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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 12/12/10 in tutte le aree

  1. Se la tua domanda riguarda la comparsa della data nei termini più generali, allora direi che essa compare sistematicamente per la prima volta nella monetazione umayyade nel VII secolo con la riforma del califfo Abd al-Malik ibn Marwan. Credo che la data più antica sia l'anno 78 del calendario islamico che ha corso tra il 697 e il 698 gregoriani. Naturalmente tale la riforma della moneta, di capitale importanza, è dettata da necessità di organizzazione del caiiffato che conosce nell'VIII secolo la sua massima espansione (dalla Spagna all'India!). Inoltre essa è perfettamente integrata nel programma di islamizzazione dell'impero avviato dai califfi. Le legende delle monete sono in caratteri arabi e riportano la professione di fede islamica e versetti del corano. In più, appunto, la zecca e la data.
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  2. Hai ragione Jagd anchio ne ho trovata una in vendita di Rame, però peccato che non specifica se trattasi di Riconio o Falso....Ciao Massy
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  3. Non è detto Le mailles tierces se non ricordo male sono state coniate oltre che a Tours, anche a Tolosa, Saint Pourçain, Montreuil e... me ne sfugge qualcuna... devo controllare
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  4. In realtà, considerando sistemi di datazione relativi - al pari di quello dell'Egira - (ma TUTTI i sistemi di datazione sono, ovviamente , relativi...) la data compare ben prima sulle monete. Cito a memoria, ma qualcuno ppotrà ricordare i riferimenti esatti, una moneta romana che celebrava i 1000 anni dalla fondazione di Roma (753aC), fu emessa, credo da Diocleziano, ed è straordinario che giù ij piena antihità si riuscisse a celebrare il "primo" millennio della città eterna. Forse anche delle monete axumite riportarono dei riferimenti cronologici nelle loro legende (ma potrei sbafìgliare :P ).,, Ho appunto scritto "sistematicamente", quindi è più che evidente, se si legge con attenzione e umiltà, che il mio scritto ha valore al di là della considerazioni di sistemi di datazione relativi. Spero di essere stato chiaro e ho voluto precisare in quanto mi sono visto quotato da chi mi precede. La datazione sistematica islamica è un evento di grande portata e novità in sé e per il suo ampio respiro: l’anno dell’Egira è posto su oro, argento e rame senza distinzione. Inoltre, al di là della moneta di Diocleziano, mi sembra giusto precisare che non bisogna confondere una moneta databile in seguito ad un evento (tipo la cometa nel denario di Augusto o altri riferimenti) con la datazione stessa. Ma, sempre a titolo esemplificativo, anche scrivere “1000 anni dalla fondazione di Roma” può essere ben diverso dallo scrivere “anno 1000”. In questo senso è anche il fine della datazione che fa la differenza. Infine, d'accordo che tutti i sistemi di datazione sono relativi, ma giova ricordare, volendo rimanere in ambito europeo, che è appunto in ambito europeo che le dinastie islamiche e non solo pongono la data islamica sulle loro monete, sistematicamente e con anticipo, dalla Spagna alla Sicilia agli stessi Balcani. Poi chiaramente se fry88si riferisce a datazione gregoriana (e appunto ho scritto "termini più generali"), basterà partire dalle considerazioni già fatte in merito o dal link postato da avgvstvs.
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  5. Non è un grosso ma una maille tierce alla O rotonda di Filippo IV il Bello http://www.cgb.fr/monnaies/vso/v12/gb/monnaiesgbdc31.html
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  6. il peso da te dato corrisponde ad un Asse! A questo punto se non vedo male poichè non mi sembra che sotto il collo ci siano delle lettere dovrebbe essere CAESAR - PONT MAX RIC 230 Se invece avendo tu in mano la moneta ti sembra di scorgere sotto la base posteriore del collo le lettere ( IAE ) dI Patriae con legenda sinistrogira dovrebbe trattarsi della 233 CAESAR AVGVSTI DIVI F PATER PATR(IAE)
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  7. D/ DIVVS AVGVSTVS PATER R/ Aquila su globo, SC ai lati Asse battuto da Tiberio RIC I; Roma 82, rated S;
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  8. potrebbe essere questa: http://www.wildwinds.com/coins/ric/hadrian/RIC_0616c.jpg Hadrian AE As. IMP CAESAR TRAIAN HADRIANVS AVG, laureate head right / P M TR P COS III, S-C across field, Pax standing left, holding branch and cornucopiae. Cohen 1141.
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  9. Ciao! Si tratta proprio di un paisa in rame, emesso durante il regno di Sadiq Muhammad V, ultimo emiro di Bahawalpur, principato che nel 1947 entrò a far parte del nuovo stato federale del Pakistan e che fu definitivamente liquidato nel 1955. La data mi sembra 1342 AH, la zecca è proprio Bahawalpur. Il Krause riporta due date per questo nominale 1342 AH e 1343 AH. La prima foto andrebbe ruotata di 90 gradi a sinistra. :)
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  10. Proseguiamo con una nuova parte, parlando della cosiddetta riforma di Emanuele Filiberto. A mio dire, uno dei temi citati più a sproposito e meno correttamente di tutta la monetazione sabauda... Mentre a Milano e a Venezia si iniziano le coniazioni delle lire d'argento - il testone e la lira tron, rispettivamente - nel Ducato di Savoia si manifesta una confusione monetaria piuttosto marcata. Con i successori di Ludovico (1440-1465) si aprì un periodo di instabilità politica che ebbe un riflesso pesantissimo sulla monetazione, con l'attuazione di una serie molto rapida e disordinata di piani di debasement, anche molto marcati. La situazione precipitò con Carlo II quando, per effetto delle guerre d'Italia e la progressiva perdita dei territori del ducato a seguito dell'occupazione militare francese, lo Stato sabaudo si ridusse a poche province piemontesi. In questo arco temporale il sistema monetario del ducato non mostra cambiamenti. Il sistema di conto rimane basato sul grosso di quattro quarti, otto forti, sedici viennesi, ... di cui si è già parlato la volta scorsa. Ciò che subiscono cambiamenti molto pesanti sono le monete effettivamente coniate, ossia i grossi, quarti, forti, viennesi, ... che subiscono pesanti azioni di riduzione delle proprie caratteristiche intrinseche. La monetazione di Carlo II mostra benissimo quanto avvenne: le tipologie note di questi nominali nei quasi cinquant'anni della sua conduzione del ducato sono moltissime. Di molti pezzi non siamo anzi in grado di individuare con certezza neppure l'effettiva denominazione, né la zecca o l'ordinanza di riferimento. Vennero aggiunti altri ulteriori esemplari, come i testoni, che si affiancano ad altri nominali già presenti come lo scudo d'oro, che non subivano azioni di debasement marcati ma si rivalutavano piuttosto nel corso. Il loro valore nominale non è fissato nel tempo, ma cambia, restando legato al sistema di conto basato su grossi, quarti, ... Oltre a questa confusione endogena, proprio in quella prima metà di XVI secolo, se ne andò ad aggiungere un'altra di natura esogena. Per effetto del disordine monetario e più generale economico in cui versava lo Stato, in innescarono fenomeni monetari macroscopici che portano monetari molto complessi (e ancora da studiare) che portarono nel ducato una presenza di moltissime specie monetarie straniere, in particolare saluzzesi e monferrine. Inoltre, le diversificazioni delle aree monetarie già evidenziate nei precedenti interventi si sarebbero amplificate ulteriormente, proprio per il fatto che molti dei territori del ducato furono occupati, per tempi più o meno lunghi, da eserciti stranieri. Con la fine dell’occupazione francese e il reintegro nei territori del Ducato di Savoia, Emanuele Filiberto (1559-1580) manifestò subito l’intenzione di riorganizzare la monetazione del suo Stato. Le azioni da lui intraprese furono indirizzate nelle intenzioni a far cessare definitivamente le differenze intercorrenti tra le regioni piemontese e transalpina per quanto riguardava la tipologia delle monete emesse ed il diverso valore da esse assunto nelle due aree. Una prima azione di riforma della moneta ebbe luogo tramite un’ordinanza emessa a Vercelli il 20 aprile 1561, con la quale vennero stabiliti alcuni nuovi nominali per la regione piemontese del Ducato di Savoia. Il provvedimento introduceva implicitamente nello Stato un sistema di conto basato su lire, soldi e denari, con la proporzione di derivazione carolingia 1 lira = 20 soldi = 240 denari, abolendo il sistema in vigore che prevedeva il ricorso al fiorino. Solamente il 13 marzo 1562, però, venne emessa un’ordinanza più specifica, attraverso la quale venivano fissati in maniera univoca i nuovi nominali, apportando alcune piccole variazioni relativamente agli esemplari in mistura. La riforma messa in atto nel 1562 prevedeva l’introduzione di nuove monete dal valore facciale rigidamente fissato, con proportione tale, che ageuolmente si possano moltiplicar l’vne per l’altre, & che ciascuna delle minori moltiplicata sempre venga à constituire giustamente qual si voglia delle maggiori cosi d’oro come d’argento senza che vi manchi, ò auanzi numero alcuno, ò rotto, ò intiero. Il nuovo sistema - sia di conto, che di nominali effettivamente emessi - si basava su tre pezzi in oro, tre in argento e tre in mistura, con proporzione esatta tra loro. La riforma mostro subito i suoi limiti e le sue imperfezioni. Uno dei pezzi in argento previsti, quello da 5 soldi, probabilmente non venne mai coniato. Al suo posto venne coniato un pezzo da 4 soldi denominato bianco, previsto nell'ordinanza di Vercelli dell'anno prima. Nel 1563 le caratteristiche intrinseche di bianchi e delle monete di mistura venne alterata, introducendo un leggero abbassamento, che corresse un rapporto sfavorevole tra questi nominali e i pezzi a più alto tenore d'argento. Questi aggiustamenti già nel 1562-63 sono i primi indizi di un fallimento dell'azione di riforma. I motivi sono molteplici e la loro discussione richiederebbe molto tempo. In estrema sintesi, si può dire che la riforma era inadeguata alla risoluzione dei problemi monetari del ducato. Essa nacque subito inadeguata alle effettive necessità: il pezzo da 4 soldi era più idoneo da quello da cinque perché più simile a quanto già utilizzato prima della riforma, i tre nominali in mistura erano troppo "ricchi" di argento e dovettero essere ribassati per evitare che nascessero fenomeni monetari macroscopici che sarebbero andati a minare gli altri nominali maggiori. Nello Stato sabaudo c'era un'ampia presenza di circolante minuto, di contenuto intrinseco disomogeneo e di valore nominale spesso incerto. La riforma non provvedeva a demonetizzare questa porzione di circolante, ma andava ad aggiungerne altro, del tutto slegato da quanto già presente. Soprattutto, non teneva conto delle differenze oggettive in termini di circolante tra le diverse province dello Stato. Per tutte le aree monetarie veniva imposto un nuovo sistema monetaria che si rivelava del tutto slegato da esse: un retaggio, questo, del pensiero economico cinquecentesco, quando non si aveva coscienza di leggi monetarie come quella di Gresham e sulle proporzioni tra monete grosse-piccole. Soprattutto, la riforma peccava di ottimismo quando fissava un rapporto esatto tra i nominali in oro e quelli in argento. Lo scudo d'oro valeva tre lire d'argento INSTAR OMNIVM. Questo approccio presumeva una assoluta stabilità del valore dei due metalli sui mercati, cosa assolutamente falsa nel medio-lungo termine. Anzi, a partire dagli anni Settanta-Ottanta del XVI prese il via una rivalutazione dell'oro molto più sensibile rispetto a quella dell'argento, determinando quindi una forbice tra i gruppi di nominali coniati nei due metalli. Il rapporto 3:1 tra scudo e lira venne presto a rompersi, facendo perdere di significato alla riforma. La rottura formale potrebbe essere fatta risalire al 1573, quando venne deciso di portare il cambio della lira da 20 soldi a 21 1/7, introducendo in questo modo una evidente rottura di quell’equilibrio nel valore dei nominali voluto con l’ordinanza del 1562. Con il 1573 la riforma di Emanuele Filiberto di Savoia non si può dire esaurita, anche se i suoi principi di base cominciano a venire meno. Oltre alla violazione della proporzionalità tra gli esemplari si interruppe la coniazione dei grossi multipli d’oro, dei soldi e dei quarti, ed anche quando in seguito questi ultimi due nominali tornarono ad essere battuti mostrarono i segni di una pesante svalutazione, con una vistosa riduzione del peso e del titolo. Alles klar? Stavolta mi attendo osservazioni. Fine della sesta parte.
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  11. Quick update. Attenzione a chi definisce "nuove" le monete: i documenti o gli autori ottocenteschi e posteriori? Idem per le altre denominazioni. Tenete sempre conto che le varie "tipologie" definite dai cataloghi, specie quelli più recenti, sono del tutto arbitrarie e non rispettano la cronologia. Diverso sarebbe il discorso se immaginassimo di ordinare le emissioni sulla base della sequenza delle ordinanze, sarebbe più razionale e soprattutto più informativo per la comprensione della monetazione. In generale nei documenti si trovano espressioni di denari nuovi, rinforzati, forti, bianchi, neri, ... perché fanno riferimento a nuove emissioni di questo stesso nominale con caratteristiche intrinseche modificate. E' proprio con lo studio della presenza di questi attributi nella documentazione che si può fare (o tentare) una seriazione delle emissioni. La ridda di tipi che emerge in realtà deve essere vista in maniera più sequenziale: non tutti i pezzi erano emessi allo stesso tempo, ci sono serie di emissioni di uno stesso nominale in un arco di tempo più o meno lungo, dove lo stesso nominale appare debased. Diciamo che fino alla fine del Trecento non si può parlare di un sistema unico sabaudo, ma di un insieme eterogeneo di mercati locali nei quali le emissioni dei Savoia si innestavano. Anzi, probabilmente le monete sabaude erano anche una frazione non proprio dominante in certi mercati, anche all'interno del territorio formalmente facente parte dello Stato. Poi dal Quattrocento la situazione si omogenizza un po' di più, ma solo perché nasce un sistema di conto più chiaro. La parpagliola nasce come pezzo del valore nominale da tre quarti. Anche se avrà una breve vista, la denominazione di "parpagliola" rimarrà nelle monete di conto anche in seguito, come accadde così per il reale, il bianco, ... di cui parleremo più tardi. E.
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  12. Proseguo dunque nella discussione. In questa parte sarò forse un po' sbrigativo, ma se teniamo ben presenti i concetti di unità di conto e di corso delle monete non dovrebbero esserci problemi. Come stavamo discutendo l'ultima volta, è verso la fine del XIV secolo che il sistema monetario dei Savoia sembra trovare un'impostazione piuttosto rigorosa: fiorini, grossi, quarti, forti, denari, ... appaiono tutti inquadrabili in uno schema alquanto preciso. Con l'ordinanza del 1384 e la successiva estensione del 1406, quindi, la monetazione sabauda assume un assetto destinato a durare oltre due secoli. E' importante osservare un punto. Fiorini, grossi, quarti, forti, ... appena ricordati sono monete effettivamente coniate. Vale a dire, esiste il tondello del valore nominale di un grosso, quello del valore nominale di un quarto, eccetera. Anche il fiorino, che però è un fiorino diverso da quello standard di Firenze, su cui sono state modellate tutte (o quasi) le imitazioni straniera: si tratta di un fiorino più leggero, parvi ponderis, come indicato nei documenti (per distinguerlo da quello justi ponderis di standard fiorentino) e che effettivamente risulta coniato ad un peso inferiore ai tre grammi. Fiorini, grossi, quarti, forti, ... (scusate la prolissità!) sono però anche monete teoriche o, per essere più precisi, monete di conto. Mi spiego subito. Ho appena detto che il grosso era effettivamente un pezzo di metallo coniato secondo certe caratteristiche con il valore nominale di un grosso. E così pure il fiorino parvi ponderis. Soltanto che le dinamiche economiche portavano ad avere spesso e volentieri apprezzamenti e deprezzamenti dei metalli. I fattori sono molteplici: diversa disponibilità del metallo sui mercati, carestie, guerre, politiche monetarie ostili da parte di Stati vicini (Venezia e Milano ne sanno qualcosa, in proposito), la politica monetaria dello stesso Stato, che poteva non essere capace di cogliere opportunamente i mutamenti dello scenario macroeconomico. Faccio un esempio. Immaginiamo di avere ad un certo momento una moneta del valore nominale di un fiorino. In questa situazione il fiorino-moneta (intendendo l'unità di conto) coincide con il fiorino-tondello (intendendo il pezzo di metallo di tot grammi ad un dato intrinseco). Se ipotizziamo che ad un certo momento, per cause esterne, il prezzo dell'oro si metta a salire sui mercati, si avrà che il fiorino-tondello si troverà ad avere un valore intrinseco superiore a quello che aveva prima di questa crescita. Ne risulta che il fiorino-tondello non varrà più un fiorino-moneta, ma qualcosa di più. Effetto opposto nel caso in cui il prezzo dell'oro diminuisca: in questo caso il fiorino-tondello varrà meno di un fiorino-moneta. Per rispondere a questi fenomeni (ma non solo per questo) le autorità sabaude si misero presto a diminuire il contenuto di metallo prezioso (ossia argento) di grossi, quarti, forti, ... in modo tale che il valore intrinseco restasse sempre coincidente col valore nominale. In questo modo, un quarto coniato da Amedeo VIII vale un quarto di grosso, così come un quarto di Carlo II valeva ancora un quarto di grosso: solo che le due monete hanno contenuti intrinseci molto differenti, perché nell'arco di cent'anni diversi fenomeni hanno portato a cambiamenti nel prezzo dell'argento. Mettendo a confronto le monete di questi due sovrani si vede a colpo d'occhio la differenza. Soprattutto, la variazione del valore intrinseco poteva avvenire in modalità diverse per le diverse zecche dello Stato. Un quarto comandato a Pont d'Ain poteva essere diverso rispetto al quarto comandato a Torino, semplicemente perché le aree monetarie in cui si trovavano queste zecche avevano delle differenze più o meno marcate tra loro. Per tornare al discorso delle aree monetarie, oltre ad essere caratterizzate da diversi "mix" di monete straniere, nel caso sabaudo potevano anche vedere la presenza di specie autoctone con caratteristiche leggermente differenziate. Torneremo su questo punto alla vigilia della riforma di Emanuele Filiberto del 1561-62. Le zecche sabaude, però, coniavano anche monete come scudi d'oro, grossi tornesi, ... secondo standard internazionali. Per queste monete non era possibile fare operazioni di debasement come per le monete "piccole" di cui sopra, perché sarebbero nati meccanismi monetari diversi che avrebbero alterato la monetazione in generale. Queste monete vedevano il loro valore nominale incrementare, più o meno di pari passo con cui il valore intrinseco delle monete "piccole" diminuiva per mantenere l'allineamento col valore nominale di queste ultime. Per tornare al caso di prima di Amedeo VIII e Carlo II, possiamo pensare ad un immaginario scudo d'oro coniato con le stesse caratteristiche per cent'anni, che con Amedeo VIII valeva 10 grossi e che con Carlo II si trova a valere 25 grossi (invento due valori, perché non ho con me i dati precisi). Il contenuto d'oro non è cambiato, quello che è cambiata è la parità scudo-grossi per effetto della diminuzione dell'intrinseco del grosso-tondello. Mi rendo conto di aver parlato poco del sistema monetario sabaudo vero e proprio, e soprattutto di aver fatto una sintesi estrema (e un po' ardita) di concetti piuttosto complessi. Allo stesso tempo, però, volevo che questi aspetti fossero ben chiari, altrimenti non si può portare avanti il discorso soprattutto per il Cinque-Seicento, due secoli in cui questa forbice tra valore nominale e valore intrinseco subirà amplificazioni anche traumatiche. In proposito, sono ben gradite domande e osservazioni. Se sarò in grado di rispondere, vi accontenterò volentieri. Fine della quinta parte. P.S. Non penso avrò modo di proseguire prima della prossima settimana, causa mancata disponibilità di collegamento regolare al web.
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  13. Le monete del Vaticano hanno un certo fascino anche quelle portoghesi, brutte invece quelle olandesi, lussemburghesi e belghe
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