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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 11/18/10 in tutte le aree

  1. Buona sera a tutti. In questa discussione volevo proporVi alcune immagini della Zecca dello Stato di Roma, tratte dall'opuscolo "La Zecca Italiana" edito dall'I.P.Z. nel 1955. La data di pubblicazione avrebbe dovuto suggerirmi di collocare queste foto nella sezione della Repubblica, ma le atmosfere che si colgono sembrano indulgere ancora verso un contesto storico più simile a quello prerepubblicano e quindi ho pensato di metterle qui. Mi sono sembrate immagini particolarmente "vive", forse perchè in quasi tutte, accanto ai macchinari, ci sono delle persone al lavoro. Si potranno osservare particolari molto eloquenti sulla condizione degli operai, degli ambienti e dell'organizzazione del lavoro dell'epoca e se ci si soffermerà qualche secondo a riflettere su ciò che si vede si potrà anche apprezzare il salto di qualità che in poco più di mezzo secolo da quelle immagini la nostra società è stata in grado di realizzare. Buona visione. L'area della "contazione" delle monete non sembra esattamente rispecchiare un luogo ordinato quale ci si aspetterebbe di trovare........ L'operaio in primo piano, con quell'indumento da lavoro, non sembra anche a Voi Paul Newman nel film "Nick mano Fredda"? Più che un vestito da lorovo sembra indossare la divisa di un carcerato!!!!.............. :lol: Da notare anche. in alto di fronte a lui. un'immagine del Papa (dovrebbe essere Pio XII), un'altra foto che non riesco a riconoscere, un ramoscello d'olivo e una presa di corrente che oggi, la Legge 626, non permetterebbe più di utilizzare..... ;) Interessanti anche i sacchetti bianchi recanti il monogramma "ZI", contenenti le monete da spedire alle tesorerie provinciali, Solo donne nella sala presse monetarie da 60 Tonnellate? Sullo sfondo, vestito di nero, si intravede un uomo, forse il Capo Reparto, che sorveglia la situazione. Il "Laminatoio a nastro" indicato nella foto potrebbe essere quello "duo reversibile di notevole potenza capace di laminare a a caldo ed a freddo i metalli: Esso era dotato di due forni di preriscaldo di cui uno elettrico e l'altro a gas propano". (N. Jelpo - La monetazione metallica Italiana - Roma 1980 pag. 93). Nel "Laboratorio di incisione" invece, solo uomini??............. B) Par condicio al "Pantografo"...... :( Il "Forno per ricottura laminati" della Siemens (in tutto 3) sostituirono quello ad induzione ad alta frequenza ceduto ai tedeschi durante la guerra. Si tratta di una delle presse monetarie capaci di coniare circa centoventi monete al minuto, acquistate dall'Inghilterra e fabbricate dalla Taylor and Challen di Birmingham. Saluti. Michele
    3 punti
  2. Cominciamo allora il discorso sulla moneta sabauda vera e propria, tenendo sempre ben presenti i due concetti che ho esposto ieri. Gli studi più recenti portano a pensare che intorno ai secoli X-XI, all'alba cioè della nascita della moneta dei Savoia, l’intero Piemonte (intendendo con questo termine grosso modo l'attuale regione) ricadesse nell’area monetaria del denaro pavese, ossia dalla moneta prodotta dalla zecca di Pavia, che aveva servito il Regnum Italicum all'epoca ormai in fase di collasso. Il Piemonte avrebbe costituito una sorta di provincia periferica dell’area monetale pavese. Oltre le Alpi, le specie monetarie più diffuse erano diverse, costituite soprattutto da denari pictavini (zecca di Poitou) e viennenses (zecca di Vienne). Se si esaminano le registrazioni notarili, ad esempio relativi agli atti di vendita, si deve però osservare come lungo la valle di Susa vi fosse una sorta di "erosione" dell'area monetaria pavese proprio ad operare di queste monete francesi, in particolare del denaro viennese. Proprio a Susa, verso la fine dell’XI secolo, furono battute le prime monete dei Conti di Savoia in terra piemontese, e non a casa queste furono modellate inizialmente sui tipi dei denari realizzati nella zecca di Vienne. Fu a partire da Umberto II di Savoia (1070-1103) che le monete di Susa cominciarono a presentare una tipologia più originale, affrancandosi su questo piano dal denaro viennese, che presero il nome di denari secusini (zecca di Susa). Ancora per quasi tutto il secolo XI in val di Susa le registrazioni contabili sono fatte basandosi sul denaro pavese, con presenze non piccole di riferimenti al denaro viennese o pictavino. Solo a partire dai primi decenni del XII secolo le citazioni di denari secusini compaiono più di frequente negli atti lungo tutta la valle, arrivando fino a Torino. I denari secusini, viennesi, pictavini, ... erano monete reali, cioè pezzi di metallo coniato. In questa fase della monetazione la moneta reale e la moneta contabile utilizzata nelle scritture possono essere viste come coincidenti, per il fatto che il sistema di nominali era estremamente ridotto: non c'erano, cioè, numerosi multipli e sottomultipli che avrebbero consentito flessibilità nei pagamenti. Il sistema monetario era ancora quello di derivazione carolingia, con lire, soldi e denari, dove solo il denaro - e occasionalmente l'obolo da mezzo denaro - era coniato. La ragione per cui nei documenti si specificasse la zecca di provenienza di questi denari era dovuta al fatto che le caratteristiche intrinseche delle varie monete avevano differenze tra loro. Le citazioni documentarie portano a pensare che la diffusione della moneta secusina si sarebbe limitata in queste prime fasi alla sola Val di Susa. In altre parole, essa andò a costituire un distretto monetario nuovo, sottraendo il territorio alle monete pavese e viennese, ma rimanendo confinata nel complesso al solo territorio soggetto alla dominazione sabauda. Identificando la moneta della zecca di Susa come la moneta dei Conti di Savoia si può entro certi limiti affermare che essa divenne l’unità monetaria corrente nei possedimenti italiani in Piemonte, arrestando la sua diffusione alle porte di Torino almeno all’incirca nel primo secolo della sua vita. Il discorso sui territori transalpini è più complicato e più incerto. Lì la moneta prevalente sembra essere sempre quella viennese e lionnese, ma fino al XIII secolo le registrazioni contabili sono scarse e poco studiate. Fine della seconda parte.
    2 punti
  3. Buon Giorno, La prossima asta NAC 57 propone, oltre a importanti gruppi di monete di zecche meridionali, un gruppo di monete di Firenze. Tra queste ho notato un certo numero di fiorini che sono databili, con la esclusione di pochi lotti, entro i primi anni del 1300. Mi riferisco solo ai fiorini: rispetto a aste NAC precedenti la qualità è generalmente più modesta, l’elevato numero di esemplari di fiorino delle prime quattro tipologie è ad ogni modo significativo e importante. Passerò in rassegna vari lotti, facendo una suddivisione per tipologie, proponendo eventualmente diverse interpretazioni rispetto alle classificazioni indicate. Farò riferimento alle immagini dei lotti raggiungibili dal sito sixbid.com con il numero di lotto proprio dell’asta. Un primo nucleo di monete, lotti da 19 a 25 compresi, il lotto 30 e il lotto 790 riferito alla zecca di S. Iacopo al Serchio ma stilisticamente vicino ai fiorini dei primi tre tipi, rappresenta i fiorini più antichi. Iniziando dal lotto 790 la moneta presenta al rovescio, in corrispondenza alla porzione inferiore del mantello compresa tra le gambe del Santo (vicino alla gamba sinistra) un difetto di conio, due frange del mantello per una probabile rottura/scheggiatura del conio di martello, si sono trasformate in una sorta di grumo di metallo. Una moneta con lo stesso “difetto” e di qualità migliore era passata nell’asta NAC 56 (avente anche il medesimo diritto) precedentemente lo stesso conio di rovescio era passato in due aste Lanz, la 129 e la 148, (per l’asta Lanz 118 non sono sicuro al 100%) con la particolarità che il difetto nelle frange non si era ancora manifestato. Non mi sento di fare ipotesi sui coni di diritto di queste due ultime monete per la scarsa qualità delle immagini di cui dispongo, anche se non escluderei che quello della moneta LANZ 148 possa essere lo stesso. In genere,a causa delle conservazioni non sempre equivalenti, per confrontare i coni ritengo più utile un raffronto di tipo “geometrico” che consideri le posizioni reciproche di alcuni particolari in aree diverse della moneta, un confronto basato sui singoli particolari, a causa dell’impiego di punzoni quali strumenti di lavoro, risulta non affidabile. Diversi gradi di conservazione e di usura trasformano viceversa le monete, anche perché con il progredire dell’usura l’aspetto è determinato dalla inclinazione e dalla profondità delle punzonature in sede di realizzazione dei coni. Nelle aste NAC 30 e NAC 50 erano passati due esemplari di un secondo conio (medesima variante B 4102). Per riassumere, negli ultimi 3-4 anni, per quanto sono riuscito a vedere sono apparsi per questa variante diverse monete, forse non è così rara come dicono, i coni che ho potuto individuare per ora sono due (discorso a parte per i coni di diritto). In considerazione del fatto che sono state classificate cinque varianti di punteggiatura dal Bernocchi il numero di fiorini emessi in origine deve essere stato considerevole, così come l’impiego dei fiorini come materia prima per produrre altre monete. Allego schede di alcune delle monete di cui ho parlato: NAC 56, Lanz 129 e Lanz 148.
    1 punto
  4. Credo che la seconda immagine vada ruotata, ad esempio come in allegato. Potrebbe corrispondere all'esempalre del link: Quando chiedi una identificazione, per favore aggiungi anche il peso ed il diametro della moneta. http://www.acsearch.info/record.html?id=2163 Luigi
    1 punto
  5. Credo possa essere questa: Constantine I CONSTANTI-NVS MAX AVG ROSDC GLOR-IA EXERC-ITVS dot CONSA Constantinople RIC VII Constantinople 149 s Usually a circle on banner and 3 badges yes
    1 punto
  6. E` UN GLORia exercitus di Costantino II periodo e` 335-345 la tua ha CONSA in esergo che sarebbe la zecca di Constantinopoli , prima officina CONSTANTINVS MAX AVG
    1 punto
  7. Allora bisogna partire distinguendo due cosette circa il problema della definizione di un sistema monetario e quello del cambio delle monete. Il sistema monetario rispecchia più che altro la struttura secondo cui deve essere pensata la moneta di conto. La struttura 1 fiorino = 12 grossi = 48 quarti è un esempio di quanto realizzato a partire dal XV secolo. In alcuni periodi queste unità erano corrispondenti anche a monete effettivamente coniate. All'inizio del 1400, infatti, il florenus parvi ponderis in oro era proprio pari a dodici grossi. Poi, col tempo, i fenomeni inflattivi e le rivalutazioni dei metalli (differenti in proporzione tra oro e argento) hanno fatto venire meno questa uguaglianza sulla moneta reale, ma per quanto riguarda l'unità di conto la proporzione è rimasta inalterata. Ecco perché possiamo trovare che un fiorino vale 13 grossi, e poi contemporaneamente un conto in cui si ragiona a fiorini da 12: il primo è la moneta d'oro vera e propria, la seconda la moneta di conto. L'insieme del circolante, invece, rappresenta la totalità delle monete utilizzate negli scambi. Non si tratta di monete necessariamente coniate dalla zecca locale. Al contrario, proprio la presenza congiunta di determinati pezzi, sia locali che stranieri, è l'elemento caratterizzante, che concorre a definire l'"area monetaria". Concetto, quest'ultimo, tutt'altro che banale. L'esempio mi viene facile se stiamo ancora nel XVII secolo, all'epoca di Carlo Emanuele I. Troviamo che la zecca emetteva nominali in mistura come grossi, pezzi da tre grossi denominati cavallotti, quarti di grosso, ... secondo una proporzione piuttosto precisa tra loro, che è rintracciabile anche nello schema allegato da savoiardo. Queste monete subivano più di tutte le altre i fenomeni svalutativi, e venivano "ribassate" in peso e fino (il cosiddetto debasement) in modo che ogni volta i nuovi nominali mantenessero la proporzione esatta tra loro per quanto riguarda il valore facciale. Poi esistevano però gli scudi d'oro, i ducatoni, i talleri che non avevano una proporzione esatta con gli altri nominali, ma che erano ampiamente diffusi. Non solo, dal momento che queste monete erano coniate secondo standard internazionali, erano ben diffusi anche pezzi stranieri: milanesi, spagnolo, genovesi, francesi, olandesi, ungheresi, ... Queste monete avevano un corso variabile, legato all'andamento del mercato dei metalli e dei fenomeni inflattivi subiti dalla moneta in mistura. Quindi troviamo che lo scudo d'oro valeva magari 18 fiorini, il ducatone 15, ... Questo è il valore di corso, ossia il quantitativo di moneta che doveva essere pagato ufficialmente nel caso questi pezzi fossero cambiati con moneta locale, appunto fiorini, grossi, quarti, ... Se le autorità svalutavano il grosso (cioè ne emettevano un altro tipo sempre con la denominazione di grosso, ma con un contenuto intrinseco inferiore), cambiava di riflesso anche il valore di corso di questi nominali "internazionali". Quindi lo scudo poteva valere ad esempio 19 fiorini, il ducatone 15 e mezzo, ... semplicemente perché il grosso e quindi il fiorino di riferimento per il corso era stato svalutato. Se si hanno chiare queste basi si può partire e analizzare la moneta sabauda (e non solo) dalle sue origini in avanti. Fine delle prima parte.
    1 punto
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