Buon giorno a tutti.
Sebbene la sorte di questa proposta di legge sembri già segnata, non mi sembra del tutto inutile segnalarne l'assoluta inutilità ed inadeguatezza se ci si ponga come obbiettivo quello di risolvere le attuali manchevolezze del “sistema”, che – va detto – non fa tanto acqua per l'assetto normativo che lo governo bensì per le interpretazioni distorte che ne fanno gli operatori pratici.
Trovo fra l'altro sorprendente che dai concetti richiamati nella relazione che accompagna la proposta, riecheggianti i principi di libertà del pensiero liberale, si pervenga poi ad elaborare un testo che in parte è destinato a sanare (fra l'altro, a buon mercato) le posizioni dei grandi delinquenti del patrimonio archeologico mentre dall'altro, smentendo platealmente i suddetti principi, obbligano i collezionisti a “schedarsi” ed a schedare le proprie collezioni (ma solo quelle dei nummi coniati fino al 475 d.C....), in un impasto di burocrazia oscurantista di stampo nord coreano (ma senza offesa per i nord coreani) misto ad inammissibili incongruenze giuridiche che sembrano far dimenticare che, prima che in Italia, siamo in Europa.
E' tale lo “stridore” concettuale fra i principi riportati nella relazione accompagnatoria della proposta ed il “prodotto finito” che avrei quasi l'impressione che chi ha scritto la prima non può aver elaborato il secondo.
Abbiamo già sottolineato la parte più “avvilente” della proposta, che è quella che riguarda la sanatoria o condono.
Immagino che non a tutti piacciono questi sostantivi, perchè politicamente scorretti o magari per problemi di coscienza (la rubrica della proposta, pudicamente, enuncia nel titolo che saremmo al cospetto di “Disposizioni per il censimento e la riemersione dei beni archeologici in possesso dei privati”); tuttavia, limitandoci anche solo alla lettura degli artt. 6 e 7 della proposta, notiamo che la “presentazione della comunicazione” (leggasi: la domanda di condono...) ed il pagamento del “relativo contributo” (leggasi: pagamento dell'oblazione) estinguono i reati previsti dagli artt. 648 e 712 del C.P. ecc.”.
Tralascio volutamente l'approfondimento delle questioni connesse alla indifferenziazione opearata dalla proposta, tra beni di inestimabile valore e “ferraglia”, tra beni ante e post 476 d.C., tra il trattamento riservato a chi magari è in Cassazione per rispondere di ricettazione di importanti beni archeologici (con sentenze, quindi non ancora passate in giudicato) ed i comuni collezionisti, che sono la stragrande maggioranza.
I primi ed i secondi sono trattati esattamente allo stesso modo dalla proposta, come se non esistesse alcuna differenza.
E questo, scusate, è perlomeno offensivo.
Concludo, per farla breve, con una “perla” contenuta nella proposta di legge, che però ci ricorda che l'Italia, oltre ad essere la “patria del diritto” ha dato anche i natali alla Commedia dell'Arte.
L'art. 10 della proposta stabilisce che chi fosse alla detenzione di beni di interesse archeologico, numismatico ecc. antecedenti all'anno 476 d.C., per i quali il detentore non è in grado di esibire la ricevuta di comunicazione, ovvero la documentazione relativa alla regolare importazione dall'estero, sarà punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la pena prevista dall'art. 712 del C.P., e il bene è soggetto a confisca ai sensi dell'art. 240, secondo comma nr. 2 del Codice penale.
Attenzione alla sottigliezza.
La norma non dice che il collezionista, il quale entro una certa data non “comunica” di essere al possesso di beni di interesse numismatico ecc. risponderà del reato di cui all'art. 712 C.P. (“Acquisto di cose di sospetta provenienza”) ma che sarà assoggettato alla pena prevista dall'art. 712.
Si vuole quindi, surrettiziamente, creare una nuova fattispecie di reato, punito con la pena prevista dall'art. 712 C.P., consistente, puramente e semplicemente, nell'avere omesso di comunicare alla Soprintendenza il possesso dei beni archeologici (pagando il relativo balzello o rinunciando a detenerli e donandoli quindi allo Stato).
Da tale condotta omissiva del collezionista, priva di qualunque altra caratterizzazione, l'art. 10 della proposta fa discendere l'esistenza del “reato”.
Quindi, se ad esempio ho acquistato all'asta lo scorso inverno alcune monete (che siano però ante 476 d.C. perchè se fossero di epoca successiva allo Stato non interessa che siano censite...) secondo l'art. 10 la documentazione dell'acquisto non sarebbe sufficiente a dimostrare la lecita provenienza e quindi dovrò, se passasse questo monstrum giuridico, o effettuare nei termini la comunicazione ed il pagamento per un bene che ho già regolarmente acquistato, oppure, in mancanza, correre il rischio di violare la legge e vedermi confiscate le monete.
A questo punto, chi ha evocato analogie fra il possesso delle armi da fuoco e quello delle monete ante 476 d.C., non è andato lontano dalla verità.
Tirando le somme: da un lato incalliti delinquenti di opere d'arte ammessi a sanare con quattro soldi i beni illecitamente acquisiti e, se sottoposti a procedimento penale, contestualmente sottratti alla giurisdizione del giudice, previa estinzione dei reati commessi.
Dall'altra, collezionisti onesti obbligati a “schedarsi” (neanche fossimo in un paese totalitario) ed a ripagare quanto hanno già pagato in favore di venditore professionisti, sul fantascientifico presupposto che, se così non facessero, i loro acquisti, anche se documentati, saranno presunti di provenienza illecita.
Un ultimissima annotazione:
La proposta di riforma si intitola “Disposizioni per il censimento di beni archeologici in possesso di privati”.
Ma non abbiamo appena letto l'intervento del Dott. Bernardi che ci ricorda che l'archeologia ha rapporti con la numismatica solo quando è certa e documentabile la provenienza delle monete da un ritrovamento archeologico?
Che attinenza ha, dunque, questa proposta di legge, con il 99% delle monete in mano ai collezionisti?
Saluti.
Michele