento alle Parche è spia dell’innalzamento di tono. Le numerose figure retoriche e i numerosi e continui riferimenti non solo all’ambito divino ma anche al cosmo, costituito di masse sferiche (Aspice convexo nutantem pondere mundum) enfatizzano ancora l’elevato stile della bucolica. Virgilio infine, sentendosi degno di narrare le imprese del “puer” meglio di chiunque altro (meglio addirittura di Orfeo, di Lino e di Pan), pronuncia una sentenza e quasi un avvertimento per il “puer”: colui cui non hanno mai sorriso i genitori, né un dio lo degnò della sua mensa né una dea del suo letto. Infatti è necessario che un figlio venga ritenuto come tale dai propri genitori che hanno dovuto affrontare innumerevoli sacrifici (soprattutto la madre) proprio per lui. A mio avviso Virgilio è riuscito pienamente nel suo intento, modulando bene il suo lessico ed utilizzando al momento giusto le corrette ed idonee figure retoriche.
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  8. Egregio Magdi, comprendo il suo dissenso che rispetto. Peraltro credo che, sulla scorta di una attenta lettura di quanto è stato discusso, la problematica sia emersa e quindi ognuno potrà regolarsi di conseguenza. Lo scopo è raggiunto...nel richiamare una sana prudenza. Tuttavia non possiamo esporre questo Sito a rivalse tecniche sulla scorta di qualcosa che è stato letto da qualche parte...o che viene riferito. Nè è nostro compito e non è in nostro potere compilare liste nere di varia natura...tanto meno di proscrizione commerciale. Se Lei legge attentamente quanto sinora è stato annotato siamo tutti sulla stessa lunghezza d'onda. Ma tra il dissertare di numismatica e il condannare non deve sfuggirLe che c'è di mezzo una bella differenza tecnica e legale. In caso di negativa valutazione o condanna specifica nei confronti di un operatore commerciale, le coseguenze di tale esplicito negativo apprezzamento non esporrebbero solo Lei, ma il Sito e chi lo rappresenta. Il Forum non può ergersi a perito o a portatore di singoli interessi che spettano esclusivamente a chi si dovesse sentire danneggiato. Quindi discutere di numismatica con garbo e competenza è possibile...puntare l'indice spetta al Giudice, con l'ausilio dei consulenti eventualmente dal medesimo nominati. Non si tratta di prendere le difese di nessuno (da una parte o dall'altra)...si tratta di porre le cose nel modo giusto nel rispetto della normativa vigente. Al riguardo il Sito è costretto a prendere le dovute distanze dalle dichiarazioni dei singoli e a richiamare i medesimi a porre le dovute attenzioni, nello specifico sulla scorta delle deleghe rimesse allo scrivente, rammentando che alla fine ognuno di noi è personalmente responsabile di quanto scrive in questo Forum. Auspico e spero che il concetto sia ben chiaro...e privo di alcuna vis polemica. La saluto cordialmente.
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  9. Mi permetta di dissentire... qua non parliamo di "pesce furbo mangia pesce scemo" (che oltre tutto è anche immorale...) perchè chi si affida ad un buon numismatico paga per avere un prodotto ma soprattutto per avere la certezza che quel prodotto sia autentico e merita di riceverne una descrizione reale... se la moneta era presentata come "conservata in ottimo stato" tale doveva essere... e poi torniamo al discorso del prezzo, il quale probabilmente non crea un danno legalmente riconosciuto, ma sicuramente non è eticamente corretto... il fatto poi, che questo non debba essere il presupposto per accanirsi non coincide con il mio pensiero... lei dice "non spetta a noi fare la guerra"... e a chi altro spetterebbe dico io? siamo una comunità che condivide delle problematiche, e io credo che il modo migliore per affrontarle sia condividerle scrivendo; poi, visto che altro non possiamo fare, chiariamo una volta per tutte quali negozi creano problemi e quale tipo di problemi, in modo tale che possiamo guardarci dal prendere fregature... ormai alla numismatica non è rimasta che l' autotutela, e credo che una piazza virtuale come questa sia il posto migliore in cui dire "ATTENZIONE! io sono stato truffato da tizio", oppure "tizio mi ha fatto il prezzo X perchè si è approfittato della mia inesperienza"... forse farebbe aprire gli occhi a molti e chiudere bottega ad altrettanti.... condivido pienamente il pensiero di Picchio, anche perchè è precisamente quello che pensai comprando una delle mie prime monete in una bancarella dopo averla pagata il doppio del suo valore... questa gente rovina la nostra reputazione!!! un neofita che fa una esperienza simile è costretto a pensare che i numismatici siano tutti dei ladri... e questo non è bello!!!!
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  10. Ottimo link, non lo conoscevo.
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  11. In attesa che qualche esperto in questa monetazione ti aiuti, ti posto questo link http://www.roth37.it/COINS/Tanit/monetazione.html
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  12. e' un peso monetale di un otto real
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  13. Questi tipi di esempi falli cortesemente con la tua di moglie :angry: Se ad una ditta a causa di centinaia di speculatori prima dai 100mil. di € e dopo un ora li togli penso proprio che il titolo scende Ho visto, ed é per questo motivo che scrivo, una volta un servizio in cui si mostrava la vita di uno speculatore, dove appunto faceva ció che ti ho descritto. Certo poteva essere un attore ma a che fine? Bene quindi tu dici che gli speculatori non esistono, non esistono persone che comprano e dopo un ora rivendono avendo guadagnato anche solo lo 0,1 non per forza il 50 %. mi dovrei fidare di ció che dici tu come quando mi fidai di quel promotore finanziario che grazie a lui i mie risparmi stanno il 40% del valore investito( fatto isolato! vallo a dire agli investitori di parmalat cirio, e bond Argentini), mentre quando ho fatto da solo mi sono comprato la bmw.No grazie voi (bancari, banchieri,promotori etc) avete la testa piena di nozioni ma rusultati pochi pochi, adesso volete pure altri soldi dallo stato mentre non riuscite a rinunciare hai bonus, e per questo che il sistema stá andando a rotoli, perché e un castello di carte costruito su un filo di lana. Investite per produrre e non per guadagnare.
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