Finalmente in ferie, approfitto per presentare un recentissimo acquisto papalino, sul quale vorrei evidenziare alcuni aspetti che solitamente sfuggono alla primissima analisi…. LA MONETA E LA SUA STORIA Al diritto pianta di giglio fiorita, attorno da sinistra FLORET ° IN ° DOMO ° DOMINI * (Fiorisce nella casa del Signore), all’esergo la data 1776. Al rovescio S. Pietro nimbato seduto sulle nubi; attorno, da sinistra APOSTOLOR : - PRINCEPS °, all’esergo il valore ° P ° - 30 ai lati dell’armetta Albani. Oro 916,66/1000, Peso 5,45 grammi. Diametro 23,07 mm. Taglio cordonato. Muntoni 2, CNI 17 Si tratta di una DOPPIA in oro, un nuovo nominale introdotto da papa Pio VI con chirografo del 28 settembre 1776, con l’intento di creare una moneta che avesse minori “spese vive” di produzione, rispetto a quelle che gravavano sullo zecchino. In primis queste erano dovute all’affinazione estrema dell’oro 24 carati necessario per lo zecchino, per la doppia infatti il titolo scende a 22 carati (916,66/1000), con un peso legale di 4 denari, 15grani, 49 centesimi e 2 quinti, pari a 5,439 grammi Proprio per il maggior peso a parità di valore relativo, venivano a diminuire anche le spese di coniazione, pertanto questa nuova moneta soppianterà nel tempo lo zecchino stesso, la cui produzione cessa nel 1784. Il valore della DOPPIA era stabilito in 30 paoli, valore che viene impresso all’esergo del rovescio, situazione insolita per una moneta del periodo. Con la crisi che inizia ad attanagliare progressivamente lo Stato Pontificio questa particolarità viene a sparire, infatti nel marzo 1786 una nuova “TARIFFA” delle monete auree stabilisce il valore della doppia in 31,3 paoli, successivamente corretto nel dicembre dello stesso anno in 31,5 paoli. Da quel momento l’indicazione del valore P.30 viene eliminato dai coni, anzi "abrasato" dai coni per utilizzare il termine che Martinori cita nei suoi “Annali” per la doppia 1786; operazione della quale rimangono tracce sulle monete con questo millesimo: IL PRESIDENTE Non è tutta qui la storia che il lato “B” ci può raccontare, infatti a partire dall’armetta Albani al rovescio ho iniziato a fare ricerche sul personaggio di questa famiglia, tanto cara alla mia città natale, a cui appartiene… Si tratta di colui che all’epoca era mons. Giuseppe Albani, nato a Roma nel 1750, qui in veste di Presidente delle Zecche, incarico di cui fu investito a soli 26 anni e che ricoprirà fino al 1778. E non sarà che l’inizio di una carriera che, se non paragonabile a quella dei più illustri avi Giovanni Francesco, papa Clemente XI, o Annibale, Camerlengo durante più sedi Vacanti del XVIII secolo, è senz’altro degna di nota e meritevole di essere ripercorsa. Dopo gli studi a Siena entra nella curia romana durante il pontificato di papa Clemente XIV (1769-1774), dopo diversi incarichi di prestigio come la già citata Presidenza delle Zecche, viene nominato cardinale da papa Pio VII nel 1801. Durante il periodo napoleonico, si rifugia a Vienna (1808-1814), dove viene in contatto ed intavola rapporti con la corte austriaca. Al rientro del pontefice a Roma dopo la Restaurazione, diviene Prefetto della Congregazione per i vescovi nel 1817. Nel 1824 si trasferisce a Bologna di cui viene nominato Legato. L’incarico di maggior prestigio deve ancora arrivare per l’ormai anziano Giuseppe Albani, ed è l’elezione a segretario di Stato il 31 marzo 1829 da parte di Papa Pio VIII, carica che Albani ricopre per l’intero, breve, suo pontificato. Ormai ottantenne, nel 1830 il Card.Albani fu bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana. La sua carriera termina come inviato nella Legazione di Urbino e Pesaro, proprio ad Urbino era iniziata la storia italiana di Michele Laçi e i suoi due figli Filippo e Giorgio, profughi dall’Albania dove avevano combattuto i turchi, accolti dal Duca Federico da Montefeltro nel 1464, che presero il nome di Albani in ricordo della terra natale. Da Urbino la famiglia Albani approderà a Roma con Orazio (1576-1653), inviato come ambasciatore del Duca Francesco Maria II Della Rovere, per concludere l'annessione dello stato del Ducato di Urbino allo Stato Pontificio, che avviene nel 1631 alla morte dello stesso Francesco Maria II. L’ultimo incarico del Card. Giuseppe Albani fu quello di riportare l’ordine nei territori “periferici” dello Stato Pontificio, protagonisti dei moti insurrezionali del 1831, che avevano anche portato alla formazione di effimeri governi provvisori. Morirà a Pesaro il 3 dicembre 1834, e con lui si chiuderà la parabola che ha legato per quasi due secoli la famiglia Albani alle massime cariche ecclesiastiche ed al papato. Sperando di non avervi annoiato, saluto tutti… RCAMIL.