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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 08/02/11 in tutte le aree
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Il sole era alto nel cielo e il vento soffiava fresco in una comunissima mattina di fine primavera. Alcuni piccoli uccelli si libravano in volo e sembravano osservare la scena che si stava svolgendo sotto di loro con frettolosa noncuranza. Un uomo non molto alto e robusto si stagliava su una collinetta adiacente la pianura. Indossava la panoplia completa: l'elmo crestato lo faceva apparire più alto di quanto non fosse, la lorica muscolata di bronzo dorato risplendeva emanando bagliori luminosi a causa dei raggio del sole. Il balteo gli reggeva un gladio alla vecchia maniera, sul lato destro, mentre sul sinistro pendeva un pugio, un pugnale. Il mantello scarlatto poggiato sulle spalle sventolava assecondando la brezza che tormentava anche gli stendardi legionari che lentamente avanzavano sotto i suoi vigili occhi scuri. Il suo volto, che presentava già qualche segno dell'età, era incorniciato da una folta barba riccia che si congiungeva con i capelli scuri, a tratti brizzolati, e altrettanto mossi. Il suo naso diritto e un po' grande, per la verità, sovrastava una piccola bocca sottile e, di solito, sempre serrata, soprattutto quando era concentrato, come in quel momento. Le salmerie erano ancora abbastanza lontane: sapeva che i carri avrebbero rallentato la marcia, ma un esercito di quelle dimensioni non avrebbe potuto avanzare senza quel supporto. Lo splendido sauro che montava era stato precedentemente lavato e strigliato e, notava con approvazione, era più tranquillo del solito. I suoi pensieri lo erano di meno: ne aveva visti tanti di imperatori salire su quel trono, cercare il potere, arraffarlo e poi perderlo miseramente. Lui, il discendente del "tiranno" Domiziano e di Domizia Longina, ne aveva visti sin troppi. Sicuramente in minor numero rispetto alle battaglie che aveva sostenuto e dei nemici che aveva ucciso. Non erano momenti felici, quelli. C'era bisgono di uomini risoluti e coraggiosi, non certo di arrampicatori sociali. Era un suo pensiero ricorrente. Gli venne in mente anche in quel momento, quando riportò la sua mente sui passi dei ricordi: Marco Piavonio Vittorino era stato assassinato qualche tempo prima e l'Impero delle Gallie era rimasto sotto la reggenza di sua madre, Vittoria, che, in effetti, aveva acquisito il potere assoluto. Non che gli andasse a genio la figura di questa imperatrice, sia chiaro. Lui era un soldato, un uomo d'azione, e non approvava certo quell'indecisione e vuoto che si erano creati dopo la morte del suo imperatore. Ne aveva serviti tanti, sì, ma nessuno era stato all'altezza del titolo affidatogli. Le cose sarebbero cambiate presto, almeno così si augurò. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore di zoccoli che proveniva dalle sue spalle. Si voltò agilmente sulla sella, girandosi a tre quarti, e vide un beneficiarius che tirava le redini, fermando la cavalcatura proprio di fronte a lui. Fece il saluto militare mentre il cavallo, affaticato, si riposava. Il sauro del generale si mosse leggermente e subito il suo cavaliere afferrò le redini con forza. " Ave, Domitianus! Publius Rufus, beneficiarius del legato della..." Il soldato fu bruscamente interrotto dal suo interlocutore:" Sì, sì...ho capito. Cosa vuoi?" " Dominus, il legato mi manda a riferire che il nemico è stato avvistato dagli esploratori: è a poche miglia da qui e sembra stia cercando di intercettarci. Quando avranno preso atto della nostra posizione schiereranno le truppe per la battaglia" Rispose senza indugi il beneficiarius. Domiziano appariva pensieroso: aveva già affrontato romani e barbari in tutti quegli anni, perfino usurpatori orientali. Se lo ricordava bene quel povero ingenuo di un Macriano Storpio! Altrochè se lo ricordava! Era stato lui a batterlo alcuni anni prima, tra la Tracia e l'Illiria, quando era ancora al comando di Aureolo. Fissò per qualche istante la colonna di legionari che sfilava, dritta, silenziosa, coi ranghi inquadrati e la cavalleria sui lati: il solito schieramento per un esercito in marcia. Bisognava fare qualcosa: questi barbari Iutungi minacciavano ormai da troppo tempo il dominio romano. Erano germani, valorosi quanto inferociti dalla prospettiva di accumulare un grosso bottino. Domiziano non poteva permettersi il lusso di sottovalutarli. << A quanto pare è giunto il momento: su questo campo si deciderà il futuro di tutti noi>> pensò un po' angosciato. C'aveva fatto l'abitudine. Rialzò lo sguardo e lo puntò sulla giovane faccia sbarbata del beneficiarius: " Comunica al legato di schierare la fanteria su tre linee; la cavalleria affidala al rispettivo prefetto: che sia posizionata ai lati" " Sì, Dominus!" Il beneficiarius fece girare il cavallo e scese lungo il fianco poco ripido della collina erbosa. Domiziano inspirò a pieni polmoni quell'aria fredda che sferzava i visi dei legionari, compreso il suo. Fissò per un attimo il disco luminoso che risplendeva sopra di lui e, premendo i talloni sui fianchi del sauro, raggiunse il suo stato maggiore, a metà della colonna. Gli Iutungi erano bene in vista. Lo erano anche le sue truppe. Nell'aria si poteva benissimo sentire la tensione che aleggiava tra i soldati e i cavalieri. I centurioni, aiutati dagli optiones, avevano messo in riga gli uomini e tutti coloro che non erano nei ranghi, ben pochi, vi venivano condotti a suon di botte. La disciplina è la prima cosa! Sempre! Domiziano non si stancava mai di ripeterlo ai suoi sottoposti. Era la chiave per ogni vittoria. Sperò che lo fosse anche per questa. Non era un uomo religioso ma tra sè e sè rivolse una valoce preghiera a Marte e a Giove, affinchè proteggessero le sue truppe e gli concedessero la vittoria. Non c'era tempo per un sacrificio in piena regola, nè potevano permetterselo: non avevano sacerdoti o indovini con loro. Solo le truppe con i loro bagagli. Neanche l'ombra dell'artiglieria: in campo aperto, soprattutto contro la cavalleria, avrebbero fatto comodo un paio di ballistae. << Ci arrangeremo così>>. Aveva mandato a chiamare il prefetto della cavalleria: contava molto sull'azione degli equites. Avrebbero potuto fare molti danni in aperta pianura, come, del resto, anche la fanteria. Costui si presentò in quel momento: era molto trascurato rispetto al suo superiore, nonostante fosse un graduato. Salutò e attese gli ordini. "Voglio prendere personalmente il comando degli equites singulares" esordì Domiziano. Lo sguardo del prefetto era indifferente: " Come desideri, Dominus" "Conducili sul lato sinistro dello schiermento e porta la restante parte della cavalleria sul lato opposto. Al tuo comando, naturalmente." "Sì, Dominus!" Il prefetto salutò e galoppò nella direzione da cui era tornato per eseguire gli ordini. Per fortuna non faceva caldo e gli uomini potevano stazionare armati in quel posto. Gli Iutungi avrebbero concesso a lui la prima mossa? O li avrebbero travolti con una carica improvvisa? Quei barbari erano imprevedibili, più dei romani! La fanteria nemica era proprio di fronte a lui: gli scudi tondi dei soldati si toccavano, i ranghi chiusi e le lance sporgenti verso l'esterno, in direzione dei legionari. La cavalleria era poca: non poteva nuocere granchè. Con un po' di fortuna poteva farcela. Il suo obiettivo era unico: sbarazzarsi della minaccia barbara, mettendo,così, al sicuro le Gallie e i suoi abitanti. Osservando lo schieramento nemico si rese conto che i barbari avevano optato per una disposizione difensiva. Forse sarebbe stato un errore per loro stessi o forse no. Quando il prefetto ebbe separato le due ali di cavalleria, Domiziano si pose a sinistra, accanto ai suoi equites singulares. <<L'importante è dare l'esempio!>> pensò con decisione. Gli Iutungi non si muovevano di un passo, ma erano risoluti; sapevano il fatto loro. Il loro lugubre barritus, il canto di guerra, giunse fino alle orecchie dei legionari. Qualcuno, impaurito si ritrasse, ma un centurione, uscito dai ranghi, gli abbattè il vitignum su una spalla protetta dalla lorica hamata, producendo un rumore di ferraglia. Non andavano bene le cose se quello era l'inizio. Non era un bravo oratore e non amava fare discorsi alle truppe o in pubblico: non era neanche un capo carismatico come lo erano stati Aureolo o lo stesso Claudio detto Gotico. <<Che la terra sia leggera su di lui>> pensò Domiziano ricordando l'imperatore e condottiero morto proprio l'anno precedente. I legionari fremevano, attendevano un ordine con impazienza. Domiziano comunicò al decurione, il comandante della sua ala di cavalleria, di dare l'ordine agli equites singulares, di formare un cuneo. Subito una voce gridò in aria e i cavalieri si disposero a cuneo, al cui punta era costituita dallo stesso Domiziano. <<L'esempio!>> ripensò. Non poteva attendere oltre: l'attesa era snervante, per tutti, per lui come per i soldati. " Fanteria, a seicento passi, lanciate i pila!" Urlò rivolto ai legionari che teneva alla sua destra. L'ordine fu recepito dai centurioni. " Avanti, al passo!" Il nuovo comando fu ripetuto molteplici volte lungo tutte le tre linee della fanteria. La cavalleria, dal lato opposto, si manteneva in linea con i legionari. Anche lui, coi suoi equites, avanzò al passo. Gli Iutungi, oltre ad intonare il barritus, adesso venivano avanti, compatti, lanciando insulti ai romani e sfidandoli a singolar tenzone. I carri erano stati lasciati indietro sotto la sorveglianza di alcuni ausiliari galli al comando del prefetto dell'accampamento. Domiziano, sul suo sauro, si guardò intorno mantenendo il cavallo al passo. Non avevano ancora raggiunto i seicento passi stabiliti e i legionari già preparavano i pila. L'abitudine. Guardò i nemici: prendevano sempre più coraggio e puntavano dritti al centro dello schieramento legionario. Volevano sfondare le linee romane per diffondere caos e scompiglio: per questo avevano diretto il loro impressionante barritus proprio in direzione dei legionari. Se questi avessero ceduto, la cavalleria sarebbe stata inutilizzabile. Domiziano si augurò che gli uomini rimanessero saldi. <<Grande Giove, potente Marte>> sussurrò, non tanto per religiosità e riverenza verso gli dèi, quando per un senso di sicurezza personale. Le distanze diminuivano: presto arrivarono a seicento passi dal nemico. Gli Iutungi correvano urlando verso di loro. La fanteria romana si arrestò, migliaia di uomini tirarono indietro i bracci destri nello stesso momento e un nugolo di giavellotti leggeri si riversò sui barbari che, questa volta, urlarono di dolore. Alcuni andarono a vuoto, ma molti avevano centrato il bersaglio inchiodando i nemici al suolo o rendendo inutilizzabili gli scudi tondi. I legionari sguainarono le spade e a un ordine dei centurioni, serrarono i ranghi e caricarono senza timore. La cavalleria al comando del prefetto proteggeva il loro lato destro, di solito quello più esposto alle cariche nemiche. Si guardò indietro, i suoi equites erano incuneati e ancora al passo. Era il momento: sguainò la spada e, puntandola in direzione degli stretti ranghi nemici, condusse una carica che, inaspettatamente sbaragliò il lato destro dell'avversario. La posizione a cuneo favorì la loro penetrazione tra i ranghi nemici e gli equites fecero strage prima che gli Iutungi potessero organizzare una difesa efficace. Non potevano, ormai. Il fianco era perduto perchè si erano concentrati sul centro della linea romana. Quasta barcollò, molti legionari caddero, alcuni morirono calpestati dai loro stessi comapagni. La mischia era serrata: le file successive premevano sulla prima e i barbari, più massicci e più alti dei romani, spingevano in avanti cercando un confronto ravvicinato servendosi di spade, asce e framee. Alcuni germani combattevano a mani nude arrivando ad aggredire i legionari come meglio potevano, anche servendosi dei denti per sferrare morsi dove la carne era scoperta. Domiziano, nella ressa, vide che la fanteria se la cavava abbastanza bene. Nonostante tutto i romani stavano subendo delle perdite considerevoli. Un legionario inciampò in un cadavere, cadde perdendo di vista la spada. Un barbaro gli fu addosso e lo finì a colpi di ascia. I cavalieri del prefetto avevano seminato il panico nel fianco opposto dello schieramento nemico, mettendo in fuga l'esigua cavalleria nemica. Il centro stava perdendo forma: i legionari arretravano. Domiziano chiamò a sè una dozzina di equites e si diresse al centro della battaglia: i fanti germanici non si aspettavano una carica di cavalleria da quel lato e con quella rapidità: furono massacrati e dispersi. Il fronte riprese forma. Oltrepassò i mucchi di cadaveri, facendo sempre più pressione sul nemico. Sul lato opposto, i barbari erano in fuga. Domiziano, con i sopravvissuti che ancora lo seguivano, scartò il resto dei guerrieri germanici e concluse la sua azione con una manovra di accerchiamento. Si trattò di un attimo e i barbari non ebbero più una via di fuga: chiusi tra le due ali di cavalleria e spinti dai legionari che avanzavano, vendettero cara la pelle. Questa volta si avventarono sui cavalieri. Stridio, urla, tonfo. Nitrito. Domiziano si voltò e vide uno dei suoi equites a terra con il cranio fracassato. Fortunatamente la fanteria intervenne neutralizzando tutte le sacche di resistenza che erano rimaste sul campo. Molti barbari erano fuggiti, ancor di più avevano preferito una morte onorevole, con un'arma in pugno. Solo poche centinaia erano caduti nelle mani dei legionari per essere venduti al mercato degli schiavi. Alcuni si erano addirittura suicidati, vedendo segnato il loro destino. Domiziano si tolse l'elmo e si guardò intorno. Era grondante di sudore, stanco e sporco di polvere e sangue rappreso. Non era ferito. Diede l'ordine di raggruppare i soldati nei rispettivi ranghi e, finalmente, potè liberarsi di tutta la tensione che aveva accumulato: "Milites, oggi è un grande giorno per Roma e per la Gallia!" Un flebile vocio di esultanza si levò dai ranghi sconquassati. "Oggi, io, Domitianus, ho battuto, per la salvezza della Gallia e della Britannia, questi barbari insolenti che ci avevano tormentato per così tanto tempo, mettendo a rischio le nostre vite, quelle dei nostri cari e le sorti delle nostre terre, dei nostri possedimenti. Oggi, se non avessimo compiuto quest'impresa, il nostro mondo non sarebbe più lo stesso e noi non saremmo qui a guardarci e a sperare nel futuro." fece una breve pausa ad effetto. " In questo giorno, io prometto che il ricavato della vendita di questi miseri esseri, sarà devoluto tutto, dico, interamente a voi, veri protagonisti di questa eroica battaglia!" Questa volta l'esultanza fu incontenibile. Tutti i soldati schiamazzavano per la gioia, pregustando, dopo il sapore della vittoria, quello del bottino, ben più ambito. Presto tutti gli uomini iniziarono a gridare ritmicamente "Miles dives!", "Miles dives!". L'intonazione divenne sempre più forte accompagnata dal rumore delle spade battute a ritmo sugli scudi, per chi lo aveva ancora. Domiziano si lasciò sfuggire un sorriso. Inaspettatamente, tra quell'orda chiassosa, vera espressione della gioia umana, avanzarono tre persone: il legato di legione, un tribuno e il prefetto di cavalleria. Domiziano smontò dal suo cavallo e andò loro incontro. "Dominus," stava parlando il legato " noi tutti ti siamo grati per questa giornata, per la vittoria a cui ci hai guidato, per la promessa dei donativi. Siamo tutti molto contenti e orgogliosi di essere al tuo comando. Data la difficoltà dei tempi, ti preghiamo, Dominus, di accettare umilmente la nostra richiesta di ricoprirti della porpora dei cesari." Domiziano si sentì ancora più felice di tutti i suoi uomini messi assieme. Una luce vivace brillava nei suoi occhi scuri e profondi. "Per il bene di Roma e del suo popolo, io, Domiziano, discendente dei Flavi, umilmente accetto la tua preghiera e quella dei cittadini che me l'hanno sottoposta". Un sorriso si delineò sulla bocca di tutti i rappresentanti dello stato maggiore e all'unisono salutarono il loro nuovo signore: "Ave, Imperator Caesar Domitianus Pius Felix!" Un dischetto di metallo lucente passò nelle mani di Aureliano. Lo osservò attentamente: al diritto poteva distinguere i lineamenti barbuti di un personaggio fino ad allora poco noto se non sconosciuto ai più. Indossava una corona radiata. Intorno vi si leggeva "IMP C DOMITIANVS PF AVG". Rigirò l'antoniniano nel palmo della mano: sull'altro lato era raffigurata la personificazione della Concordia. Aureliano aggrottò la fronte e strinse le labbra. Scaraventò la moneta sul tavolo da campo che aveva davanti e si alzò con rabbia dal suo scranno. "Dominus, questo...generale, sì, si sta rivelando più pericoloso di quello che temevamo." A parlare fu Giulio Placidiano, comandante delle truppe sul limes del basso Rodano. "Sì, proprio così, Giulio. Forse questo presuntuoso è in cerca di guai: ho tollerato abbastanza, prima che acquisisse una gran fama tra i suoi, che occupasse i più alti incarichi militari, ma adesso ne ho abbastanza! Proclamarsi imperatore e battere moneta! Questo è un insulto bello e buono!" Aureliano era molto arrabbiato. Si fermò per un attimo. Riflettè. "Dominus, se posso, avrei una proposta." azzardò Giulio Placidiano. Aureliano si voltò di scatto: "Parla, per gli dèi: cosa hai da proporre?" "Ebbene, potreste incaricare me di chiudere questa spiacevole faccenda: mi avete assegnato uomini a sufficienza e questo Domiziano ne ha sicuramenete meno. Tutto ciò sarà risolto il prima possibile: prometto, anzi, ti giuro, Dominus, che non fallirò; se così avverrà, non vogliano gli dèi, morirò con i miei soldati sul campo." <<Bravo, Giulio: ambizioso e audace>> pensò Aureliano. " Una buona proposta, direi." Si fermò e si grattò svogliatamente il mento ricoperto da un po' di barba corta " Approvo il tuo consiglio: vai e togli di mezzo questo incomodo". "Sarà un piacere, Dominus" Giulio salutò e stava per uscire dalla stanza quando Aureliano lo richiamò. Il comandante si voltò in attesa di un ordine. "Sbarazzati anche di quest'obbrobrio." dicendo questo gli tirò l'antoniniano che aveva posato precedentemente sul tavolo da campo. Di questo usurpatore, che tale non è definito dalla famosa "Historia Augusta", ci rimangono solamente due antoniniani: uno scoperto in Francia (Loira) agli inizi del 1900, ritenuto un falso, e il secondo scoperto in un vaso contenente altre 5000 monete del periodo 250-275 in Oxfordshire, Inghilterra, nel 2003, dall'archeologo dilettante Brian Malin. Di seguito posto la descrizione della moneta con annessa immagine tratta dal web: Antoniniano coniato intorno al 271 d.C. Al D/ IMP C DOMITIANVS PF AVG, busto radiato e corazzato verso destra; al R/ CONCORDIA MILITVM, la personificazione della Concordia in piedi stante a sinistra, regge una patera e una cornucopia. Quest'esemplare, ritenuto unico, è in mostra presso il British Museum.3 punti
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Spero non me ne vogliate se utilizzo questa sezione, la più generale tra quelle degli euro, per segnalare un altro capitolo della serie "arte contemporanea e monete". Dopo i 100000 biglietti da 1 dollaro che un artista tedesco ha usato per tappezzare le pareti del Guggenheim di New York, un'opera d'arte di più semplice realizzazione e, soprattutto, molto meno costosa :D L'artista inglese Ryan Gander ha incollato una moneta da 25 euro, da lui coniata, sul pavimento della sala dedicata a Lynn Foulkers nel Padiglione Centrale dei Giardini alla Biennale di Venezia attualmente in corso. La moneta porta la data del 2036, e il taglio da 25 euro, oggi inesistente per la circolazione, non è stato scelto a caso. Sembra infatti che, secondo le attese di svalutazione, 25 euro nel 2036 avranno un valore equivalente a 1 euro di oggi :rolleyes: Nel lato visibile (si ignora se ci sia qualcosa anche dall'altra parte) una carta dell'Europa come potrebbe essere tra 25 anni, con una geografia mutata dai possibili avvenimenti politici e sociali susseguitisi da oggi ad allora (in realtà non è che si capisca molto). petronius :)1 punto
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Ricambio e ringrazio Andrea per l ottimo scambio effettuato :)1 punto
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Eccomi di nuovo qua :D Prima di tutto, ancora due parole sulla cronaca dell'ultima giornata, quella del verdetto. CRONACHE DAL PROCESSO Mercoledì 20 luglio 2011 La giuria si è ritirata per deliberare alle 10.27 del mattino, dopo che il giudice Davis aveva ripercorso a grandi linee le tappe del processo, ricordando ai giurati che dovevano basarsi solo su prove documentali, e non testimonianze oculari, e che si trattava pur sempre di una causa civile e non penale. Dopo cinque ore di camera di consiglio, alle 3.25 del pomeriggio, il giurato n. 9, che fungeva da "caposquadra", ha letto il verdetto della giuria, confermato poi all'unanimità da ogni singolo giurato, verdetto in cui, come sappiamo, le monete sono state riconosciute come proprietà del governo, che secondo la giuria ha soddisfatto l'onere della prova. Immediatamente dopo la lettura del verdetto i fratelli Roy e David Langbord sono usciti dall'aula. Il primo commento è arrivato dall'avvocato del governo, Jacqueline Romero, la quale ha detto che "il popolo degli Stati Uniti d'America è stato vendicato". Ha aggiunto che l'esito del processo dovrebbe inviare un messaggio forte: non importa quanto tempo possa essere trascorso, quello che è stato rubato al governo rimane proprietà del governo. Per quanto riguarda la sorte delle monete, Romero durante il giorno ha eluso le domande su una sua precedente dichiarazione in cui affermava che dovrebbero andare in un museo. Alla fine, più volte sollecitata, ha ammesso di non credere che saranno rifuse, e che probabilmente ci sarà la possibilità di vederle in qualche modo. Sull'argomento è intervenuto anche Tom Jurkowsky, direttore delle relazioni pubbliche della Zecca, il quale ha detto che una decisione su dove le monete saranno conservate, o esposte, non è ancora stata presa, quando lo sarà verrà comunicato ufficialmente dalla Zecca. Per il momento, le 10 Double Eagles sono ritornate al Bullion Depository di Fort Knox....al gabbio :lol: petronius oo)1 punto
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Ecco perchè questa Sezione mi piace sempre di più :) Quando allo studio delle monetazioni viene intersecata anche un pò di Storia .......beh, allora è proprio un'altra "Storia" Complimenti ;)1 punto
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