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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 06/23/10 in tutte le aree

  1. L’emissione della moneta era una operazione economica, che non poteva avere risvolti negativi per nessuna delle parti in gioco. L’autorità emittente (e per lei la Camera Ducale, o la Camera Pontificia, ecc.) si aspettava dall’operazione, o un guadagno, o almeno un bilancio alla pari. Il Comune ed il Consiglio degli Anziani, anche. L’appaltatore, o zecchiere che dir si voglia (e che di norma era un banchiere… e questo la dice lunga), si aspettava senz’altro un bilancio di gran lunga positivo, visto che sulle sue spalle gravano tutti i costi dell’operazione, depositi cauzionali, acquisto delle materie prime (si tratta di somme ingentissime), salari agli operai, i costi degli incisori, i costi per la liberazione delle monete coniate, il salario ai commissari di zecca, agli assaggiatori, ai notai camerali, e quant’altro. Tutti questi costi erano spalmati sulla massa delle monete che dovevano essere coniate, ed alla fine chi avrebbe dovuto pagare tutti costi dell’operazione era l’utenza finale e cioè l’utilizzatore della moneta. Vero è che lo zecchiere che si aggiudicava un appalto, si faceva concedere anche contratti collaterali che gli potevano garantire ulteriori entrate (tipo l’esclusività del commercio dei metalli preziosi, privativa sul sale (che serviva inoltre anche ad imbianchire le monete), ed anche contratti non attinenti strettamente alla produzione di monete, come l’esclusiva del commercio degli stracci, e quanto altro riusciva a strappare ai committenti. Per la battitura della moneta grossa, poi, c’erano pochi margini su cui giocare perché il peso ed il contenuto di fino non poteva essere alterato, sotto pena di vedersi bandire la moneta e nel qual caso a rimetterci sarebbe stato in prima persona l’appaltatore. La maggioranza delle spese dovevano essere ricavate dalla battitura delle monete piccole il cui numero era costantemente tenuto sotto controllo (vedi sopra i vari contributi del Cipolla e altri). Come sarebbe stato possibile materialmente emettere moneta erosa con intrinseco pari al valore nominale? Chi si sarebbe accollato le spese dell’impresa? I guadagni dello zecchiere erano calcolati prima ancora di effettuare la gara d’appalto, e prima della firma del contratto venivano ancora ridiscussi. Questi si basavano sulla quantità di moneta minuta da coniare, e anche dai limitati e legittimi guadagni derivanti dalla battitura della moneta grossa (battuta in notevole quantità solo nelle zecche importanti come Milano, Genova, Venezia, Roma, o Firenze). Ma il grosso del guadagno doveva derivare dalla differenza di prezzo tra metallo nobile in massa e metallo monetato. Enunciazioni diverse, mi sembrano favole metropolitane od interpretazioni di chi tenta di capire fenomeni economici complessi senza avere a disposizione tutti i dati. Non credo che il Cipolla abbia mai potuto parlare di moneta emessa con valore intrinseco pari al valore nominale. Personalmente mi sono letto tutti i documenti sopravvissuti della zecca di Piacenza e parte di quelli di Parma. Abbiamo a disposizione quasi tutti i contratti di appalto, ma non sono di fatto di grande utilità! Sono tutti uguali! Fissano il quadro normativo e le caratteristiche tecniche e le quantità delle monete ma poi di fatto…, non venivano rispettati. Le deroghe ai capitoli erano concesse in base alle prassi in uso nella zecca di Milano e le quantità di moneta venivano richieste secondo lo necessità di giorno in giorno dal soprastante e dagli eletti sulla zecca. Di questi importanti giornali interni ne è sopravvissuto solo uno riferito alla locazione di Paolo Campi perché utilizzato in un processo contro di lui che si concluse con la risoluzione della locazione e con l’esclusione dalla gara successiva. Sono più interessanti i fogli volanti con le annotazioni dello zecchiere, o con i calcoli del computista, o la minuta del saggiatore che liberava le levate, perché riferiti a fatti contingenti e reali. Le coniazioni per i privati erano sporadiche e non erano una fonte importante di guadagno. Se mai erano un extra per arrotondare, perché il guadagno era già compreso nella battitura. Ed infatti, ho sottomano il contratto di locazione del 3 febbraio 1589, che al capo XII recita: “Occorrendo che qualche forestiero venisse per farli fabbricare Monete così d’oro, come d’arg.to per serviggio d’altro Stato, sia lecito, a detti Cechieri fabricare tutta quella quantità di monete fine che detti Cechieri voranno come parimente le sia lecito fabbricarne alli Terrieri sendo pero d’accordo con loro, et servando pero sempre in tutte le monete come di sopra la bontà, et peso et come di s.a, et stampate che saranno non le possano licenziare, se nò prima fatto assaggio et licenziate da detti soprastanti, et in presenza et nel modo e forma, et come di sopra, et questo senza diffalco deli scuti dua miglia che hanno da battere detti cechieri come di sopra.”. Non fissa neppure il famoso aggio percentuale che era solo un ulteriore balzello, lasciando liberi i contraenti di negoziare l’accordo (non rientriamo quindi nel caso rilevato dal Cipolla a Firenze, come fonte sussidiaria per il fisco). Le uniche battiture effettuate per privati avvennero proprio durante questa locazione, e subito dopo. Nel 1594 e 1595 fu concesso ad uno dei zecchieri in carica, Vincenzo Rivalta, la proroga di alcuni mesi di locazione, solo per coniare le monete richieste da alcuni banchieri intervenuti nelle Fiere dei cambi. Se allo zecchiere fosse stato imposto di emettere moneta minuta col valore dell'intrinseco pari al valore d'emissione si sarebbe rotto l’equilibrio e sarebbe crollato tutto il sistema. La Camera Ducale e la Magnifica Comunità si sarebbero trovati senza un cespite da reputare importante, lo zecchiere sarebbe fallito, e l’indotto in crisi e senza cassa integrazione. Questa è una battuta che spero ci rilassi un attimino. Però alcuni anni dopo (nel 1645 o 1646) Gianfrancesco Manfredi, zecchiere per i Ducati di Parma e Piacenza che non aveva alle spalle un solido patrimonio e che si era fidato di alcuni finanziatori che si aspettavano grossi guadagni immediati, in galera ci finì davvero per non essere riuscito a rispettare gli obblighi del capitolato d’appalto. Questo stato di cose non cambiò neppure nel 1673, quando l’edificio della zecca fu acquistato dalla Camera Ducale. La fabbricazione della moneta continuò ad essere data in appalto e gli zecchieri continuarono a rincorrere il guadagno. Discordo anche dall’interpretazione enunciata per la piastra papale. L’aumento da 100 e 105 baiocchi non è dovuto né alle sue qualità intrinseche né a quelle estetiche, che sono davvero notevolissime. E’ sempre colpa della moneta di conto che è soggetta a rapida svalutazione. Non fa eccezione neppure il baiocco romano. Non era la piastra ad aumentare di valore, era la moneta di conto che diminuiva. Il Filippo di Milano (qui sollevo un vespaio) nel 1609 era quotato 6 lire piacentine; 150 anni dopo, il 28 novembre 1753, ben 18 lire e 6 denari. E non credo che fosse esteticamente più bello della piastra romana.
    1 punto
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