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Elenco dei contenuti che hanno ricevuto i maggiori apprezzamenti il 04/30/10 in tutte le aree

  1. La piana di Katane ante 476 a.c. – Nuove idee ed ipotesi sui rapporti politici ed i flussi commerciali. Parte I Kατάvη nel prefato periodo è ancora una polis con preponderante etnia Calcidese in ossequio all’etnia fondatrice…malgrado la città fosse stata oggetto - dagli inizi del V sec. a.C. - delle mire espansionistiche dei Dinomenidi di origine Geloa e dominanti a Siracusa dal 485 a.C. con il tiranno Gelone. Con i precedenti interventi abbiamo cercato di descrivere l’antica città per evidenziare la complessità urbanistica della stessa…l’evolversi delle aree edificate dai Katanaioi e lo sviluppo della loro potenza commerciale in rapporto prevalentemente pacifico con i Siculi dell’isola. Per altro verso si è ipotizzato in questa stessa discussione, che nessuna monetazione sia stata coniata dai Katanaioi Calcidesi prima della prefata data del 476 a.C. Si ipotizza che ciò sia dovuto all’uso, da parte di questi, della monetazione ateniese per regolare gli scambi della città e che solamente dopo l’avvento dei Sirakusaioi nasce la litra siceliota. Trattasi di un’ipotesi. Ma non sembra sufficiente a negare tout court una coniazione specifica della Katane Calcidese prima della suddetta data del: 476 a.C. ove si valuti che la litra argentea fu introdotta - quale mezzo di pagamento – anche per favorire gli scambi con le genti sicule. Abbiamo già osservato che la città sorgeva poco lontano dalla foce del Simeto posta a sud e controllava un vasto, pianeggiante territorio che era (ed è ancora) il più ubertoso dell’Isola. E’certa - in linea anche logica - la presenza di uno scalo marittimo o di un porto che - come oggi - arricchiva le potenzialità di scambio e la capacità della città di gestire lucrosi e importanti commerci. Cfr. Il sistema portuale di Catania antica. Studi interdisciplinari di geo-archeologia marittima - di Castagnino Berlinghieri Elena F. - Monaco Carmelo. Di seguito posto una foto della parte più interna dell'attuale porto grande di Catania. Peraltro Katane fu, dalla fine del VI secolo al 476 a.C., l’unica città calcidese libera posta sulla rotta Cartagine/Corinto attraverso la quale si trasportavano (da una parte e dall’altra) le merci d’Africa e quelle d’Asia e di Grecia, lungo una rotta di cabotaggio che si dipanava lungo la costa meridionale dell’isola (Selinunte, Akragas, Gela) quindi, doppiato il capo Passero, toccava Siracusa, Katane e Messana/Reggio e poi, doppiato il capo Spartivento sulla costa ionica dell'odierna Calabria, la rotta proseguiva per Locri, Caulonia, Sibari, Taranto, Brindisi, Corcira ecc. fino a Corinto. E negli scali più importanti di tale itinerario le merci potevano essere caricate e scaricate repentinamente e continuamente...dando luogo ad una serie di spedizioni di mezzo, sull’asse marino Cartagine/Corinto. Nei porti più importanti di questo itinerario marino si rappresentava ogni giorno (da aprile a settembre) la prassi tramandataci da Eraclito di Efeso e osservata nel grande porto Efesino: oro merci – merci oro…merci oro – oro merci, in quanto le une si trasformavano nell’altro e viceversa nello scambio e nella negoziazione. Per compensare il valore di ogni transazione era necessario ricorrere anche al mikron kerma cioè alle frazioni della moneta d’argento. Per poche litre di differenza sulla somma in trattativaun carico di grano di Leontini o di Katane poteva cambiare compratore. Ed ancora, per due litre,il vino siculo di Morgantina o altre derrate potevano prendere la direzione di Cartagine invece che quella di Corinto..in ambedue le metropoli risiedevano estimatori dei prodotti agricoli della Sikelia mediati anche da Katane, che aveva rapporti pacifici e non indirizzati alla sopraffazione con le genti Sicule come nel prosieguo analizzeremo. La rotta su indicata era già un’ autostrada del mare ed i navarchi greci e punici la percorrevano assiduamente nella buona stagione. Ma chi incideva nel controllo delle merci che si appoggiavano a tale rotta per essere veicolate? Vi invito a porre attenzione su un dato eccentrico: lo scalo di Katane è stato l’ultimo scalo libero Calcidese lungo questo percorso dalla fine del VI secolo, atteso che Zankle cede prima a Gelone, quindi alla parentesi Samia ed infine ad Anaxilas di Rhegion - 500 a.C. ca. – 476 a.C., che fu tiranno di Reghion e dello Stretto. Anaxilas non si considerava calcidese era figlio della discendenza messenica (che si aggregò ai fondatori calcidesi) ed aveva sovvertito l’oligarchia di questi ultimi nella città, favorendo l’ascesa politica della parte Messenica della Polis reggina. Nel 494 a.C. il condottiero messeno occupa l'acropoli reggina e, rovesciando l'oligarchia che dominava la città, sale al potere dando inizio alla sua tirannide. Molto probabilmente Anassila approfitta della crisi interna del governo che, incapace di contenere l'espansionismo di Ippocrate tiranno di Zancle e Gela, individua nel messeno l'unico in grado di controllare la minacciosa situazione. Morto Ippocrate nel 491 a.C., Anassila passa lo stretto con un consistente esercito di messeni, scaccia i Samii e i Cadmi e conquista Zancle, che ribattezza Messana in onore della patria d'origine da cui provenivano i suoi antenati, la Messenia. Mi consento di chiudere, per ora, queste osservazioni ponendo alla vostra attenzione una considerazione di carattere geopolitico: tra i Fenici dell’ovest (da una parte), l’avvento di Anaxilas nel dominio dello stretto e le ambizioni delle stirpi doriche (dall’altra parte), la Katane calcidese era di troppo, ultima libera rappresentante di una marineria che fu grande e temeraria dalla fine dell' VIII secolo alla metà del VI a.C. e che, già prima del 476 a.C., era al tramonto. Ma se l’egemonia calcidese era al tramonto Katane viveva un periodo di prosperità, malgrado le prime pressioni dei Dinomenidi. Possedendo un territorio particolarmente vasto e fertile e la città prosperava anche grazie al proficuo lavoro di mercanti, artisti ed artigiani, godendo dei buoni rapporti commerciali e diplomatici intrecciati con Siculi, Greci, Cartaginesi e l’Asia minore. Prodotti vascolari di produzione greca, corredati da superbe incisioni a figure nere, venivano mediati e diffusi. Illustri cittadini governavano la città in base ad un codice legislativo ricordato per la sua moderazione. Ma all’alba del V sec. a.C., su tali privilegiate condizioni incombono le mire dei tiranni di Sicilia, interessati a guadagnare una serie di sbocchi portuali sul Tirreno e ad instaurare una egemonia nello ionio, come di seguito andremo ad approfondire. Piakos (Continua...)
    2 punti
  2. Come descritto nel sottotitolo, contribuisco con un altro tempio... TEMPIO DI VENERE E ROMA Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il tempio di Venere e Roma (templum Veneris et Romae) era il più grande tempio conosciuto dell'antica Roma. Situato nella parte est del Foro romano occupa tutto lo spazio tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Era dedicato alla dee Venus Felix (Venere portatrice di buona sorte) e Roma Aeterna. Precedentemente si trovava in questo sito l'atrio della Domus Aurea di Nerone, dove era collocato il colosso dell'imperatore, un'enorme statua bronzea alta 35 metri più la base. Quando Adriano decise la costruzione del tempio, procedette a ridedicare la statua al dio Sole e la fece spostare, con l'aiuto di ventiquattro elefanti. I saggi archeologici al di sotto del tempio hanno trovato i resti di una ricca casa di età repubblicana. L'architetto del tempio fu lo stesso imperatore Adriano. La costruzione, iniziata nel 121, fu inaugurata ufficialmente da Adriano nel 135 e finita nel 141 sotto Antonino Pio. L'opera venne aspramente criticata dall'architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita la sua audacia. Cassio Dione Cocceiano narra così la vicenda: Gli fece recapitare i disegni del tempio di Venere e Roma per fargli vedere come una così grande opera potesse essere realizzata anche senza il suo aiuto, e chiedendogli se il progetto dell'edificio fosse di suo gradimento. L'architetto nella sua risposta dichiarò, come primo punto, che si sarebbe dovuto costruire il tempio su di un piano sopraelevato e che si sarebbero dovuti creare locali sottostanti, di modo che esso avrebbe potuto meglio dominare la Via Sacra dalla sua posizione rialzata, e avrebbe potuto anche accogliere macchine teatrali nei suoi scantinati cosicché, potendole tenere nascoste, sarebbe stato possibile introdurle nell'adiacente teatro (Colosseo) senza essere viste in anticipo. Come secondo punto, a proposito delle statue delle dee, disse che erano state fatte troppo grandi per l'altezza delle loro celle. "Di fatto," osservò, "se le dee volessero alzarsi dai loro troni e andar fuori, sarebbero impossibilitate a farlo." Quando egli scrisse tutto questo ad Adriano così, senza mezzi termini, l'imperatore ne fu irritato, e a maggior ragione dispiaciuto, per il fatto che era ormai troppo tardi per poter rimediare agli errori in cui era caduto, e non volendo contenere né la sua rabbia né il suo rincrescimento, lo fece uccidere. Sempre lo stesso autore spiega che i rapporti di Apollodoro con l'imperatore erano pessimi fin da quando, molti anni prima, mentre parlava di architettura con Traiano, egli si era rivolto ad Adriano, che lì presente l'aveva interrotto con alcune osservazioni, dicendogli di andarsene e aggiungendo: "Tu di queste cose non capisci niente." Danneggiato dal fuoco nel 307, fu restaurato dall'imperatore Massenzio. Un ulteriore restauro fu eseguito sotto Eugenio, un effimero usurpatore (392-394) contro Teodosio I, la cui politica mirava alla restaurazione dei culti pagani. Nel IX secolo un terremoto distrusse il tempio. Si tratta del tempio più grande di Roma e forse dell’antichità: lungo 164 metri, alto 33 metri, con colonne alte 18 metri. Collocato di fronte al Colosseo sulla via Sacra, la facciata presentava addirittura dieci imponenti colonne di porfido in stile corinzio. Il tempio era dedicato ad un doppio culto, Venere e Roma, voluto da Adriano per rinforzare la fede nei valori tradizionali romani. Il tempio compare con numerose varianti su sesterzi di Adriano ed Antonino Pio, non su aurei o denari, forse per il modulo ristretto di questi ultimi. Posto su un podio che misurava 145 metri in lunghezza e 100 metri in larghezza, il peristilio misurava 110 x 53 metri. Due doppi colonnati sui lati lunghi cingevano poi l'area sacra, con dei propilei al centro. Alcune delle colonne in granito della prima fase adrianea tutt'ora esistenti facevano parte di questi portici. La peristasi del tempio è scomparsa e ne resta solo traccia in pianta, dove sono state collocate siepi di bosso e comprendeva originariamente dieci colonne sui lati brevi (tempio decastilo) e ventidue sui lati lunghi seguendo lo schema dei templi dipteri[3] e quattro davanti ai pronai. Lo stilobate con gradini seguiva uno stile tipicamente greco, come in auge al tempo di Adriano. Il tempio consisteva in due cellae adiacenti, orientate simmetricamente verso l'esterno con la parete di fondo adiacenti. Originariamente non avevano abside ed avevano un copertura piana a travi lignee: le attuali absidi e le volte furono aggiunte dal restauro di Massenzio. Ognuna delle celle ospitava la statua di un dio: Venere, la dea dell'amore, e Roma, la dea che personificava lo Stato romano, ambedue sedute su un trono. La cella ovest, dove si trovava la statua di Roma, venne inglobata nell'ex convento di Santa Francesca Romana, che oggi ospita l'Antiquarium del Foro. Grandi colonne in porfido ne scandiscono le pareti e fiancheggiano l'abside. È visibile un tratto di pavimento originale e una parte del basamento in laterizio della statua. Altre colonnine in porfido poste su mensole inquadrano le nicchie dove erano collocate altre statue, secondo uno schema decorativo tipico dell'epoca imperiale che si trova anche nella basilica di Massenzio e nella ricostruzione dioclezianea della Curia Iulia. La cella est, visibile dall'esterno, è peggio conservata, ma resta una parte degli stucchi del catino absidale. Alcuni dati contrastano con altri provenienti da altre fonti: Dal link: http://www.sesterzio.eu/rovesci/templi.htm Sottoposto forse a ristrutturazioni, il tempio ricompare su antoniniani di Probo, ove le colonne sembrano però di tipo ionico. Il tempio fu chiuso da Valentiniano II nel 391 ed il luogo abbandonato alla rapina e al decadimento. Per secoli le sue possenti strutture divennero cave di pietra, fino a lasciare le scarne fondamenta che vediamo oggi. Allego pianta del tempio e veduta dal Colosseo del tempio allo stato attuale. Ciao Illyricum :) PS: mi scuso per l'errore nel titolo... ma non riesco a correggerlo ormai! :(
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  3. Purtroppo ho guardato e riguardato nel catalogo ma tranne un simboletto di fianco alle monete presenti nel sommario,non ho trovato nessuna indicazione di passaggi di aste. nella pagina di ciascuna moneta, dove trovi tutti i millesimi coniati con le immagini devi "clikkare" sul simbolo dell'euro e ti si aprirà una pagina con i passaggi d'asta per il millesimo selezionato. per spiegarmi meglio devi "clikkare" in base al millesimo sulla colonna Cod.
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  4. Ciao Giovanna I "clipped coins" o conii tosati. Durante il regno di Alessio III vennero riutilizzati conii di emissioni precedenti, tosandone in forma molto regolare il margine esterno,e cosi' riducendo alla metà il loro peso.Tanto la regolarità della tosatura,quanto l'essere stati rinvenuti a costituire scorte uniformi,fa ritenere che tale tosatura costituisca un'emissione formale della zecca stessa.Sulla base delle scorte rinvenute a Costantinopoli, alcune delle quali costituite unicamente dai conii tosati,questi possono essere datati con sicurezza tra il 1195 ed il 1203. da"CATALOGO DEI TRACHY DI MISTURA DEI COMNENI-ANGELIDI 10811-1203" di Alberto Trivero Allego fotografia di due clipped che affiancano un trachy "normale" tanti saluti romanus
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  5. mi sa che hai ragione
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  6. Bizantina del periodo tardo direi 900-1200 ciao
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  7. allora , lo capisci dallo scudo papale mi pare di vedere 3 api , che sarebbe Urbano VIII potresti confermare ? o postare una foto dello scudo ciao
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