Alle vostre testimonianze sulla F mal fatta aggiungo anche la mia, derivante da un 1860 MI di recente acquisizione, in cui la F sembra, per l'appunto, una P.
A questo punto e prendendo spunto dalla riflessione di Maregno, sono ancora più convinto che, nel coniare i marenghi colli lunghi, la zecca, specie genovese, abbia avuto qualche problema.
Nella maggior parte delle coniazioni la F è risultata ben impressa, in altre meno, in altre - ancora individuabili a occhio nudo - ben poco, in altre - individuabili solo con gli ingrandimenti - quasi per nulla e in pochissimi esemplari non è proprio "venuta fuori".
In alcuni casi, infine, nella F è rimasta una piccola quantità d'oro, così da trasformarsi in una sorta di P.
A fini di "catalogazione", resta da chiarire, secondo me, da quando si possa iniziare a parlare veramente di variante (o difetto, secondo Maregno).
Nel mio precedente intervento ho affermato che, a mio avviso, rientravano nella tipologia anche gli esemplari con qualche traccia di F, purché visibile unicamente con gli ingrandimenti.
Ora cerco di spiegarne la ragione.
Qualche tempo fa un esperto come il Varesi mi ha detto che, con riferimento ad eventuali difetti di una moneta, quali righette, piccoli colpi, dubbie spazzolature, ecc... la valutazione la si deve fare a occhio nudo. In altre parole, se il difetto o l'anomalia si vedono o si intuiscono già a occhio nudo, allora bisognerà tenerne conto. Altrimenti no o quasi. Certo, gli approfondimenti si fanno poi con la lente, ma ciò che conta, almeno di primo acchito, è l'impatto visivo diretto. Se diamo per buona questa tesi (e non vedo perché non dovremmo, visto che viene da un numismatico serio e rigoroso), allora possiamo anche ritenere che la variante inizi ad esserci dal momento in cui la f a occhio nudo non la si vede.