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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 08/09/11 in tutte le aree
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Complimenti Fabrizio!!!! Un vero gioiellino! In più la patina bruno-rossastra è molto accattivante. Non posso che concordare con quanto detto da altri ben più esperti di me...SPL +, se non SPL / FDC, considerando che ci sono i consueti difetti, tra cui i punzoni dello stemma un pò logori e rigati...poi si dovrebbe vederla dal vivo perché la patina un pò zebrata è sempre ingannatrice. Ma la basetta del re Nasone si vede in modo apprezzabile e la ciocca ribelle sul collo (il mio particolare preferito) è ben rilevata. Questa particolare acconciatura mi induce a credere, in via del tutto deduttiva, che la celebre rarissima piastra 1815 pubblicata in uno studio di Michele Pannuti sia un tipo di transizione tra la piastra 1805 e quella del 1815-16. Perché l'effigie di questa piastra presenta la stessa ciocca sul collo e anche la basetta è più simile a quella del 1805. Questi dettagli (forse un tantino troppo "ribelli" e sbarazzini per tempi di restaurazione) scompaiono poi nella "ultimate version" del tipo 1815-16: http://www.mcsearch.info/record.html?id=20286 http://www.mcsearch.info/record.html?id=154881 Questa del 1805 è la prima piastra da cui scompaiono le iniziali dell'incisore e invece assumono un rilievo spropositato le iniziali del Maestro di Zecca, quel Luigi Diodati autore di un interessante trattatello di economia monetaria del 1790, sulla scia delle teorie dei grandi economisti del tempo, Galiani in testa. Luigi era peraltro fratello di Domenico, uno dei numismatici napoletani della prima ora, appena un paio di generazioni dopo il Vergara: Luigi DIodati (Treccani) Il disegno è invece opera del celebre incisore di pietre dure Filippo Rega, coadiuvato per l'incisione in acciaio da Rebora e Arnaud, ed è un vero capolavoro, che contrappunta sul metallo rilievi finissimi, come se si trattasse di un cammeo antico.Non è difficile intuire in quell'effigie "all'eroica" una derivazione di modelli dalla glittica antica: Splendidamente trasparente è invece il riferimento politico. L'appecoronamento della corona di Napoli alla potenza marittima britannica dopo i fatti del '99 era al suo massimo storico. L'omaggio è rivolto - come da te rilevato - ai cartwheel pence (penny e twopence) lavorati nella celebre officina inglese di Soho dove Matthew Boulton impiantò il primo torchio azionato dal vapore. Con questo torchio, oltre ai celebri cartwheel pence, furono coniati industrialmente milioni di gettoni, medaglie e monete, compresi i celebri monneron francesi del periodo rivoluzionario. Come per i monnerons, alla zecca di Napoli non viene ripresa (salvo alcuni esperimenti del 1804), la suggestione di realizzare in incuso la legenda del giro, com'era inizialmente prevista sui pence del 1797: http://sohomint.info/barber.html2 punti
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Sperando sia interessante per gli appassionati I confini dell'Impero Romano2 punti
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Dalle dimensioni e dal peso direi proprio che si tratta di un obol, ovvero mezzo denaro della Corona catalano-argonese. Visto lo stile della testa del sovrano e la forma delle lettere penso si possa escludere senz'altro Jaume I. Io mi orienterei su Jaume II (1291-1327) o Alfons III (1327-1336) escludendo quindi anche i successori a partire da Pere III che hanno emesso dei diner e obols di questo tipo (se ne trovano anche in questa selezione del Fitzwilliam Museum: Mio collegamento). Da quel poco che vedo della legenda del dritto mi pare più probabile un match con IACOBVS, ma ci vorrebbe una foto migliore di quella faccia. In entrambi i casi siamo in linea con monete che si ritrovano con una certa frequenza anche in Sardegna settentrionale a seguito delle frequentazioni di queste zone da parte dei catalani prima e soprattutto dopo la conquista dell'isola da parte della corona dei catalani a partire dal 1323/1324. Un caro saluto a tutt* MB1 punto
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Per non capirci una "barca" :D direi obolo di Jaime/Jaume II el Justo (the Just). 1291-1327. http://www.mcsearch.info/record.html?id=491416 l'mmagine del lato della crce va ruotata D/ IACOBVS:REX R/ B´A-QI-NO-NA1 punto
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Buonasera. Vale lo stesso che potrai leggere qui solo che l'anno è il 1751 quindi il papa è Benedetto XIV.1 punto
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Direi 8 denari 1780 http://numismatica-italiana.lamoneta.it/moneta/W-GE31/401 punto
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Caro Matteo, la sezione numismatica del Museo Nazionale di San Matteo è solo parzialmente esposta (ma presto sarà riordinata e con una nuova esposizione...! ). Attualmente sono visibili: - il rispostiglio di monete auree trovato a Pisa sotto le logge dei Banchi, ed interrato probabilmente tra il 1280 ed il 1290, dove puoi ammirare tarì, augustali e mezzi augustali, un'histamenon bizantino, il raro grosso o soldo d'oro di Lucca ed una bella serie di fiorini, compresi quelli che si ritengono battuti "sul campo" dopo la sconfitta pisana a S. Jacopo al Serchio. - Una selezione delle monete e dei sigilli medievali (ante prima conquista fiorentina nel 1406) della Repubblica di Pisa, tra cui i fiorini di Pisa, che sono piuttosto rari. - Una selezione delle tessere e dei gettoni medievali e della prima età moderna appartenenti alla collezione di Moisè Supino, uno dei più importanti collezionisti di monete della città nel tardo Ottocento (a lui appartenevano anche i sigilli e buona parte delle monete di Pisa di cui sopra, ad esempio). Oltre a questo, come detto da all-odds il Museo di San Matteo espone importantissime opere di pittura e scultura che hanno fatto la storia dell'arte medievale italiana, oltre alla collezione di bacini ceramici di importazione islamica e bizantina più ampia e più varia che si possa vedere in Italia, se non in Europa continentale (esclusa quindi la Gran Bretagna). Tra l'altro venerdì prossimo (ovvero non questo ma quello della prossima settimana - se ho bene capito) dovrei essere in città e potrei liberarmi per qualche ora. Per ciò se tu gradissi un "cicerone" per il Museo che conosco bene perchè collaboro con la sua Direzione/Soprintendenza da tempo sia in merito alla sezione numismatica e sfragistica, che per quanto riguarda le ceramiche, fammi sapere qui o per MP, che mi presto volentieri. Magari in quel caso si potrebbe aggregare anche qualcun'altro che si trova nei dintorni ...:) Saluti MB P.S. Appena ho postato ho visto il post di Liutprand, che saluto caramente...1 punto
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PERTINACE Publius Helvius Pertinax Generale, e Imperatore Romano dal 1° gennaio al 28 marzo del 193 d.C. Il suo regno marca l’inizio dell’anno dei cinque imperatori. Parte I LA VITA Come riportato da Cassio Dione nella Historia Augusta, fonte principale di questo riassunto, nacque ad Alba Pompeia nella Regio IX Liguria, la moderna Alba in Piemonte (il termine Pedemontìum venne coniato soltanto nel XII secolo) nel 126 d.C. Era figlio del liberto Helvius Successus, e il suo nome, sembra derivi dalla pertinacia con cui il padre raggiunse il successo nel commercio del legno. Le possibilità finanziarie del padre gli assicurarono un’istruzione di tutto rispetto, completò gli studi a Roma, dove trovò un impiego come insegnante di grammatica; ma nel 161, quando si rese conto dei magri compensi che ne derivavano, decise di intraprendere la carriera militare. La sua elevata cultura, e l’aiuto di Lollianus Avitus, il patrono del padre, gli evitarono i ranghi più bassi, e presto gli venne affidato il comando di una coorte di Galli in Siria. Pur arruolatosi non più giovanissimo, si mise subito in luce, e rapidamente raggiunse il rango di tribuno. Fu assegnato alla VI legione “Victrix” di stanza ad Eburacum (odierna York) in Britannia, dove eccelse per le sue capacità di comandante militare. Essendosi fatto un nome, ritornò alla vita civile per intraprendere la carriera politica. Nel 168 divenne procuratore di rango equestre, con l’incarico di sovrintendere agli “alimenta”, l’assistenza agli orfani sulla via Emilia. In seguito fu di nuovo procuratore, questa volta in Dacia. Fu richiamato nell’esercito al servizio di Marco Aurelio nelle guerre sul Danubio, come comandante di un’unità di cavalieri che operava in maniera indipendente dalla legione, i “vexillationes” ed ebbe un ruolo fondamentale nelle azioni contro i Germani. Ancora una volta Pertinace fece un ottimo lavoro e fu elevato al rango senatoriale, fu pretore in Rezia al comando di una legione nel 171, ed essendosi guadagnato la benevolenza di Marco Aurelio, ottenne il consolato nel 174 o nel 175. Il suo operato fu decisivo per sedare la rivolta di Gaio Avidio Cassio in Siria nel 175. In seguito fu governatore della Mesia superiore ed inferiore, della Dacia, e nel 181 della Siria. Sotto Commodo, i rapporti con alcuni dei cospiratori del 182 lo allontanarono dalla scena politica. Ma quando una rivolta delle legioni in Britannia, necessitò l’intervento di un comandante militare di esperienza ed affidabile, Pertinace fu richiamato. Risolse la questione negli anni dal 185 al 187. Avendo in tal modo riguadagnato la fiducia dell’imperatore, gli venne affidato l’incarico di proconsole nella provincia d’Africa nel 188, quindi, la sua abilità di tener testa alle situazioni difficili, lo fece nominare prefetto della città di Roma nel 189, guadagnandosi un secondo consolato nel 192. Sembra alquanto improbabile che Pertinace fosse all’oscuro del complotto per assassinare Commodo, la notte del 31 dicembre del 192, inoltre, senza dubbio era a conoscenza delle intenzioni dei cospiratori di nominarlo come successore. La notte dell’omicidio, l’organizzatore del complotto, il comandante dei pretoriani Quintus Aemilius Laetus offrì il trono a Pertinace, che la notte stessa si recò al campo pretoriano, dove offrì la considerevole somma di 12.000 sesterzi a testa alle guardie come gratifica. La notte non era ancora finita che convocò i senatori per una riunione notturna, dove rivelò che il regno da incubo di Commodo era finalmente concluso. Quando Pertinace ritornò per ringraziare Laetus, il console Quintus Sosius Falco protestò: “ Forse abbiamo capito che razza di imperatore sarai, vediamo dietro di te Laetus e Marcia, gli strumenti dei crimini di Commodo!” Pertinace gli rispose: “Sei giovane, Tribuno, e non conosci la necessità dell’obbedienza; obbedivano a Commodo sì, ma contro la loro volontà... appena ne hanno avuto l’occasione, hanno subito mostrato qual’era, da sempre, il loro desiderio”. Nessuno aggiunse altro. E fu così, che il figlio di uno schiavo liberato riuscì ad accedere al trono imperiale. Pertinace sembrava essere cosciente del pericolo che correva assumendo il potere, e saggiamente rifiutò gli attributi imperiali per la moglie ed il figlio, proteggendoli così, dalle conseguenze del proprio assassinio. Fisicamente era possente e con un’abbondante pancia, tuttavia, ed anche i suoi critici lo ammettono, aveva l’aria fiera che si confaceva ad un imperatore; non era considerato un grande oratore, ma sicuramente riconosciuto da tutti come un prode soldato, questo lo dotava di un certo fascino, pur dimostrando talvolta un carattere scaltro ed opportunista, godeva inoltre della reputazione di avido ed avaro, (si racconta che ai suoi ospiti, facesse servire solo mezze porzioni) una fama che non rende amati... Quando assunse l’incarico, si rese subito conto che le casse imperiali erano nei guai. Commodo aveva sperperato considerevoli somme nei giochi e negli eccessi, se il nuovo imperatore pensava che fossero necessari dei cambiamenti per risanare le finanze, certo non sbagliava, ma volle far troppo e troppo in fretta, e in questo processo si creò molti nemici. L’errore fondamentale, fatto all’inizio del suo regno, fu di decidere i tagli ad alcuni privilegi dei pretoriani, e di pagare solamente la metà della gratifica promessa. Già il 3 gennaio del 193, i pretoriani tentarono di insediare un altro imperatore. I senatori, abbastanza saggi da tenersi fuori dai guai, semplicemente riferirono l’accaduto a Pertinace, quindi si allontanarono da Roma in attesa degli eventi. I comuni cittadini, ne ebbero presto abbastanza del nuovo imperatore, prima spolpati da Commodo con i suoi lussi sfrenati, e adesso questo Pertinace, che dava loro ben poco. Un nemico troppo potente per lui, fu il prefetto del pretorio Laetus, l’uomo che aveva messo Pertinace sul trono, e che avrebbe giocato un ruolo determinante sulla sua fine. In realtà, non è ben chiaro se dobbiamo considerarlo un onesto consigliere dell’imperatore, frustrato perché i suoi consigli rimasero inascoltati, o se cercasse di manipolare Pertinace per usarlo come imperatore fantoccio; in entrambi i casi, era certamente insoddisfatto. Con la sua “mania” del risparmio Pertinace si rese ancora più impopolare, sembrava che tutti volessero liberarsi di questo imperatore, e ancora una volta, i pretoriani cominciarono a guardarsi intorno, alla ricerca di un imperatore pagante; agli inizi di marzo, quando Pertinace si trovava ad Ostia, a sovrintendere allo sbarco dei rifornimenti di grano per Roma, approfittando della sua assenza colpirono di nuovo, rimostrando in Senato con pretese senza fondamento, di piazzare sul trono Falco. Quando Pertinace ritornò a Roma, Falco fu giudicato estraneo alla cospirazione, grazie alla testimonianza di uno schiavo, che tuttavia indicò molti pretoriani come implicati nel complotto. I cospiratori vennero giustiziati. LA MORTE Queste esecuzioni furono l’ultima goccia. Il 28 marzo 193, solo 86 giorni dopo la morte di Commodo, i pretoriani si rivoltarono. Nessuno aveva pianificato l’omicidio, i soldati non combattevano per nessun pretendente in particolare, erano semplicemente infuriati. In 300 forzarono i cancelli del palazzo. Nessuna delle guardie fu vista porsi a difesa dell’imperatore. Laetus si limitò ad evitare i soldati e se ne andò a casa, abbandonando l’imperatore al suo destino. Pertinace non cercò di fuggire, si piantò ben saldo sui piedi ed attese, assieme al suo ciambellano Eclectus. I pretoriani pensavano di essere a caccia di un imperatore tremante di paura, ma si sbagliavano, si trovarono davanti un uomo ben determinato a lottare per la propria vita. Al primo momento i soldati furono colti di sorpresa dal grande coraggio e dalle parole di quell’uomo che riuscì a trattenerli per qualche tempo, ma un certo Tungas, dopo aver istigato i soldati, trovò il coraggio di farsi avanti, scagliando la sua lancia e trafiggendo l’imperatore, Pertinace cadde colpito al petto, trovò la forza di velarsi il capo e di rivolgere una preghiera a Giove Vendicatore, quindi, i soldati lo finirono con i pugnali, aveva 66 anni. Rimasto solo, Eclectus combattè coraggiosamente per la propria vita, accoltellando due soldati prima di essere sopraffatto e ucciso. I pretoriani decapitarono Pertinace, infilarono la sua testa su una lancia, e la condussero in parata per le strade di Roma. In questo modo si concluse la più spettacolare carriera di età imperiale, ma comunque tipica dei suoi tempi: al Nord dell’impero si formavano nuove alleanze tribali, molto più organizzate e minacciose delle primitive tribù germaniche. Il futuro apparteneva a uomini d’arme, come Pertinace, Didio Giuliano e Settimio Severo. Pertinace ci lascia la sua “parola d’ordine”, un motto che amava ripetere spesso quando serviva come Generale, una parola che riassume tanto la sua onorevole carriera quanto il futuro di Roma: Militemus!: Cerchiamo di essere soldati!1 punto
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....poi, ....va beh, .....ce n'è una più recente che ha anch'essa però la stessa simbologia, delimita uno spazio Sacro e accoglie solo i veri "Amici" ... ... ma questa è un'altra storia ... Carissimi saluti1 punto
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