Proseguiamo il discorso.
A partire dalla seconda metà del XII comparvero nuovi fattori che contribuirono a modificare lo scenario appena tracciato. La moneta pavese perde sempre più influenza all'interno dei territori del Regnum Italicum, progressivamente sostituita nel suo ruolo di moneta-guida dalle monete di Milano, Genova e Asti. Inoltre, cominciano a diffondersi le monete "grosse" d'argento, seguite dopo pochi anni dal ritorno alle emissioni in oro da parte della zecca di Genova - ancora lei - e Firenze. Come e perché tutto ciò avvenne esula da questa discussione. Entrarono in gioco fattori macro-economici, demografici, persino tecnologici, dei quali la moneta è solo un piccolo riflesso.
In area piemontese si assiste ad una rapida diffusione del denaro milanese e del denaro astese. Quest'ultimo, in particolare, si diffuse nei territori piemontesi occidentali, arrivando in contatto con quelli che erano i possedimenti sabaudi. Nell'ultimo quarto del XIII secolo nelle zone di Rivoli, Avigliana, Susa, ... si registra un cambio di 3 denari astesi per 2 denari secusini. All’inizio del secolo successivo la moneta astese era diventata l’unità monetaria di riferimento di Cuneo: quando, il 31 marzo 1307, Rainaldo di Letto, siniscalco per Carlo II d’Angiò nel Contado di Piemonte, stipula degli accordi per la fabbricazione nella zecca di Cuneo di grossi tornesi, quinti e ventesimi di tornese, il valore di corso dei nuovi nominali – di evidente derivazione provenzale – viene espresso in denari astesi.
La moneta di Milano si sarebbe invece insediata con maggior forza nei territori occidentali della regione, quelli più prossimi cioè allo Stato di Milano. Non è un caso che la famosa grida del 7 novembre 1311 (e non 1310, come riportato dal Promis e beceramente copiato dagli autori successivi) con la quale Enrico VII di Lussemburgo bandì gli imperiali (moneta milanese) fatti dalle zecche piemontesi citi le officine di Chivasso, Ivrea, Incisa, Cortemilia e dei marchesi di Ponzone, ossia zecche che si collocano in un contesto geografico prossimo a quello milanese, estraneo quindi alle realtà sia astese che sabauda.
Tutto questo per dire che le cose in Piemonte stavano cambiando in modo molto radicale. Ancora fino ad Amedeo IV (1232-1253) l'unica zecca dei Savoia è Susa, dove si battono solo denari secusini e oboli. Troviamo le denominazioni di denari "forti", "buoni", "deboli", "rinforzati" solo perché nel corso dei secoli XII-XIII ci furono diverse azioni di debasement, che modificarono il contenuto intrinseco: sempre denari sono, però, non si tratta ancora di una particolare diversificazione del sistema monetario.
Con Amedeo IV si gettano le prime basi per il cambiamento. Oltre a Susa si aprono altre zecche ad Avigliana, ma soprattutto al di fuori della val di Susa: con Chambéry e Saint-Maurice-d'Agaune la moneta sabauda va a collocarsi in un'area monetaria diversa da quella dove si era sviluppata fino a quel momento.
In questo periodo nascono le difficoltà. Da un lato, le monete non sono facilmente attribuibili ad una zecca piuttosto che ad un'altra. Viene introdotto un sistema di segni di zecca (mutuato dal Regno di Francia), cui non sempre sappiamo associare la zecca di origine. A ciò si somma un problema di affidabilità dei dati, perché molti dei segni riportati ad esempio dal Corpus Nummorum Italicorum e ricopiati dagli autori successivi sembrano essere errati, o comunque non trovare una diretta corrispondenza sulle monete note. Dall'altro lato, sappiamo poco o niente di come fosse strutturata l'area monetaria su cui si andavano a collocare le monete prodotte a Chambéry e Saint-Maurice-d'Agaune, perché manca uno studio affidabile sulle scritture contabili o più in generale sulle presenze monetarie nei documenti di quelle regioni. Sappiamo dell'uso di denari secusini, ma soprattutto di viennesi, genevesi e losannesi. Molto è ancora da investigare.
Ci sono poche certezze. Una, però, è legata alla perdita di forza del denaro secusino anche nelle aree piemontesi dello Stato sabaudo. Proprio a partire dalla metà del XIII secolo, si osserva come all'uso dei denari secusini si affianchi sempre più quello di denari viennesi, che proprio dalla moneta secusina erano stati esautorati all'interno della val di Susa un paio di secoli prima.
Teniamo ben presente questi due punti: 1) con Amedeo IV la moneta sabauda esce dalla val di Susa; 2) il denaro viennese torna a diffondersi anche nei territori piemontesi dello Stato sabaudo.
Da qui partiremo la prossima volta per discutere la monetazione da Amedeo V a Amedeo VIII, forse la parte più ostica di tutta la storia sabauda. Mi scuso se finora si è parlato poco di metrologia, ma fra poco vedrete che tutti questi discorsi torneranno utili, soprattutto quando dovremo demolire un po' di concetti proposti dai sacri testi.
Fine della terza parte.