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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 01/28/11 in tutte le aree
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Cari amici del forum vorrei argomentare sul ritratto monetale di Cesare negli ultimi 3 mesi di vita. I monetieri del 44 erano Mettius, Buca, Macer e Maridianus che sostituiì Mettius. Ebbene lo stile del ritratto di Cesare varia e peggiora nel tempo. Mentre la moneta di Mettius rappresenta il volto di Cesare disteso e meno rugoso le successive monete mettono in evidenza una deterioramento e un invecchiamento dal punto di vista stilistico. Cesare viene ad essere rappresentato dimagrito, con collo allungato e ricco di rughe. In particolar modo la moneta da me postata di Macer CAESAR IMP, anche se non in buone condizione, mostra un Cesare molto provato con mascella molto accentuata e ricco di rughe. Che è accaduto negli ultimi mesi del 44?. Giulio Cesare era ammalato?. Appiano accenna a Cesare come fisicamente bello e di buona costituzione, analogamente Dione Cassio accenna ad un uomo dotato di fisico eccellente e lo definisce robustissimo e bellissimo. Viene però riferito che nel 45 a C Giulio Cesare ebbe il primo attacco epilettico, questo avvenne durante la guerra civile con Pompeo ed in particolare durante l’assedio di Cordova (Plutarco). L’attacco di epilessia avuto da Cesare e descritto nel 45 a C sicuramente è riferibile ad un problema secondario. L’epilessia primaria è una forma di epilessia in cui non si riconosce una causa e che insorge già durante l’età infantile o adolescenziale, mentre al contrario l’epilessia secondaria è causata sempre da una patologia sottostante ed insorge comunemente dopo i 40 anni. L’epilessia secondaria potrebbe essere dovuta ad un trauma cranico con secondaria formazione di una cicatrice a livello cerebrale, oppure a tumori primitivi dell’encefalo o a tumori metastatici dell’encefalo che sono la causa della crisi epilettica. Lo stesso Plutarco accenna a mal di testa (cefalea) e questo ancor di più indirizza a pensare che Cesare potrebbe aver avuto una lesione cerebrale tumorale come causa delle crisi epilettiche Ebbene Cesare comincia ad avere l’epilessia dal 45 a C cioè meno di un anno prima della sua morta avvenuta per mano dei congiurati. Nell’ultimo periodo della vita Cesare congeda la sua scorta e sebbene ammonito e messo in guardia da Artemidoro e Spurinna egli si reca nella Curia di Pompeo. Sarebbe interessante una riflessione su tutto ciò. Cesare sapeva di stare male e considerava vicina la morte, questo probabilmente lo aveva indotto a non servirsi più della scorta in un momento in cui a Roma sicuramente esisteva una agguerrita fazione anti Cesariana che vedeva tramontare la res publica. Probabilmente ho utilizzato molto la fantasia ma dal punto di vista scientifico mi sono basato su sintomi e segni (cefalee ed epilessia) che Cesare avrebbe avuto negli ultimi mesi della sua esistenza. Contro la mia ipotesi stà di fatto l’intenzione di Cesare di iniziare contro i Parti una lunga guerra. Passo la palla agli amici del Forum. Un caro saluto Adriapel1 punto
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Ieri pomeriggio mi sono concesso mezza giornata libera e sono andato a visitare un paio di librerie del centro torinese Rovistando fra gli scaffali mi ha colpito questo piccolo volumetto che vi posto Tariffa e conti fatti in lire nuove di Piemonte delle monete d'oro e d' argento correnti nelli Stati di terraferma di S.M. il Re di Sardegna a tenore del manifesto camerale 26 8bre 1826 .Pubblicato il 4 febbrajo 1827 col loro impronto e titolo Stamperia L.Soffietti Torino 18271 punto
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http://cgi.ebay.it/MODENA-ERCOLE-III-DESTE-SOLDO-1783-/330523943859?pt=Monete_Antiche&hash=item4cf4c323b3 forse ti serve ciao Profausto1 punto
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Buona sera. Scusate, ma a parte condividere le due indicazioni di carattere generale, secondo cui: 1. il perito "tuttologo" non dovrebbe esistere; 2. i periti residenti in zone geografiche numismaticamente meno importanti (intendo dire da un punto di vista mercantile) sono meno "visibili" di quelli che operano in zone più ricche; non comprendo quali dovrebbero essere gli altri presupposti della discussione. Che significa infatti dire che: " 3. credo invece che discutere sulla capacità dei singoli professionisti se condotta in modo oggettivo possa essere un bene per gli appassionati/acquirenti." Quale sarebbe "il modo oggettivo" da utilizzare nella discussione? Cioè che cosa si intende per "oggettivo metro di valutazione" dell'operato del perito? oppure "Perchè non si può entrare nel merito della sua professione? In fin dei conti non si tratta di stilare inutili classifiche ma semplicemente di riconoscere ad un perito una maggior attendibilità rispetto ad un altro nella corretta valutazione di una moneta." Come si dovrebbe entrare nel merito della professione del perito e in base a quali criteri (oggettivi) si dovrebbe stabilire la minore o maggiore attendibilità dello stesso (il tutto poi, come qualcuno giustamente raccomanda, senza fare nomi....ma solo discutendo con...."oggettività" (?) sul loro operato......). o ancora "Su tutti Emilio Tevere, Pietro Paolo Testa e Michele Straziota" Bene, dicci almeno quali sono per Te i "canoni oggettivi" che i professionisti che hai citato rispetterebbero più degli altri, che a Tuo avviso vengono dopo nella Tua lista. Spero che la Tua risposta non sarà: "perchè secondo me sono i più bravi". E infine: "......ritengo comunque possibile discuterne in merito al loro metodo di valutazione senza per questo offendere la sensibilità di qualcuno o la loro professionalità.". Bene, quale sarebbe questo "metodo di valutazione"? Mi pare francamente che se si vogliono indicare i nomi di periti numismatici che per i più svariati (e rispettabili) motivi sono ritenuti più vicini alla nostra sensibilità valutativa, o magari perchè si ritengono più esperti in una certa monetazione o anche solo perchè si pensa siano più quotati sul mercato, sia inutile girarci intorno con argomenti che di oggettivo non hanno proprio nulla. Alla terna di periti sopra riportata, di tutto rispetto e stimatissima, ciascuno di noi sono certo sarebbe pronto ad affiancare altrettanti diversi (o magari anche uguali) nominativi e questo proprio perchè pensare che il perito, nell'esercizio della sua professione, faccia uso esclusivo dell'oggettività è un puro assurdo; la valutazione dello stato di conservazione di una moneta dipende dalla sensibilità del perito e dalla conoscenza che egli ha della specifica monetazione sottoposta al suo esame. Altra questione è stabilire l'autenticità della moneta.......ma credo che l'oggetto della discussione non fosse diretto a questo aspetto dell'attività peritale ma a quello delle valutazioni delle conservazioni. Ribadisco, quindi, che non comprendo il senso di questa discussione così come è stata impostata nè le indicazioni di alcuni periti sul presupposto che sarebbero più "oggettivi" nello svolgimento del loro lavoro. Si dica chiaramente che si preferisce il perito Tizio o il perito Caio (non so neanche poi se sia lecito farlo qui sul forum..nè se sia di buon gusto, ma questo è un altro discorso) ma tirare in ballo "l'oggettività" per discutere sulle capacità dei periti mi sembra davvero fuori luogo. Io comunque vota per il Mago Eccheccà, perchè è "oggettivamente" il più bravo (oltre che mio amico). Saluti. Michele1 punto
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Secondo me non è una buona idea comprare le divisionali pezzo per pezzo, molto difficilmente riesci a risparmiare e poi a volte può capitare di non avere monete in perfetto fdc e che hanno ossidazioni diverse. Se non puoi fare la spesa, ti consiglio di aspettare e poi comprarla tutta intera. Parlo della S.V. naturalmente.1 punto
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Moneta d'emergenza fatta coniare a Parigi dai Fratelli Monferon, commercianti in piena Rivoluzione (anno 1792), convertibile in 50 Assignats. Questi ultimi erano moneta cartacea emessa in quel periodo dall'Assemblea Nazionale Costituente dopo la confisca dei beni ecclesiastici, resasi necessaria per il dissesto delle casse statali. In questo link puoi trovare interessanti notizie sui fratelli Monferon: http://www.jetons-monnaie.net/a/arevolution.html Possiamo considerarla alla stregua di una medaglia o gettone. Molto d'impatto il rovescio con l'immagine dei soldati intenti a prestare giuramento alla Repubblica e il motto: VIVRE LIBRES OU MOURIR. Molto bella, complimenti. Saluti.1 punto
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Con una logica del genere sarebbero legali solo le monete acquistate all'asta o in negozi. Niente scambi tra collezionisti o acquisti ai mercatini e così via... Ma non è così (o perlomeno non è ancora così). A parte il fatto che una fattura senza l'accompagnamento di una foto non ha valore, perchè il bene non è identificabile, il vero problema è che ciascuno di noi (case d'asta e commercianti compresi) può al massimo attestare da chi ha ricevuto la moneta (a titolo oneroso o meno). E la dichiarazione di un commerciante vale la dichiarazione di un qualsiasi cittadino. Come dissi nel mio precedente post per alcune pochissime monete si arriva al massimo alla seconda metà dell'ottocento con il pedigree. Nella dichiarazione firmata da Panvini Rosati e altri esponenti del mondo Numismatico, recentemente ritirata fuori da Bernardi, si diceva chiaramente che una moneta decontestualizzata non ha più origine, perchè risulta impossibile da determinare. Le monete sono create per circolare e non perdono la loro funzione neanche dopo aver perso il valore legale. L'unica alternativa è vietare il possesso di monete fuori corso ai privati, ma, ribadisco, attualmente si può detenere e collezionare le monete (è previsto dal codice Urbani e dalla Costituzione).1 punto
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Le problematiche sollevate in questa discussione sono di grande interesse e sono ancora ben lungi dall’essere risolte, nonostante gli impegni e gli arroccamenti della “middle-theory” della scuola anglosassone. Purtroppo i dati archeologici ancora non sono esaustivi e possono fornire solo alcuni dati certi. Per quanto riguarda l’aes signatum, in particolare quello con il “ramo secco”, esso è sicuramente attestato almeno a partire dalla metà del VI secolo a.C., come già ipotizzato da Paolo Orsi (in BPI 1900, p. 276-277) grazie al ripostiglio di lingotti di bronzo rinvenuti a Terravecchia di Grammichele e confermato dall’importante ritrovamento di Bitalemi, nel santuario dedicato a Demetra vicino a Gela, con 31 depositi di vari materiali, soprattutto di bronzo, con peso che va da 1,41 kg a 11,7 kg (Piero Orlandini, Gela – Depositi votivi di bronzo premonetale nel santuario di Demetra Thesmophoros a Bitalemi, AIIN, 12-14, 1965-1967, p. 1-20). Nel deposito n. 26 fu rinvenuto un frammento di lingotto con “ramo secco”, del peso di 0,425 kg. Tutti questi depositi si trovavano nello strato 5°, che è risultato essere fortunatamente sigillato e datato con una certa sicurezza al periodo 640-540 a.C. (successivamente poi meglio circoscritto agli anni 570-540 a.C.). Solo a partire dallo strato 4° e a risalire fino al primo sono state trovate monete coniate, ma purtroppo già lo strato 4° non era sigillato e protetto come il precedente e anzi risulta sconvolto, prima a causa della ricostruzione del santuario attuata nella prima metà del V secolo a.C. e poi della distruzione perpetrata dai Cartaginesi nel 405 a.C. Quindi non esistono dubbi che l’aes signatum nella sua forma più primitiva, con “ramo secco”, possa risalire già nel VI e avere avuto una vita lunga, forse fino a tutto il IV secolo a.C.. Il peso di tali lingotti è estremamente variabile e non risulta ancorato a un preciso standard ponderale e l’opinione prevalente è che siano delle forme premonetali e non monete vere e proprie. Molto probabilmente furono prodotti in ambito privato, forse specialmente etrusco-settentrionale, e quindi commercializzato come “materia prima” del bronzo, scambiato a peso, caso per caso, secondo le necessità, in tutta Italia fino alla stessa Sicilia. Non so se siano state effettuate sufficienti analisi metallografiche per meglio comprendere l’origine del bronzo usato in tali lingotti. Questi bronzi quindi circolavano anche a Roma all’epoca regia (che si concluse, come è noto, con la cacciata di Tarquinio il Superbo nel 510/509 a.C.) alimentando anche la famosa tradizione pliniana di Servio Tullio come “primus signavit aes”. Il discorso ovviamente cambia nel caso di particolari lingotti, anch’essi definiti “aes signatum”, ma più noti come “quadrilateri”, con varie raffigurazioni e talvolta iscrizione ROMANO o ROMANOM (all’inizio anche uno con iscrizione in forma greca). Importante è la presenza su uno di essi con il tipo dell’elefante, che le antiche fonti unanimemente confermano che era sconosciuto ai Romani perima del 280 a.C., ale tempo della spedizione di Pirro (e infatti i Romani usarono inizialmente il termine “buoi di Lucania”, non avendoli MAI visti). Perciò la ricostruzione del Crawford non appare, almeno a prima vista, inverosimile e il primo lingotto, quello con leggenda in greco POMAIΩN può essere fatto risalire all’epoca dei primi contatti con l’ambiente greco-campano del 326 a.C. La prima moneta romana coniata, di bronzo con POMAIΩN, deve necessariamente stata coniata dal partito filoromano di Neapolis in occasione o poco prima del foedus neapolitanum del 326 (i conii non furono approntati ad hoc ma si riutilizzarono quelli usati per monete neapolitane, modificando l’etnico). In quel tempo a Roma ANCORA NON CIRCOLAVA VERA MONETA e gli scambi erano affidati all’aes rude, che erano grandi pani di bronzo, in genere circolari, che venivano rotti in frammenti di peso variabile. Non deve sorprendere una comparsa sostanzialmente tardiva della moneta (sia fusa che coniata) presso i Romani. L’espansionismo romano fino ad allora fu sostenuto da numerosi altri fattori e non necessariamente implicava il denaro emesso. Esso fu sostenuto soprattutto da alleati e da elargizioni di terre (lo stesso Dionisio I di Siracusa riuscì a sostenere gravosissime guerre contro Cartagine e con alle spalle numerosi mercenari utilizzando un sistema monetario sostanzialmente monometallico in bronzo, ricorrendo soprattutto ad altri espedienti, come la concessione di terre e fortezze ai mercenari). Solo dopo il foedus neapolitanum del 326 l’espansionismo romano assunse un andamento quasi esponenziale, proiettandosi prepotentemente sulla Magna Grecia, con conseguente necessità per Roma di avere monete per i suoi traffici commerciali. Le prime monete d’argento furono didrammi di peso intorno a 7.3 g (Cr. 13), intorno al 280 a.C. In realtà questa moneta, con Testa elmata di Marte/Protome di cavallo e ROMANO, fu prodotta con discreta quantità (per la presenza di almeno 15 conii D e 20 conii R) e i ripostigli dimostrano che circolò a lungo nella Magna Grecia e non a Roma (infatti furono coniati in altra zecca, che per me è ancora Neapolis piuttosto che Metapontum come sostenuto dal Crawford). A Roma invece già comparvero i lingotti quadrilateri precedentemente descritti, con peso intorno a 1,5 kg se integri (ma vengono quasi tutti ancora rotti in frammenti come con i più vecchi lingotti di “ramo secco”.): interessante osservare che i vari quadrilateri interi hanno peso piuttosto costante e quindi furono emessi in un arco di tempo abbastanza contenuto. La guerra di Pirro (280-276 a.C.) costituì il primo fondamentale “spartiacque” per la monetazione romana. I primi didrammi già descritti avevano piede ponderale ancora allineato al piede in vigore soprattutto nelle Campania greca. Ma dopo la prestigiosa vittoria del 276 a.C. Roma si trovò quasi padrona della Magna Grecia e dovette cambiare la sua politica monetaria. Finalmente comprese che per una città greca battere la moneta aveva un grande significato politico, essendo segno tangibile dell’esistenza di uno stato indipendente. Quindi per prima cosa Roma proibì le città sconfitte (Taranto, Metaponto, Heraclea, Velia, ecc) di coniare monete con il loro nome. Per ovviare alla sopravvenuta penuria monetaria, Roma avrebbe potuto o imporre a tutti la moneta neapolitana, bene conosciuta e accettata, oppure nuove monete a nome di Roma. Invece, con il famoso senso pragmatico che poi caratterizzerà la politica romana, i Romani preferirono non stravolgere troppo le abitudini delle popolazioni magnogreche, da sempre alle prese con una circolazione monetaria estremamente varia e con monete emesse da numerose polis. Cosa fecero? Semplicemente affiancarono alle monete di Neapolis, che infatti continuarono ad essere emesse (poi affiancate dalle cosiddette monete campano-tarentine grazie alla riapertura della zecca di Tarentum, per motivi logistici, ma senza ancora dare alla città il diritto di apporre il proprio nome essendo ancora troppo vicino il ricordo della sua alleanza con il nemico Pirro), nuove emissioni con leggenda ROMANO e anche di altre città che non si erano compromesse con la guerra contro Pirro (come Cales, Suessa, Teano, ecc.). La prima nuova emissione fu Cr. 15, con Testa laureata di Apollo/Cavallo galoppante, del peso di circa 7,2 g (emessa al più tardi nel 275 a.C. ama non escludo anche poco prima della vittoria di Benevento), a cui seguì subito dopo Cr. 20, con Testa di Eracle/Lupa e ROMANO, con peso intorno a 7,1 g. A queste emissioni si affiancano vari nominali in bronzo che seguono il medesimo standard ponderale di Neapolis. Queste monete continuano a essere rinvenute soprattutto nell’Italia meridionale e solo molto sporadicamente anche nel Lazio. In questo periodo quindi Roma di fatto impose la propria moneta, ma dando alle popolazioni magnogreche l’illusione che nulla fosse cambiato. Nel frattempo a Roma e nell’Italia centrale, subito dopo o parallelamente ai quadrilateri, forse già intorno al 280 e quindi in occasione della guerra pirica, comparvero finalmente le prime serie fuse, con segni di valore e valore strettamente legato a quello del metallo contenuto, basate soprattutto sull’asse librale romano di 327,46 g (pari a 288 scrupoli romani). Il realtà il sistema continua ad essere monometallico e basato sul peso, ma per la prima volta fu espresso con chiarezza il suo valore e non era più necessario spezzare la moneta! La circolazione delle monete fuse fu rivolta soprattutto verso le regioni interne della penisola, mentre quella delle monete coniate era invece rivolta specialmente verso le regioni di influenza greca. Alcune città di frontiera successivamente emisero monete sia fuse che coniate, come ad esempio Ariminum (a nord) e Luceria (a sud). Il secondo “spartiacque” della monetazione romana coincise con la prima guerra punica (264-241 a.C.). A causa delle nuove necessità belliche si interruppe la produzione delle monete campane e campano-tarentine e il didramma d’argento subì una svalutazione, passando da 7,3 g a 6,6 g. Questo fondamentale dato è ormai chiaramente e definitivamente accertato analizzando anche le emissioni di altre città magnogreche. A causa di questa svalutazione per l’inizio della guerra si pose l’ovvia necessità di procedere a una massiccia produzione di monete per sostituire quelle che circolavano prima. Per Roma questa guerra presentava un importante elemento che la differenziava da quella contro Pirro. A differenza di quella guerra, questa volta Roma ebbe alleate la maggior parte delle città della Magna Grecia, che non solo rimasero fedeli, ma contribuirono enormemente sia al sostegno economico che alla vittoria soprattutto navale. La flotta romana, che fu la vera chiave di successo di questa guerra, fu allestita quasi completamente da Neapolis, Taranto e Locri. Per questa ragione a quel tempo ripresero le emissioni a nome di Taranto (cfr. SNG ANS 1081-1262) e di altre città, come Thurium e Crotone. Sempre sullo stesso nuovo standard di 6,6 g furono emessi nuovi didrammi romani, all’inizio ancora con ROMANO (Cr. 22 con testa elmata di Roma/Vittoria) e poi con ROMA (Cr. 25, 26, 27). Limitatamente alla circolazione verso l’interno continuò l’emissione di fusi, ora basati sull’asse librale di 286,52 g (= 252 scrupoli) e poi di 272,88 g (= 240 scrupoli romani, detto anche “osco-latino”). Quest’ultimo piede rimase in vigore fino alla fine della prima guerra punica. Voi vi chiedete come ha fatto Roma a poter sostenere l’onerosa prima guerra punica con pochi didrammi e molti scomodi e pesanti fusi di bronzo. La risposta è piuttosto semplice. I Romani poterono contare sul sostegno economico sia in beni materiali che nella stessa moneta dei suoi numerosi ricchi alleati. In questa maniera poi si spiega bene il perfetto allineamento tra la moneta d’argento romana e quella magnogreca, che non potrebbe assolutamente essere spiegata con il denario. Ovviamente all’interno di questo periodo non tutto il Crawford è “oro colato”. Ho delle riserve per alcune sistemazioni soprattutto del bronzo. Non mi sembra corretta la coesistenza in una stessa serie di monete di bronzo fuse e coniate. Ad esempio nela serie Cr. 25 c’è la cosiddetta litra Cr. 25/3, che è coniata, mentre Cr. 25/4-9 sono fuse, dall’asse all’uncia. Come faceva una monetina, la Cr. 25/3, che pesava quasi 1/180 della libbra, ad appartenere allo stesso sistema. La soluzione sta nel tenere separati i due sistemi: quello basato sull’asse fuso, che è monometallico con valore reale del metallo contenuto (destinato appunto alle regioni etrusche e italiche) e quello, molto più sofisticato e di derivazione greca, bimetallico, basato sul didramma con moneta di bronzo svincolata dal valore del metallo contenuto e perciò diventata fiduciaria (come appunto in vigore da tempo nel mondo greco). A me sembra risibile la definizione di litra data a questa monetina da Crawford. Se si osserva ad esempio la “litra” Cr. 27/4 si nota una S sopra il Pegaso. Si tratta quindi di una semuncia, ma di valore appunto fiduciario. Le serie fusa e coniata sono coeve ed emesse sotto la stessa autorità di Roma, ma, come già più volte sottolineato, destinate ad aree di circolazione diverse. Emblematico il caso di Luceria, vera città di confine fra le due aree di circolazione, con monete sia fuse che coniate. Alla fine della prima guerra punica il quadro monetario diventa molto complicato. L’ultima emissione alla fine della guerra sembra essere la Cr. 35 (sempre con asse librale di 240 scrupoli), che quindi andrebbe fatta risalire nel tempo rispetto alla cronologia di Crawford. Tra il 242 e il 225 a.C. Roma non rimase inerte sul piano militare, in quanto ben presto si profilò la necessità di debellare il pericolo dei Celti nel settentrione della penisola (ossia dall’unico lato ancora fuori dal controllo romano). Tale periodo si concluse appunto nel 225 a.C. con la battaglia di Telamone. Inizialmente continuarono forse solo le serie fuse Cr. 36 e 37 ancora basate sull’asse librale di 240 scrupoli, ma già con la creazione dell’asse semilibrale di 120 scrupoli (136,44 g) crollò il sistema monometallico con il bronzo realmente valutato a peso (a partire da Cr. 38). In realtà l’asse continuò ad essere valutato come asse, senza quindi modificare il potere di acquisto, ma cominciò ad assumere “connotati” fiduciari. E’ in po’ come oggi sostituiamo una vecchia banconota con una nuova dello stesso valore, ma di formato più piccolo. Questo nuovo concetto di MONETA FIDUCIARIA DI BRONZO si affermò definitivamente nella mente dei Romani e tutte le successive riduzioni di peso dell’asse sono servite solamente a creare una moneta di bronzo più agevole. I veri attuali problemi numismatici riguardano piuttosto i tempi dell’evoluzione di tale unificazione dei due sistemi e l’esatto momento della comparsa del cosiddetto quadrigato (ancora un didramma di 6,6 g) e poi anche del denario. In pratica Crawford stabilisce che il quadrigato fece la sua comparsa solo alla fine della guerra celtica. Forse è possibile retrodatarlo di un poco, appunto come moneta nata per armare il forte esercito contro i Celti, assieme alla prima serie in oro, statere e mezzo statere con la famosa scena del giuramento. E’ possibile che tale scena ricordi l’alleanza di non pochi confederati italici (e anche mercenari), che in effetti furono arruolati da Roma contro il nemico sceso dal nord. Con la nascita del quadrigato e del bronzo ormai solo coniato con valore fiduciario sembrò per Roma di avere raggiunto un assetto definitivo o almeno stabile. In realtà questo nuovo sistema conteneva una intima contraddizione non sanabile. Da una parte c’era l’argento di netta derivazione greca, mentre dall’altra parte c’era il bronzo che, anche se ormai fiduciario, ancora esprimeva valori di derivazione centro-italica, con l’asse e i suoi sottomultipli. Negli anni compresi tra il 225 e lo scoppio della seconda guerra punica (218-202 a.C.), il terzo fondamentale "spartiacque" monetario, fu probabilmente emesso il vittoriano, ossia una dracma e quindi un mezzo vittoriano, destinato alle aree ancora periferiche al dominio di Roma. Allo scoppio della guerra contro Annibale il quadrigato iniziò chiaramente la sua discesa sia ponderale che anche nel titolo stesso, con degradazione stilistica, a vantaggio del più maneggevole vittoriano. La vera crisi che determinò il superamento dell’imperfetto sistema del quadrigato (e anche vittoriano), con la consapevolezza di creare una moneta d’argento totalmente nuova, non più di derivazione greca, ma completamente romano-italica e chiaramente basata sull’asse, appunto il denarius, ossia una moneta di 10 assi, fu probabilmente legata alla disfatta di Canne del 216, in un momento in cui l’asse di bronzo si era praticamente attestato a valori sestantali (asse di 48 scrupoli), ma comunque con ampie oscillazioni ponderali anche all’interno di una stessa emissione (una caratteristica tipica della moneta fiduciaria). L’ancoraggio del nuovo denario al sistema sestantale fu solo un pretesto in quanto bene si prestava a una chiara definizione metrologica, anche in un particolare contesto come quello siracusano cosiderando che la Sicilia fu praticamente il principale fronte militare, con l’impiego delle maggiori risorse di soldati e di foraggi. Per il momento mi fermo e prendo fiato (anche per voi), poi con calma proverò a spiegare come i Romani hanno “costruito” mirabilmente il nuovo sistema denariale prendendo spunto anche da dirette osservazioni sulle monete già allora in circolazione a Siracusa, presso il fedele alleato e amico Gerone II (la cui morte nel 216 contribuirà a segnare fatalmente i destini della terribile guerra). (continua)1 punto
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Recentemente, sulla rivista "Monete Antiche" di Antonio Morello, n. 54 (Novembre/Dicembre 2010), è apparso un corposo articolo a cura di Sergio Novajra, intitolato "L'evoluzione del ritratto di Cesare sulle monete in vita e dopo la morte", con numerose belle foto di Giulio Cesare che mostrano l'evoluzione del ritratto cesariano sia negli ultimi mesi di vita che dopo la sua morte. Se hai bisogno di una adeguata galleria fotografica consiglio tale articolo. Tuttavia, per rimanere più aderente al tuo tema, esiste un altro studio, con citato da Novajra, del dr. Sergio Macchi, noto medico tcinese, intitolato "Le condizioni di salute di Cesare nel 44 a.C.", in un volumetto "Numismatica sottovoce" edito fuori commercio da Roberto Russo della NAC, in allegato a un recente catalogo di asta della NAC. In quest'ultimo studio Macchi rileva come le monete nel corso del 44 mostrano tratti patologici che indicano un importante dimagramento, una cachessia, che conferma fdiverse onti storiche qui accuratamente analizzate e che accennano a una grave malattia. Oltre alla nota epilessia, pare che negli ultimi tempi soffrisse di crisi di diarrea e di frequenti vertigini. In ogni caso sospetto che Cesare era comunque destinato a una morte naturale a breve scadenza. Allora se erano note le sue reali condizioni di salute, perché fu ugualmente assassinato ? Probabilmente i congiurati non volevano dargli il tempo di organizzare una ordinata successione, che ovviamente contrastava con i piani degli assassini. E' interessante osservare che Augusto, il suo erede, evitò accuratamente nelle sue monete di mostrare i reali lineamenti del suo prozio, salvo alcuni casi al empo delle guerre civili.1 punto
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Un testone che è di sicura importanza nella genealogia dei Corsini principi fiorentini, è quello che ritrae Sant'Andrea Corsini, vescovo di Fiesole morto il giorno dell'Epifania del 1374 e dichiarato Santo nel 1629, le cui spoglie mortali riposano presso la Cappella Corsini nella chiesa del Carmine di Firenze. Chiesa che egli stesso contribuì a costruire. Si tratta di un testone che sovente presenta strappi conio, come quello qui rappresentato. Il Rovescio come spesso accade nelle monete di questo Pontefice è stilisticamente inferiore per esecuzione al diritto. Abbiamo visto come Giov60 metteva in rilievo il naso a "patata" nell'allegoria della Communitas, ed anche in questo caso l'insieme del Santo genuflesso ha poco di ascetico e ci appare impacciato; le mani immense e sproporzionate rispetto al resto del corpo ed un improbabile naso da boxeur caratterizzano il Santo. Stato Pontificio Clemente XII (Lorenzo Corsini) 1730-1740 Testone MDCCXXXV Anno V Roma Argento gr. 8,432. diametro 30,16 D/ (s) CLEMENS - XII•P•M•AN•V busto del Pontefice a destra con camauro, mozzetta e stola adorna di croce raggiata. Rv. PRÆSIDIVM - ET DECVS Sant'Andrea Corsini genuflesso a sinistra con paramenti, le braccia allargate leva lo sguardo ad un fascio di raggi tra nubi, innanzi a lui un angelo gli porge la mitra; all'esergo: al centro armetta Casoni, ai lati MDCC - XXXV , sotto O - H T/ foglie in rilievo ↑ Conservazione: quasi Splendida, moneta rara Carlo Crippa Milano 27/1/87 £. 260.000 Muntoni 033 CNI 39 Serafini 75 strappi di conio al diritto ed imperfezioni del tondello, piacevole patina, con riflessi ramati al rovescio.1 punto
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Tessera mercantile per il pagamento dei pedaggi,del XIV sec. del tipo chiamato Androclo e il leone,se ti interessa troverai molte informazioni sul volume "IL SEGNO DEI MERCANTI" di Franca Maria Vanni.Ciao Borgho.1 punto
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organizziamo furto con scasso e dividiamo???? un Bue a testa basta... eh eh eh :lol: :lol: :lol: :lollarge:1 punto
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Scusate se torno sull’argomento, ma non riesco a togliermi dalla mente il denaro del post 637-638: più lo guardo e più mi sembra che la legenda del rovescio riporti +FREDERCUS. Questa lettura prevede che le due ‘R’ siano del tipo ‘a gancio’, ovvero ‘r’, come per i denari pisani che Monica Baldassarri classifica come F.I e F.II. In attesa di essere smentito saluto tutti. Valerio1 punto
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A me la procurano i Monaci Benedettini che sono specializzati nel restauro delle carte antiche e non l'ho comprata mai, quindi, in negozio. Se c'è qualche Abbazia Benedettina vicino a dove abiti ti potresti rivolgere ai monaci che sono per tradizione esperti "cartologi" e forniti di tutto quello che serve per recuperare e conservare la carta...inclusi consigli e preziose conoscenze. La carta di riso la potresti trovare poi, penso, in qualche cartoleria ben fornita o presso librerie antiquarie, corniciai artigiani e botteghe di rilegatura dei libri. Non costa molto comunque. Saluti, Enrico.1 punto
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