Lo stile ritrattistico che sorge a Roma in epoca repubblicana, si pone in contrasto voluto con la mondana ed intellettuale eleganza del cittadino ellenistico. A Roma si intendeva celebrare l'austerità e la forza di volontà di una stirpe di vecchi contadini abituati alla fatica ed alla disputa politica oltre che pieni di fierezza sul passato della propria gente. Lo stesso concetto di nobilitas, in epoca antica, è strettamente legato al ritratto. Sallustio (Bell. Iug., LXXXV; 25) fa scandire a Mario aspre parole contro i patrizi romani che lo disprezzavano "perchè non ho immagini (di antenati) e la mia nobiltà è nuova". Lo stesso rituale funebre, quello patrizio, prevedeva la realizzazione di una maschera di cera del volto del defunto che veniva poi conservata in un armadietto a sportelli nell'atrio della casa (il centro) ed il membro più autorevole della famiglia apriva la teca solo in determinate occasioni. Questo straordinario rituale legato al culto degli antenati e quello stesso "ius imaginum" teso all'esaltazione della gloria patrizia, appaiono non influenzati, nel loro originarsi ed istituirsi culturalmente a Roma, dal mondo greco. Il greco Polibio ci descrive, nelle "Storie", i rituali funebri patrizi al tempo di Scipione Emiliano: "quando ha finito di parlare del morto, l'oratore incaricato dell'elogio funebre ricorda i successi e le imprese dei suoi antenati, dei quali sono presenti le immagini, cominciando dal più antico. Così rinnovandosi continuamente la fama di virtù degli uomini valorosi, si immortala la gloria di coloro che hanno compiuto qualche nobile impresa ed il nome di coloro che hanno servito bene la patria è conosciuto da tutti e si trasmette ai posteri. E, quel che più importa, i giovani sono spinti a sopportare tutto per procacciarsi la gloria che si accompagnava ai valorosi". Possiamo rintracciare in questo, aspetti didattici di educazione e richiamo alla virtù, alla tradizione ed alla fierezza, ma soprattutto possiamo visitare la modalità di relazionarsi con la morte propria dei romani: la certezza dell'immortalità era affidata alla memoria dei posteri ed il ritratto era il veicolo privilegiato a cui questa era affidata.
Sono partito da tanto lontano (me ne scuso) nonostante la riflessione iniziale prenda in considerazione, giustamente, la ritrattistica dell'epoca imperiale perchè l'argomento del ritratto romano è pienamente intriso di valenze ideali ed antropologiche che sono peculiari della romanità ed affondano le radici nelle epoche precedenti ai cesari. L'arte dei ritratti, infatti, nonostante come tutte le altre forme artistiche di Roma alla fine sia stata "contaminata" dalla civiltà greca, non abbandonerà la sua valenza di celebrazione della persona (che deve essere sempre riconoscibile nella sua identità) in quanto personificazione di virtù e potere. Essa non è quella esclusivamente estetica, ricca di modellato e di plasticismo un pò barocco che portava i greci ad eccedere nell'idealizzazione, ma è quella politica della celebrazione del potere personale dell'imperatore. Il processo evolutivo che porterà dal realismo rigido e quasi maniacale dell'età repubblicana a quello più elegante e modellato dell'epoca imperiale non sarà a discapito del realismo stesso (mi limito a considerare i ritratti in numismatica perchè nella scultura ci sono casi in cui l'idealizzazione e il gusto greco in effetti sembrano predominare) che, seppure ammorbidito, sarà ricondubile alla ritrattistica propriamente romana. (Cfr. Bianchi Bandinelli R., Roma: l'arte romana nel centro del potere, BUR; Beccati G., L'arte nell'età classica, Sansoni; Vollenweider, Avisseau-Broustet, Cammées et intailles: les portraits romains du Cabinet des médailles, Bibliotheque Nationale de France). Enrico :)